Hogwarts Mystery - GdR Harry Potter

Posts written by Elhaz

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    Karen impiegò un po’ a collocare i tasselli al rispettivo posto del puzzle; nonostante il quadro fosse più nitido, tuttavia, permase la sensazione di aver perduto qualche tessera. Lo sguardo fisso su Daisy era velato di confusione: non riusciva a crederci che lo avesse affrontato. Non perché non la ritenesse capace: conoscendola, era certa che la tassorosso gliene avesse cantate di tutti i colori. Ma Daisy sapeva che Karen non intendeva rivelare a nessuno cosa si erano detti lei e Stefan durante il loro ultimo incontro, tanto che se non fosse stata colta in un momento di debolezza la rossa non si sarebbe confidata neanche con lei. Tanta premura nei suoi riguardi avrebbe dovuto farle piacere, e nel profondo era confortante sapere quanto l’amica tenesse alla loro amicizia; ciononostante… non riusciva ad esserne contenta.
    -Che cosa pensavi di risolvere parlandone con lui? Non era necessario.-, domandò, ferita e tesa. Non voleva che lui sapesse di essere stato tradito in una confidenza importante. Inoltre, Daisy si era scomodata per nulla: cercare un vero dialogo con Stefan era inutile, il più delle volte il serpeverde si lasciava accecare dalla rabbia e non dava peso alle parole che pronunciava, senza rendersi conto di ferire gli altri in modo talvolta irreparabile. Aveva le sue convinzioni impossibili da scardinare, ma nonostante la gravità di quel che le avesse detto seduto a quel tavolo ai tre manici Karen non riusciva a considerarlo cattivo. Lo vedeva come un ragazzo sperduto, che non riusciva ad andare oltre gli schemi comportamentali ereditati dalla famiglia o dai pensieri imposti dal contesto nocivo in cui era cresciuto, che gli impedivano di porre una netta distinzione tra bene e male. Eppure, nonostante tutto, nonostante le cose per loro non fossero andate come avrebbe voluto… era convinta che a modo suo lui le volesse ancora bene. Una speranza flebile come la fiammella di un fiammifero, perché accettare una verità diversa, accettare di essere stata messa da parte e dimenticata… sarebbe stato insopportabile.
    -La parte del vampiro è vera-, spiegò, per guadagnare tempo su come sistemare il grande casino che aveva per le mani. Quell’argomento non sarebbe mai più dovuto saltare fuori, soprattutto per la sicurezza di Daisy: se avesse cominciato a domandare in giro, a fare ricerche, c’era sempre il rischio che uno dei maghi al servizio di Abrahm trovasse Daisy e che la portassero via con loro credendola una di loro e il tutto per uno stupido equivoco.
    -Ma non sta cercando me… è lui il suo obbiettivo. Non posso dirti i dettagli… non me lo perdonerebbe-, la guardò mordendosi nervosamente il labbro. Un’opzione sicura esisteva: lo stesso incantesimo che Kurt aveva usato su Logan e sugli altri al concerto di Liam, per cancellare traccia del loro passaggio. Ma suo padre ne sarebbe stato in grado? L’avrebbe presa in considerazione come opzione? Quanto avrebbe voluto che fosse lì in quel momento, lui avrebbe saputo cosa fare…
    -Se non hai trovato niente forse è perché non c’è niente da trovare. Non so che cazzo si sia messo in testa Stefan né cosa stesse cercando di insinuare ma l’unica magia che so fare è quella con la bacchetta e lo sa benissimo… non ho più episodi di magia involontaria da un pezzo ma di certo non mi metto a fare giochetti col sangue. Che schifo-, l’espressione che le deformò il volto era di disgusto.
    -Didì… io so perché l’hai fatto, okay? Sento anche che sei preoccupata ma non ce ne è bisogno. Io sto bene!- allargò le braccia come per assicurarle che fosse la verità, per essere più convincente.
    -Ho le mie amiche… ho te. Stare con voi mi permette di non pensare… ma mi è difficile farlo se so che mentre non guardo voi due discutete, litigate o chissà cos’altro di peggiore che preferite non dirmi. Non sono una principessa da proteggere, ricordi? Non sento il bisogno di vendicarmi né di avere qualcuno che faccia giustizia al posto mio… preferirei che lasciassi perdere tutto.-, si avvicinò di nuovo per prenderla per mano, facendole cenno di seguirla.
    -Dovremmo andare adesso. Ci stiamo perdendo la parata-, Karen la trascinò con sé nella folla, col cuore che martellava nel petto. Non sapeva ancora fino a che punto crederle, ma era un problema che avrebbe affrontato a tempo debito, una volta tornata a casa. La parata di spettri veri e carri di cartapesta andò avanti per un po', e le due la seguirono fino al limitare della cittadella; la rossa adocchiò in lontananza i ruderi di una casa abbandonata. Fu allora che le venne un'idea.
    -La tradizione vuole che la notte di Samhain tutti gli spiriti dei defunti facciano ritorno sulla terra per camminare fianco a fianco con i vivi-, esordì, arrivata in prossimità del cancello arrugginito che precedeva l'abitazione.
    -Inoltre sarebbe di cattivo auspicio passare davanti a un rudere abbandonato senza cospargervi un pizzico di sale davanti a porte e finestre. I fantasmi che la infestano ci seguirebbero in ogni dove fino a farci impazzire... ti sfido a entrare. A meno che tu non te la stia facendo sotto... in quel caso posso andare da sola-


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    Le sfuggì un sorriso, trovando incredibile come nonostante tutte le batoste Daisy riuscisse ancora a sognare di lei e Axel in un contesto romantico. Karen non riusciva a vederlo diversamente da un lupo famelico pronto a divorarla e per questo non avrebbe mai mancato di rivolgergli sguardi truci ogni volta che ne aveva l’occasione, soprattutto quando li beccava in giro insieme. Suo malgrado il loro rapporto pareva essersi consolidato e non passava giorno in cui la rossa non guardasse impotente la sua amica affezionarsi sempre di più a quel ragazzo.
    -Ti rendi conto che in questo momento è il mio ex a passeggiare a braccetto col tuo pirata, vero?-, ironizzò mentre un sogghigno le deformava le labbra. L’espressione divenne più seria, severa nel vedere che Daisy non riusciva a collocare in modo ben definito la figura dei Mangiamorte nella sua realtà: non era semplice, non lo era stato nemmeno per la stessa Karen finché non se li era ritrovati faccia a faccia.
    -Capisco che intendi.- grazie alle informazioni di suo padre, quando avevano fatto irruzione al manor dei nonni li aveva riconosciuti: Castiel e Coco indossavano le stesse maschere delle quali la Grifondoro aveva appeso in camera sua una riproduzione in cartapesta. Ma non erano state le maschere ad averla turbata nel profondo, quanto più i volti che si celavano subito dietro. Volti che aveva imparato a conoscere, volti che aveva osservato per ben due mesi.
    -Possono avere la tua faccia, la mia… quella di chiunque altro.-, spiegò, cercando di essere quanto più possibile esaustiva. -Raramente sembrano minacciosi: ti abbracciano come fossero zii che non vedi da una vita-, per un attimo lo sguardo si assentò, mentre davanti a sé le ombre che danzavano sul marciapiede assumevano la sagoma sottile della madrina di Stefan.
    -Passeggiano come se niente fosse in un museo, mentre guardano quadri e statue in compagnia di un amico o di un bambino-, l’ombra danzò, trasformandosi nella sagoma di Coco davanti alla scultura della Nike, la vittoria alata sprovvista di volto e braccia; Karen aveva dimenticato di essere vittima di un sequestro finché non aveva incontrato suo cugino per una fatalità del destino.
    -Ma per quanto possano sembrare affabili o essere belli… lo percepisci che sono corrotti dentro, è quel che succede a chi usa le Arti Oscure. I Mangiamorte non si fanno scrupoli a sottrarre una covata di jaralda alla loro casa per soldi-, pronunciò, amareggiata. -Né a minacciare o ad attaccare le famiglie degli Auror per ricattarli e ucciderli.-, non era un argomento di cui parlava volentieri, ma Daisy conosceva davvero poco del mondo magico ed era necessario metterla in guardia. Se avesse avuto altre domande per lei non si sarebbe sottratta né risparmiata. Mai avrebbe potuto immaginare la piega che avrebbe preso il discorso: Daisy sapeva della magia del sangue grazie a Stefan. Karen non le credé: Stefan sapeva che l’uomo che la cercava aveva occhi e orecchie ovunque, rivelare a qualcuno di cosa lei fosse capace significava una doppia condanna, per lei e per chi ne veniva a conoscenza.
    -Hai parlato con Stefan? … perché?-, non le erano mai parsi in buoni rapporti, tutt’altro… ma del resto con Ellie era stato lo stesso, eppure… Karen serrò le mani in due pugni, irrigidendosi man mano che Daisy continuava nelle spiegazioni. Sembrava sinceramente preoccupata, eppure una parte di sé continuava a dirle che qualcosa non tornava.
    -Non mi hanno fatto niente. Non ancora- era frastornata. Lei non ne aveva fatto parola con anima vita, non aveva confidato nulla perfino a Logan, che aveva tagliato fuori perché non fosse ferito. Suo padre aveva raccomandato discrezione a tutti e due… non riusciva a crederci.
    -Non so che assurdità sia questa minchiata ma se c’è una minaccia in questa storia, beh, quella è la sua famiglia. Non mi hanno ferita ma hanno reso molto chiaro cosa mi aspetterebbe se continuassi a stargli vicino… non che sia un problema ormai. Visto che mi ha lasciata-, commentò, tagliente. Più avrebbe voluto dimenticare più il rancore ritornava a galla, prepotente, insieme alla diffidenza: Karen si era gettata di prepotenza nella vita del serpeverde ed era stato solo grazie a continue intrusioni se aveva scoperto la difficile situazione che viveva a casa, il Serpeverde non avrebbe mai confidato a un’estranea informazioni così delicate. Del resto uno dei motivi per cui Karen si era mantenuta vaga con lei sulle circostanze in cui Stefan l’aveva lasciata. Che cosa stava succedendo?
    -Che altro ti ha raccontato, Didi? … mi nascondete qualcosa?-
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    -Direi che oggi viaggiamo sulla stessa lunghezza d’onda, Marsilda. Ancora un ultimo sforzo e potresti trovare perfino uno spasso la mia compagnia-, un sorrisetto dispettoso curvò le labbra della Grifondoro, lieta di non dover aggiungere altri aneddoti per avvalorare la sua tesi archiviò il capitolo e passò in rassegna le idee per sbarazzarsi dell’esercito di rane. Poco dopo le studentesse rimasero da sole con il coniglio e qualche rana restia ad unirsi al grande esodo; se le divisero piazzandole nelle rispettive borse per evitare una sincope ad altre fanciulle meno temprate di loro. Fu con soddisfazione che Karen accolse i complimenti della Corvonero: poterle dimostrare di non essere soltanto la piantagrane che conosceva ma intelligente come lei la ripagava di tutta la sequela di insulti o di maledizioni che si era attirata quel pomeriggio. Marsilda non sembrava contenta del modo in cui la rossa definiva le autorità scolastiche, Karen se ne accorse dai cambiamenti del suo viso: via via che la Grifondoro parlava, l’espressione della sua dirimpettaia di torre diventava sempre più contrita, corrucciata, quasi trovasse oltraggioso stare lì ad ascoltarla. Tuttavia per Karen non avrebbe fatto alcuna differenza, non avrebbe smesso di avere di che ridirne a giusta ragione ogni qualvolta se ne fosse presentata l’occasione.
    -Procioni?-, esclamò, sorpresa. -Non lo avrei mai detto. Forse avrei scommesso più su un cane-, obbediente come lei: Marsilda sembrava una ragazzina dedita totalmente alle regole, anche se non avrebbe ancora saputo dire se per evitare grane come faceva Stefan o se perché credeva davvero nell’ordine e nella giustizia delle cose.
    -Parli così perché non ne hai mai osservata una da vicino abbastanza a lungo da poterla apprezzare-, Karen si voltò come le aveva chiesto, approfittandone per tirare fuori dalla borsa una cuffietta e un costume intero taglia coniglio. Recuperato Sbirro lo aiutò a indossarlo, continuando a chiacchierare nel mentre con la Corvonero.
    -Pare che le rane lunari siano bellissime. Chiaramente mi baso sulle descrizioni che compaiono sui libri, non sono ancora riuscita a vederne una… ma conto di riprovarci il prossimo plenilunio. Abbiamo un bestiario da aggiornare, dico bene, Sbirro?-, Karen gli strapazzò le guance prima di prenderlo in braccio e voltarsi nuovamente verso Marsilda, che aveva finito di spogliarsi. Le considerazioni che ascoltò le diedero di che riflettere sulla personalità dell’altra: la corvonero sembrava con i piedi ancorati saldamente per terra, al punto da non concedersi alcun volo di fantasia.
    -Certo che ci credo. Ho anche le prove che lo dimostrano, vuoi vederle?-, ironizzò, non tanto distante dalle sue reali intenzioni: poteva sempre preparare una dose di bacio di pulzella da propinare a qualche malcapitato da portarle davanti, magari in versione muta per rendere lo scherzo insospettabile. Era certa che Marsilda non sarebbe stata felice di baciare un bel ranocchio ma la rossa aveva una buona parlantina ed era altrettanto sicura di riuscire a convincerla a farlo lo stesso. Karen si avvicinò alla vasca e si sporse verso le manopole per aprirle e quando il livello dell’acqua fu accettabile sganciò una bomba di sale al suo interno: in pochi secondi lo specchio d’acqua assunse i colori dello spazio, alternando nebulose di schiuma. Tirò fuori dalla borsa un salvagente che cominciò a gonfiare mentre Sbirro saltellava impaziente di farsi il bagno.
    -Tutti i racconti hanno un fondo di verità. Anche se sono di fantasia… come i sogni-, commentò pensierosa; era la prima volta che parlavano senza filtri e senza insulti di mezzo, fu strano ma non per questo spiacevole.
    -Non conosco questa storia.-, avrebbe potuto cercarla per conto suo in biblioteca, questo era vero, ma perché privarsi di un momento piacevole mentre si prendeva cura del coniglietto?
    -Andiamo, non farti pregare. Anche lui è ansioso di conoscere i dettagli!-, Sbirro era appena salito sulla ciambella, fissava in direzione di Marsilda con gli occhi socchiusi, muovendo il nasino di continuo inebriandosi del profumo di vaniglia rilasciato dalla bomba di sale. Non si stava facendo il bagno: la cuffietta e il costume erano precauzioni per non fargli perdere pelo ovunque, era più per compagnia che Karen decideva di portarlo con sé, al massimo lo avrebbe sciacquato un po’ prima di andare via.
    -Cos’è successo a quella famiglia di maghi? E cosa c'entrano sei cigni?-
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    Karen seguì con lo sguardo Friday fino a visualizzare le due palle di plastica sul pavimento: non era la prima volta che lo beccava ad esercitarsi in giochi di prestigio, dopotutto… ripose la bacchetta nel fodero e si voltò per cambiare il getto d’acqua fino a renderla tiepida. Volente o nolente, a Sbirro spettava una sciacquata di culo e di pelo prima di essere riportato in dormitorio.
    -Si chiama Sbirulì-, rispose al concasato senza guardarlo negli occhi, impegnata a strofinare il sapone contro il culo del coniglietto nano che minacciava di saltellare da una parte all’altra del lavandino.
    -Lo zaino si è rotto mentre stavamo rientrando nella sala comune. Questo fifone se l’è fatta sotto dalla paura durante il volo quindi… eccoci qui-, indicò con un gesto del capo il vistoso strappo alla base dello zainetto che coincideva con il globo trasparente che faceva da trasportino per l’animale. Una bugia che non intendeva coprire le spalle di quel viscido di un serpeverde: Karen non voleva diffondere voci secondo cui avesse problemi con Evans, perché significava allo stesso tempo ammettere apertamente di non essere in grado di sedarli da sola. Se avesse agito prima Sbirro non si sarebbe trovato nelle sudice mani di quel coglione… o almeno era quello che preferiva raccontarsi per non accettare l’alternativa, ovvero che il coniglietto poteva essere un mero pretesto; chissà che Evans non l’avesse attaccata in ogni caso.
    -Ralph ti ha parlato di me?-, domandò, il tono addolcito appena per la sorpresa mentre lo guardava di sottecchi.
    -A dire la verità non mi ha detto granché di te- fatta eccezione per i continui "no socia non posso, devo raggiungere Fry" seguito da -inserire un motivo a caso proprio qui.
    -Siete compagni di stanza… Friday, giusto? Anche tu eri alla festa della Miller-, sulle prime non lo aveva riconosciuto, ma vedendolo più di frequente il compagnia di Ralph aveva memorizzato il suo volto. Non immaginava fossero granché uniti, ma vedere Friday baciarlo alla festa con disinvoltura le aveva messo la pulce nell’orecchio.
    -Tranquillo, io non dovrei neanche essere qui…-, cercò di raddrizzare il tiro non appena si accorse di essere stata aggressiva.
    -Peeves il poltergeist ha allagato i bagni delle ragazze e non mi andava di farmi un altro piano di scale. O di improvvisare un’incursione in quello dei prefetti-, attaccati com’erano alle loro spille non era certa che non decidessero di farle un richiamo. Esattamente quel che voleva evitare: mancavano poche ore al suo compleanno e la punizione del professor White le era bastata e avanzata.
    -Mi aiuti a distrarlo?-, domandò, indicando in coniglietto che scivolava da una parte all’altra del lavabo.
    -Stavi facendo un gioco di prestigio, no? Magari se lo vedesse si concentrerebbe su altro e riuscirei a lavarlo prima di trasformare il bagno in un secondo lago nero.- Sbirro scalciava e graffiava come un pazzo per non farsi acchiappare. La sua padrona non avrebbe saputo dire che dipendeva dall’agitazione oppure perché sentiva agitata lei per prima. In quel momento Karen faticava a concentrarsi: avrebbe voluto far esplodere l’ufficio di White dove in quel momento Evans se la stava ridendo alla grande alle proprie spalle, tutto il resto era confuso e indefinito.
    -Perché ti stavi nascondendo? Qui dentro, poi... se ti cadono le palle è quotato due a tre che centrano uno schizzo artistico, ti conviene?-
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    -Fa pure. Rinfrescami la memoria: è quello che precede il ballo in maschera di sua maestà o la fuga verso i mari in tempesta del nord?-, rise, lieta di poter fare dell’ironia lasciandosi alle spalle la tensione che si era creata quell’estate nel nominare il cruccio che riguardava l’una o l’altra. Quella serata aveva intenzione di divertirsi: era contenta che Daisy avesse accettato di tornare a casa con lei, avrebbe potuto dimostrarle che essere maghi non aveva soltanto risvolti negativi nella speranza che almeno per qualche ora la sua mente si fosse tenuta lontana dalle preoccupazioni che portava la sua magia involontaria. Quando la tassorosso le chiese spiegazioni sul molliccio per un attimo tacque, dimenticando completamente che l’amica allo stato attuale delle cose fosse ignara di certi dettagli così come lo era stata lei l’anno scorso. Spolverò tra i ricordi cercando di fare appello a una spiegazione accettabile.
    -Una creatura di cui non si conosce l’aspetto. Perché prende forma soltanto quando vede una persona, così può diventare la sua peggiore paura-, spiegò distrattamente mentre osservava gruppetti di ragazzini e adulti ammassarsi lontano lungo il vialone principale. Una musica spettrale echeggiò nell’aria mentre le luci dei lampioni divennero soffuse e bluastre: la parata stava per cominciare, così Karen accelerò il passo.
    -Esatto, un gallese verde! Per poco non ha decapitato Logan, ma in compenso gli ha quasi staccato un braccio. Io ho visto fino a un certo punto perché Stefan mi ha piazzata su un thestral e siamo fuggiti, ma so che era aggressivo perché era stato colpito da una freccia… appena l’hanno tolta è volato via-, troppo entusiasta per il tuffo nel passato e per la parata, Karen non aveva minimamente fatto caso all’espressione terrorizzata di Daisy man mano che condiva di dettagli il racconto. Anzi, aveva preso i suoi silenzi come un invito a continuare e aveva quindi colto la palla al balzo per approfondire in dettagli cruenti, perfettamente in tema con Samhain. Scoppiò a ridere quando l’amica menzionò Friday.
    -Per un attimo ci sono cascata… secondo me quello è capace di questo e molto altro-, non si era fatta ancora un’idea precisa del suo concasato: sembrava un tipo a posto, anche simpatico, ma per qualche ragione che non aveva ancora individuato pensare a lui diventava motivo di un lieve fastidio.
    -Tra le varie cose… sì-, ammise, guardandola distrattamente. -Sono persone senza scrupoli… se hanno la sicurezza di agire impuniti non risparmiano niente e nessuno. A te non fanno paura?-, non lo aveva mai ammesso apertamente, ma era terrorizzata all’idea che un giorno lo zio Jack si fosse presentato a scuola, o a casa loro, per dirle che suo padre era caduto in battaglia o che era morto in servizio. Anche se in circostanze diverse, aveva paura che Stefan potesse seguire le orme della sua famiglia e lasciarsene influenzare, prendendo una brutta strada. Ma in entrambi i casi era consapevole di non poter fare niente per impedire il peggio.
    Daisy si fermò all’improvviso, lasciandole il braccio frappose una piccola distanza tra loro, come a volerci capire meglio. Karen la guardò poggiando una mano su un fianco, scoprendosi impreparata a una domanda bomba.
    -Che?-, la rossa rimase interdetta per una manciata di secondi, impallidendo di colpo prima di scoppiare a ridere. -Che minchia sarebbe una strega del sangue?-, le rigirò la domanda per prendere tempo: erano soltanto due le tipologie di persone che conoscevano la magia del sangue, ovvero Stefan e gli auror che indagavano sul caso, e Abrahm e i suoi seguaci… nella biblioteca di Hogwarts non c’era traccia nemmeno nella sezione proibita, così come in qualsiasi altro luogo del mondo magico. In quel momento la probabilità più alta, e quella più spaventosa, era che Daisy fosse una di loro.

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    Non ci aveva impiegato troppo a corromperla: per due settimane la rossa non aveva fatto altro che decantare quanto fosse fantastico festeggiare Samhain in Irlanda, patria d’origine della tradizione, e che non dovevano perdersi la spettacolare parata degli spiriti organizzata per l’evento per nulla al mondo. La cittadella nei cui pressi viveva la famiglia Cavanaugh era mistificata, di maghi e babbani: per l’occasione una parte di essa sarebbe stata dedicata alla sfilata dei carri con le tradizionali figure della festa, alle quali però si sarebbero uniti spettri veri. Così, per rispettare la tabella di marcia, il venerdì sera avevano fatto i bagagli e il sabato mattina erano già in partenza per Hogsmeade e infine per Londra: Enit le attendeva in stazione per dare loro uno strappo con la macchina volante, viaggio che sua nipote trovò tutt’altro che piacevole, tant’era che passò tutto il tempo accovacciata sui sedili posteriori e con gli occhi chiusi per non rischiare di cedere alla tentazione di guardare in basso. Una massiccia dose di bevanda della pace aveva aiutato a non andare in panico, soprattutto a permetterle di affrontare metà viaggio nell’incoscienza totale. A nulla erano valsi i dispetti di Sbirro, impegnato a mangiucchiarle i capelli o darle colpi sul viso con la zampetta: Karen era sprofondata in un letargo profondo che sarebbe durato finché non avessero rimesso piede su suolo stabile.
    -Didì a che punto sei?-, le domandò dall’altra stanza, con la matita nero carbone a mezz’aria per non sbagliare. Il mugugno che provenne dalla camera di Gwyn era pressoché incomprensibile; Karen scrollò le spalle e riprese col trucco, marcando sotto gli occhi in modo volutamente esagerato per sottolineare l’aspetto minaccioso della sua maschera. Per l’occasione aveva spalmato una pozione di ricrescita della barba intorno alla bocca e sul mento: Enit le aveva assicurato che la barba sarebbe caduta dopo un’ora, Karen non se l’era fatto ripetere due volte. Amava i costumi di scena, soprattutto quando così realistici: per l’outfit non aveva dovuto fare altro che riciclare quello usato l’anno precedente e riadattarlo con qualche modifica perché non le andasse stretto, così non aveva dovuto spenderci troppo tempo. I capelli rossicci erano stati tagliati e tinti e raccolti con un nastro di raso nero in una coda di cavallo bassa, mentre l’uncino faceva da decorazione alla mano con la quale non impugnava la bacchetta. Era pronta: stava per bussare alla camera di Gwyn, dove Daisy era ospite approfittando dell’assenza di sua sorella, quando la porta si aprì mostrando la sosia al femminile di un Serpeverde di sua conoscenza. Karen scoppiò a ridere di gusto, suscitando la curiosità di suo padre al piano inferiore. L’auror non dovette porre altre domande: non appena le vide vestite rise di rimando, e dopo una sequela infinita di raccomandazioni cedette due zucche-lanterne per farsi luce nelle strade buie della città e le lasciò libere di andare a godersi la festa.
    -Negli ultimi due anni abbiamo festeggiato halloween a scuola, l’anno scorso c’è stato un evento pazzesco! … ci hanno divisi in auror e mangia morte, il primo team che trovava tre frammenti di ossidiana avrebbe vinto.-, la rossa le raccontò di come avevano dovuto affrontare nella foresta proibita un drago e un molliccio che prima si era trasformato in un vampiro e poi in una mangia morte che aveva cercato di ucciderli tutti. Alla fine i due gruppi erano venuti alle bacchette nello scontro finale.
    -Io ero una mangiamorte infiltrata. Mio cugino era il capoauror, ha sempre sospettato di me dall’inizio ma è rimasto col dubbio fino alla fine, ho sudato freddo… Stefan era il nostro leader. Ce la siamo vista brutta in più di un’occasione ma alla fine abbiamo vinto-, l’entusiasmo con cui ne parlò primeggiava sulla malinconia dei ricordi: sembravano passate diverse vite da quel giorno, troppe cose erano cambiate, e non tutte in positivo.
    -Quella secchia di mia sorella dice che non ha “potuto” raggiungerci. Per un paio di giorni avrà pensato non valesse la pena-, cambiò argomento, contrariata per la scelta di Gwyn. Non la vedeva dall’inizio dell’anno scolastico, non era riuscita a tornare neanche per festeggiare il compleanno, cominciava a pensare che si fosse dimenticata di lei.
    -Se non fossi qui con me che avresti fatto? Saresti rimasta al castello?-, un modo tutt’altro velato per indagare su quanto si erano dette quell’estate: per quanto ancora Daisy aveva intenzione di evitare i suoi genitori?


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    Karen issò la cartella in spalla e tenne stretto il coniglietto contro il petto tenendogli bloccate le zampette anteriori per impedirgli di usare il braccio come lima per le unghie. I battiti cardiaci si erano placati anche se l’agitazione non era scemata via del tutto: ancora non si capacitava di cosa fosse appena successo in quel corridoio. Quel bastardo di Evans faceva sul serio, avrebbe davvero gettato Sbirro in pasto alla sua cazzo di biscia e il tutto dopo averlo spaventato a morte sbatacchiandolo da una parte all’altra del suo trasportino.
    Che grandissimo figlio di leprecauno, il rispetto per la professoressa di pozioni andò bellamente a farsi fottere: il suo coniglio aveva rischiato di finire nello stomaco di un serpente o nella tromba di sette piani di scale! Nel ripensarci sentì il viso accaldarsi e le guance imporporarsi: in quel momento era livida di rabbia. Alla fine della storia lo aveva pure preso alla grande nel culo, con compiti extra da sbrigare per l’indomani. Per quanto non ne avesse la benché minima voglia non avrebbe mancato la consegna: Grifondoro aveva già perso punti a sufficienza per colpa sua, inoltre del professor White aveva non poca soggezione e l’ultima cosa che voleva fare era contrariarlo venendo meno ai suoi ordini.
    Non la passerà liscia, non era abbastanza che Evans avesse fatto perdere altrettanti punti a Serpeverde e che si fosse beccato una cazziata con i fiocchi nell’ufficio di White: Sbirro meritava giustizia. Un conto sarebbe stato prendersela direttamente con lei, poteva anche accettarlo… ma il suo batuffolo era intoccabile. Evans lo avrebbe capito sulla sua pelle, a tempo debito.
    La Grifondoro sarebbe filata dritta in sala comune per lasciare Sbirro al sicuro in camera, non fosse che per lo spavento questi se la fece letteralmente sotto, macchiandole anche il cardigan.
    -Ma che cazzo-, imprecò, allontanandolo di scatto da sé ma senza lasciarlo sfuggire. Il cambio di rotta fu d’obbligo verso i bagni femminili, davanti ai quali un cartello interattivo avvisava che erano inagibili: Peeves il poltergeist si era divertito a intasarli e gli elfi stavano provvedendo alla loro sistemazione. Non avendo la benché minima voglia di andare a quelli del piano inferiore Karen si infilò in quelli maschili, sbattendo la porta come un ariete pronto a sfondare il portone d’ingresso del castello nemico. All’apparenza nessuno era in giro: smollò il coniglio in uno dei lavabo in fila sotto il muro, si sfilò il maglione restando in camicia e lo gettò nella cartella per terra con un gesto di stizza.
    -Go mbeire an diabhal leis thù-, imprecò tra sé e sé fittamente in irlandese. Aprì il rubinetto per sciacquarsi abbondantemente le mani e quando ebbe finito sbottonò il polsini avvolgendo la macchina fino al gomito. Infastidito dal getto d’acqua tiepida, nel tentativo di risalire dal lavandino Sbirro scivolò, facendo una capriola su sé stesso prima di tornare sul fondo; Karen lo afferrò per la collottola e il coniglietto cercò di risalire per il braccio come alla disperata ricerca di salvezza.
    -Buono, lo sai che non ce l’ho con te…-, Karen tirò il dispenser col sapore dallo zaino e lo usò per pulire il pelo alla bestiola, che se l’era fatta sotto dalla paura.
    -Sei stato coraggioso. Meno coniglio di quanto non lo sia stato quello stronzo-, gli diede un buffetto sulla testolina, facendogli qualche carezza per placarlo. Entrambi se l’erano vista brutta, avevano bisogno di un momento di stacco per riprendersi. Più Karen che non il coniglio. Ma Sbirro non accennava a calmarsi, e lei non aveva nulla da potergli dare da mangiare per distrarlo. Fu un rumore alle proprie spalle a farla scattare e impugnare la bacchetta di colpo, sollevandola pronta all’attacco. Quando riconobbe il compagno di stanza di Ralph si rilassò, riabbassandola.
    -Mi hai fatto venire un colpo. E ne hai appena evitato uno pure tu! Che ti salta in mente di avvicinarti così di soppiatto?-
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    Karen aggrottò un sopracciglio, sfoderando un’espressione scettica. Marsilda prendeva troppo seriamente qualsiasi cosa le uscisse di bocca e impugnava le parole come fossero prove schiaccianti, allo stesso modo in cui un avvocato attaccava il teste al banco degli imputati per convincere il giudice della sua colpevolezza.
    -Sei così saccente con chiunque o è un trattamento di favore che riservi soltanto a me?-, domandò incrociando le braccia al petto e squadrandola inclinando appena la testa di lato. Non le seccava essere definita una piantagrane, anzi l’idea la faceva sorridere: la rossa era dell’idea che fosse meglio lasciare il segno, nel bene e nel male, piuttosto che suscitare indifferenza. Ammetteva anche che potevano non essere partire col piede sbagliato: Marsilda non apprezzava i suoi scherzi né la sua ironia, ma non c’era stato un singolo istante in cui non l’avesse squadrata come se fosse un demone scappato dall’inferno per portarlo anche tra loro comuni mortali.
    -Tu e Ariadne potreste diventare ottime amiche. Avete in comune i musi lunghi e gli sguardi colmi di disprezzo per questo mondo oscuro e pieno di terrore, soprattutto per chi lo abita. E siete pure della stessa casata, cosa potreste volere di più?-, la punzecchiò, al di là dello scherzo erano considerazioni che stava maturando tirando le somme, arrivando alla conclusione che non ci fosse casata più strana dei Corvonero.
    -Non me la rendi facile, eh?-, commentò retorica quando Marsilda si rifiutò di rivelarle chi fosse il ragazzo che le aveva tirato uno scherzo. Non era un problema: Daisy e Ralph frequentavano il suo stesso anno, sarebbe bastata qualche indagine dall’uno o dall’altra per svelare il mistero. Normalmente sarebbe stato un dispendio di energie che non avrebbe giudicato inutile, ma quella ragazzina aveva suscitato la sua curiosità… per spirito di masochismo o per reale interesse ancora non avrebbe saputo dirlo.
    -Non mi dirai che il suo scherzo sia stato più bello del mio. Potrei esserne gelosa-, un modo velato per cercare di strapparle maggiori indizi: il sospettato numero uno era Morgan, faceva così schifo anche nel castare un lumos che non riteneva così infattibile vederlo di nuovo al primo anno.
    -No, quella era la versione breve-, scrollò le spalle. In realtà non aveva altro da aggiungere alla sua arringa, ed era conscia che rispondendo in quel modo sarebbe risultata odiosa, ma non poteva proprio fare a meno di avere l’ultima parola. Soprattutto se la Corvonero fraintendeva un consiglio dato in buona fede, basato sull’esperienza personale che si era lasciata l’anno prima, scambiandolo per un invito a tenere la bocca chiusa. Era grata che non andasse a sputtanarla da nessuno visto che non ci teneva affatto a un faccia a faccia con Rya, ma che lo facesse perché si sentiva intimidita non le andava giù. Insomma, non voleva essere considerata una bulletta come Evans… erano soltanto scherzi innocui.
    -“Grazie per avermi messa in guardia dai peggiori individui di Hog” sarebbe un buon inizio. Stai facendo un casino assurdo per qualche innocua ranocchia… poteva andarti peggio. Tipo un rapimento a tradimento o la testa di un cavallo infiocchettata in una scatola-, il tono con cui lo disse era a metà tra il serio e il faceto, per impedirle di capire se stesse dicendo la verità e così facendo di prenderla sul serio. Da quando Cavendish era stato spedito a fuckland Karen aveva ripreso a respirare: l’unico cerebroleso certificato rimasto in circolazione era Evans, anche sui tizi di Durmstrang aveva non poche riserve ma sul momento non disponendo di prove li aveva classificati nell’insieme di quelli da cui mantenersi alla larga. Non era certa avrebbero reagito allo stesso modo di Marsilda. Per niente!
    -Oppure potremmo fare il bagno insieme a loro. Prendi esempio da lui, sono già diventati inseparabili!-, indicò Sbirro che in quel momento terminò la corsa spaparanzato con le stampe a terra, esausto, le ranocchie ancora sedute sulla sua testa che sonnecchiavano distrattamente. Il coniglietto si era arreso, un giorno Marsilda si sarebbe arresa allo stesso modo alle insistenze di Karen fino a diventare sua amica. Ci avrebbe messo la mano sul fuoco.
    -Per quel che mi riguarda i prefetti possono baciarci il culo e baciarlo anche a tutte loro-, il tono con cui pronunciò quella sfida era di stizza.
    -Sono le ultime persone che possono permettersi di farmi la paternale qui dentro.-, erano cariche che aveva guardato sempre con un misto di timore, che poi era passato totalmente l’anno precedente, e di insofferenza: non tutti, ma alcuni erano ragazzi o ragazze come lei che prima di aver ottenuto quella spilletta del cazzo facevano stronzate come lei, se non peggiori, e che adesso avevano l’alibi perfetto per nascondersi puntando il dito sugli altri appena se ne fosse presentata l’occasione. Il potere dava alla testa e solo pochi ne restavano immuni, poteva ritenersi fortunata che nonostante tutto Logan non avesse cambiato atteggiamento nemmeno ora che era diventato caposcuola. Ma avrebbe potuto dire lo stesso degli altri? Fosse per lei tutte le cariche potevano essere abolite, non avevano una realtà utilità e non avrebbero fatto che mettere gli studenti nella scomoda posizione di scegliere se schierarsi dall’una o dall’altra parte, alimentando dissapori già presenti. Rendendoli fastidiosi come la mosca che stava ronzando loro attorno da un buon quarto d’ora. A nulla valeva scacciarla con la mano, puntualmente tornava mentre le linguette delle rane scattavano nel tentativo di catturarla.
    -Sarebbe un ottimo piano se avessimo almeno una scatola a portata di mano, ma come vedi…- fece spallucce, aprendo le braccia per mostrarle che a parte il borsone con le sue cose non aveva nulla. La mosca continuò a ronzare intorno ai loro capelli come attirata al miele: fu in un impeto di insofferenza che Karen sguainò la bacchetta e decise di immobilizzarla.
    -Immobilus!-, l’insetto fluttuò in aria, dandole un’idea: potevano guidare l’esercito di rane usandola come esca!
    -Ho un’idea! Engorgio! Geminio! Oppugno!- i tre incantesimi rispettivamente ingigantirono la mosca fino a farle assumere le dimensioni di un palloncino gavettone, la duplicarono in una decina di repliche, e infine spedirono lo sciame magicamente modificato fuori dalla porta.
    -Confundus!-, l’ultimo incantesimo avrebbe confuso le mosche guidandole alla rinfusa in punti casuali del castello; le ranocchie cominciarono a saltellare seguendole di corsa, finché Karen e Marsilda non rimasero in compagnia soltanto un piccolissimo gruppetto, rimasto indietro per la fatica.
    -Queste saranno più facili da trasportare fino al lago.- Karen ne catturò una, infilandola in borsa, poi ne catturò un’altra, appendo appena le mani per osservarla. Era così spaventata da restare immobile.
    -Come fanno a non piacerti? Guardala... ha un musetto così carino!-
  9. .
    Karen la guardò incrociando le braccia al petto, un’espressione diffidente dipinse il viso lentigginoso mentre ascoltava attenta una versione della storia che non conosceva. Per un attimo si chiese se Marsilda si stesse facendo beffe di lei, prendendola in giro per ripagarla della stessa moneta. Dal tono con cui si era espressa era parsa molto seria, ma non la convinse del tutto. Appena fosse stata di passaggio nell’ala est dei piani inferiori non avrebbe mancato di fare un salto in biblioteca per accertarsene.
    -Se le cose stanno così riscriverò la storia. Sarò io il nuovo Pan-, ribatté sollevando il mento in un gesto di aperta sfida. -Ci sono così tante stranezze nel mondo magico che non mi sorprenderei nello scoprire che esiste già un sistema per non diventare grandi. Ci scommetto il culo del mio coniglio che gli Indicibili preferiscono tenercelo nascosto insieme a tanti altri segreti-, ironizzò, a metà tra il serio e il faceto. In più di un’occasione l’Alchimia aveva reso possibile cose contro natura: grazie all’elisir distillato dalla pietra filosofale Nicholas Flamel e suo moglie avevano conosciuto una vita più lunga e in salute di quanto gli fosse spettata e la stessa Veggente, grazie alla magia di Abrahm, era riuscita a sopravvivere per anni raggirando la morte. Che male c’era di tanto in tanto nel lasciarsi andare alla fantasia? A volte la realtà sapeva essere noiosa e deprimente.
    -Sembri molto sicura delle tue convinzioni, per una che mi conosce a malapena-, aggrottò un sopracciglio, visibilmente infastidita per il modo in cui la corvonero la stava tacciando di superficialità. La rossa prendeva molte cose con leggerezza allo stesso modo in cui ne trattava altre con una serietà rara per ragazzine tanto piccole; tendeva inoltre ad attribuire un peso considerevole alle parole, a volte più di quanto fossero reali le intenzioni con cui venivano pronunciate dal suo interlocutore, motivo per cui l’insinuazione di Marsilda suonò alle sue orecchie al pari di un’offesa.
    -Non mi hai ancora messa alla prova. Non è quel che fate di solito per confutare le vostre ragioni e blablabla dicendo? Osservare e sperimentare prima di giungere alle vostre conclusioni?- sfortunatamente per l’altra, Karen era cresciuta a stretto contatto con le Corvonero, quella più spocchiosa ce l’aveva in famiglia e aveva imparato presto su quali tasti fare leva per scardinare le loro opinioni che considerava sbagliate. Il modo in cui stringeva il ginocchio non gliela contò giusta: forse si era fatta male ma non voleva ammetterlo. Mentalmente la rossa si segnò di archiviare quello scherzo e riservarlo solo per i più molesti del castello, come un certo serpeverde che negli ultimi tempi si divertiva troppo a fare il bullo in giro. Karen attese che Marsilda si coprisse, voltandosi parzialmente per concederle un po’ di privacy. Al suo posto probabilmente avrebbe desiderato sparire sotto le piastrelle per l’imbarazzo.
    -Strapparti una risata, non era ovvio?-, ribatté, accompagnando l’asserzione con un’alzata di spalle.
    -Hai sempre l’espressione di qualcuno a cui sia appena morto il rospo.-, il più delle volte l’aveva beccata con una faccia seria o imbronciata. Non l’aveva ancora vista sorridere, quando la beccava in giro era spesso sulle sue e se si presentava l’occasione di socializzare il più delle volte la rifuggiva. Per certi versi quell’atteggiamento le ricordava Ade, e non le piaceva. Dicevano di avere più piacere a stare da sole, ma erano balle colossali che raccontavano pur di non ammettere che la solitudine spaventava chiunque, ma aprirsi faceva ancora più paura.
    -Chi è lo scemo di Serpeverde? Adesso che ho scoperto di avere un potenziale alleato contro la musoneria made in raven ho tutta l’intenzione di reclutarlo.-, rise, a dir poco sorpresa di aver appena scoperto l’esistenza di qualche serpeverde dotato di senso dell’umorismo. Marsilda non sembrò entusiasta di quell’aiuto, di rimando Karen le fece cenno di darsi una mossa, come a dirle che non aveva tutto il giorno a disposizione. Quel che non aveva previsto era di finire lei col culo per terra, sommersa da ranocchie saltellanti e gracidanti. La rossa si massaggiò il culo, imprecando fittamente in irlandese controllò di non aver causato un genocidio di anfibi. Per fortuna nessuno era rimasto schiacciato nella caduta.
    -Te lo concedo, siamo pari-, non lo erano affatto, ma glielo avrebbe lasciato credere.
    -Solo perché mi ritengo soddisfatta per aver raggiunto il mio scopo. A quanto pare anche tu sai sorridere.-, commentò, facendo attenzione a non calpestare niente nel rialzarsi da terra. L’occhiataccia che le rivolse quando insinuò che sarebbe stata capace di trasformare il bagno in un barbacue in salsa di rana era di fuoco.
    -Ti sei bevuta il cervello? Non sono un’assassina né una sadica, per oggi è stato versato sangue a sufficienza.- lo sguardo ricadde su Sbirro che da inseguitore era diventato preda, e dopo una corsa verso la vasca si era arreso ad essere sommerso dalle ranocchie, che gli sedevano ovunque saltellando e infierendo sul prigioniero di guerra con sonori gracidii.
    -Forse sei tu che dovresti ringraziare me per i consigli che sto per darti, ma mi sento magnanima e ti dispenso da una così grande umiliazione-, trattenere una risata fu complicato, ma con un po’ di sforzo Karen riuscì a rimanere abbastanza seria per farsi ascoltare.
    -Tanto per cominciare per farmi punire dovresti avere delle prove schiaccianti. Mi spiace dirtelo, ma il bigliettino che ho lasciato nel cestino e che attesta me come mandante delle saponette rientra tra le prove circostanziali. La saponetta incriminata potrebbe averla infilata chiunque così come potrebbe essermi stata venduta per errore-, la rossa guardò l’altra negli occhi, per non perdersi neanche un secondo delle reazioni che sarebbero seguite man mano che parlava. C’era un motivo se Evans l’aveva soprannominata “bocca larga” e non era di certo per le dimensioni della stessa.
    -Il personale scolastico avrebbe le mani legate. Il massimo in cui potrei incorrere è il fastidio di dover far sparire questo casino.-, per un attimo lo sguardo si adombrò. Quello che aveva fatto a Marsilda, per quanto molesto, era solo uno scherzo; quando a lei era capitato di peggio nessuno aveva mosso un dito in suo favore, alla fine se l’era dovuta sbrigare da sola.
    -Per continuare… per quanto di cattivo gusto io eviterei di scomodare prefetti e capiscuola per uno scherzo innocuo. Le spie non campano a lungo in questa scuola e difficilmente riescono ad avere amici. Pensa che spasso sette anni in solitaria, Kilmainham Gaol al confronto è un resort a cinque stelle. Inoltre, dimostreresti di non riuscire a cavartela da sola... non è una mossa molto furba.-, per un attimo si interruppe, lo sguardo per quanto tranquillo divenne più duro.
    -Questo non significa che bisogni essere omertosi, sia chiaro. Gli stronzi e gli abusi di potere non vanno mai coperti, a maggior ragione se si tratta di amici che hanno perso il senno o che si sono montati la testa.-, non aveva esitato a bussare alla porta del proprio casata quando c’era stato da denunciare Cavendish, così come non avrebbe esitato a farlo una seconda volta se Evans o chiunque altro avesse esagerato prendendone il posto.
    -Ora, per rispondere alla tua domanda… potremmo baciarli tutti e vedere che succede. Magari diventano umani, magari spariscono in bolle di sapone… a meno che tu non abbia un’idea migliore. Sull’etichetta non c’era scritto niente di utile e tutto questo gracidare non mi permette di concentrarmi a dovere-, una balla colossale: aveva più di un'idea plausibile per sbarazzarsi di tutto quel casino, ma le avrebbe tolto il divertimento di mettere alla prova la novellina.
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    Karen la guardò, esterrefatta. Daisy non rivedeva i suoi genitori da un anno e sembrava decisa a voler continuare a mantenersi lontana da loro. Al suo posto la rossa non ci sarebbe riuscita: negli ultimi anni erano frequenti gli alti e bassi a casa, ma amava troppo la sua famiglia per pensare di non rivederla per così tanto tempo. Nel periodo di convivenza forzata con Coco e Kristopher non aveva fatto altro che pensare a suo padre e a sua sorella, chiedendosi se li avrebbe mai rivisti… in un anno potevano accadere tante cose, Daisy si era persa tanti momenti in loro compagnia, tante occasioni per sistemare una faccenda che la feriva profondamente. Se c’era una cosa che la Grifondoro aveva imparato da quell’esperienza era che il tempo non curava le ferite ma le inaspriva e che non permetteva alle persone di riavvicinarsi ma le allontanava. Così facendo la tasso rosso non avrebbe fatto altro che rimandare il problema rischiando di peggiorarlo.
    Ciò che la lasciò stranita, oltre che contrariata, fu sentirla definirsi sbagliata. Un prodotto difettoso da riportare indietro perché non rispecchiava le aspettative del compratore.
    -Daisy… che diavolo stai dicendo? Sono i tuoi genitori e tu sei la loro figlia, certe idee non dovrebbero neanche sfiorarti!-, esclamò, forse con troppa foga. Lo sguardo era fisso sull’altra, la scrutava facendo attenzione a una reazione involontaria che non si manifestò.
    -Non è il sangue che rende vera una famiglia- continuò, decisa. Sapeva che non tutti potevano essere dello stesso parere né la vivevano allo stesso modo, ma per lei che era cresciuta con Logan come se fosse un cugino e il vecchio Jack come se fosse uno zio il sangue non aveva importanza. Erano l’affetto e i momenti insieme a fare la differenza.
    -Loro ti hanno scelta. Che importa se sei una strega? Mia madre era una babbana, e l’ultima cosa che ci ha detto è stata che… la cosa più bella che avesse fatto era avere me e mia sorella-, inspirò a fondo. Non conservava molti ricordi di sua madre ma quelle parole, negli ultimi giorni di lucidità di Moyra, le erano rimaste impresse. Karen non parlava mai di lei: la sua morte era una ferita sempre vivida che né il tempo né il circostanze avrebbero mai rimarginato. Sperava che quel piccolo aneddoto potesse far capire a Daisy che non aveva alcun motivo di temere di essere rifiutata.
    -È stato strano per lei conoscere la magia, ma col tempo ci ha fatto l’abitudine e ha imparato tante cose. Noi eravamo le sue pesti speciali… le saresti piaciuta-, quante cose avrebbe voluto raccontarle, quante nuove persone avrebbe voluto farle conoscere. La mamma avrebbe saputo darle il consiglio giusto con Stefan, l’avrebbe incoraggiata a diventare più indipendente lasciando a Gwyn i propri spazi… l’avrebbe aiutata a capire cosa ci fosse che non andava con suo padre, a capire perché la nonna diceva cose strane su di lui. Le avrebbe sistemato i capelli e fatto compere in centro, facendo tutte le cose comuni tra una mamma e la figlia. Daisy era molto fortunata a poterlo fare.
    -Prima o poi dovrai affrontarli.-, sospirò, non sapendo bene cos’altro dirle per convincerla a riconsiderare la sua decisione. -Solo… non rimandare troppo.-
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    Come sarebbe a dire che non lo sai?, Karen corrugò la fronte in un’espressione perplessa e sollevò lo sguardo su Daisy, che di rimando sembrava più presa dallo sgusciare la pigna davanti a sé che non a risponderle. Poi arrivo una notizia che scoppiettò come il fuoco nel camino: Daisy era stata adottata da una coppia di babbani. La rossa conosceva un’altra ragazza che aveva affrontato la stessa verità e non era finita bene, perché aveva scelto di prendere le distanze con la famiglia adottiva fino ad arrivare ad un punto di rottura che non aveva più consentito di poter tornare indietro. Fu inevitabile chiedersi se la tasso rosso avesse deciso di restare al castello per lo stesso motivo: se in alcuni casi prendere le distanze poteva servire per riflettere e affrontare i problemi con una mente diversa, in altri rischiava solo di distruggere tutto. Dal modo in cui Daisy aveva parlato di suo padre poteva dedurre che con lui aveva un bel rapporto… sarebbe stato davvero un peccato perderlo. Per quanto l’avessero rassicurata che gli eccessi di magia sparissero quando la incanalava nella banchetta Karen non ne era convinta. A lei quei picchi capitavano ancora quando provava emozioni estreme.
    -Potrebbero diminuire… ma non è detto che spariscano. Non finché non avrai risolto quel che hai in sospeso con loro…-, preferì non addolcirle la pillola, la considerava una cara amica quindi indipendentemente che la conoscesse da poco l’avrebbe trattata alla stregua di Corinne e Logan, parlandole in totale sincerità.
    -Da quanto tempo non torni a casa?-, azzardò, dopo un breve istante di esitazione. Daisy non sembrava volerne parlare, ma a cosa serviva rimandare? Più di quanto non avesse già fatto? Per quanto ancora sarebbe rimasta sola con quei pensieri? Non avrebbe fatto altro che morire dentro, un poco alla volta… non avrebbe fatto altro che ferirsi da sola e ferire chi le stava attorno. Aveva bisogno di sentirsi dire che era tutto a posto, che l’avrebbero affrontata insieme, e aveva bisogno di sentirlo dai diretti interessati, dai quali più di tutti temeva di essere giudicata e rifiutata.
    -Forse hanno paura di non riuscire ad aiutarti. Sono babbani, molte cose non le capiscono se non gliele si spiega. Finché non ne parlerete non lo saprai mai-, Karen le afferrò le mani tra le proprie e le strinse con decisione, cercando il suo sguardo. Un gesto insolito per lei che rifiutava il contatto fisico, relegandolo solo a poche persone e solo in particolari momenti di intimità. Con quel contatto cercava di rassicurarla, così come Daisy aveva rassicurato lei nella radura.
    -Lo so che fa paura. Non sarà facile-, c’era il rischio di ferirli in uno scatto di rabbia, come aveva ferito Amy al mare. Ma era un rischio che doveva correre, loro lo avrebbero corso per lei. Se non avessero fatto un passo da ambo le parti rischiavano di non poter aggiustare più nulla…
    -Ma stare lontani non farà altro che peggiorare tutto. Da come ne parli sembrate davvero una bella famiglia… soltanto loro possono darti le risposte che cerchi. E aiutarti a stare meglio. È evidente che ti manchino tanto, sono sicura che per loro sia lo stesso…-, una volta anche lei aveva quello stesso rapporto con suo padre: ricordava una maggiore complicità, la leggerezza con cui scherzavano, la serenità e la contentezza dei piccoli momenti insieme. Dopo la morte di sua madre l'auror si era indurito, la nonna le aveva messo una pulce nell'orecchio troppo grande per una ragazzina così piccola, contribuendo a incrinare un rapporto di per sé precario... non sempre Karen riusciva a confidarsi con lui, anche se avrebbe voluto. La leggerezza con cui dialogavano, la complicità con la quale facevano squadra, le mancava.
    -Se non sei pronta ad affrontare questo discorso con loro non devi farlo subito. Prova solo a vederli... e vedi come va.-
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    Karen tenne lo sguardo fisso sul pavimento, avanzò facendo attenzione a non disseminare cadaveri lungo la via. Quando superò la fontana centrale con i vari lavabo finalmente riuscì a individuare Marsilda: la Corvonero era seduta per terra, nuda, stringeva le gambe al petto e si teneva un ginocchio con una mano. Tutto intorno a sé saltellavano una miriade di ranocchie mentre altre prendevano vita dalla saponetta residua immersa parzialmente in una pozza d’acqua. Quando aveva idea quello scherzo non avrebbe immaginato un risultato così pesante. Lo stomaco venne stretto in una morsa per i sensi di colpa: se si fosse trovata al suo posto sarebbe scoppiata a piangere senza ritegno e avrebbe meditato vendetta fino alla fine dei secoli. Invece, nonostante tutto, Marsilda manteneva una calma invidiabile, innaturale. Fu inevitabile chiedersi se non si trattasse di una calma apparente, se sotto quegli occhi chiari non stesse meditando in realtà di metterle le mani al collo alla prima occasione buona. Karen si voltò, individuando subito l’asciugamano richiesto dalla Corvonero.
    -Piano con i pregiudizi, corvetta. Credevo che la nostra amicizia fosse già oltre i “per favore” e i “grazie”-, ironizzò, sfoderando un’espressione ammiccante. Più Marsilda le avrebbe dato corda con risposte pungenti più Karen avrebbe trovato gusto nel ribattere: difficilmente la rossa lo avrebbe ammesso apertamente, ma quella ragazza era un vero spasso. Nessuno era in grado di riprodurre con fedeltà il modo in cui arricciava il naso o socchiudeva le palpebre quando veniva disturbata o contrariata. Per non parlare dell’abilità con cui riusciva a rendere sottili le sue invettive fantasiose! Come ti insultava lei “tra le righe” soltanto un adulto. A volte sembrava appunto una adulta nel corpo di una ragazzina, un ossimoro che contribuiva a renderla molto buffa.
    -Neanche io cerco il principe azzurro. Vedi? Abbiamo già una cosa importante in comune!-, le sorrise, salvo poi fare una mezza smorfia quando l’altra la rassicurò che un giorno avrebbe smesso di comportarsi da irresponsabile.
    -Prima che possa accedere una sventura simile salirò in sella alla mia scopa e volerò dritta all’Isola che non c’è.-, commentò, allungandosi verso lo scaffale per afferrarne uno più ampio degli altri. Considerata quanta paura avesse delle altezze era tutto dire.
    -Non sembri chissà quanto più grande di me e già farnetichi di responsabilità come una vecchia comare: non capisco tutta questa fretta di crescere-, Ade era identica sotto quel punto di vista: sapendo come era fatta, Karen evitava di confidarle molte cose per evitare prediche e ammonimenti che avrebbe comunque ignorato, inoltre dopo quanto successo al Dark aveva deciso di non coinvolgerla più nelle sue scorribande. Proprio non capiva perché prendessero la vita così seriamente: lungi da lei fare un’ode alla superficialità, ma a lungo andare diventava pesante. Erano ragazzine: che male c’era se ogni tanto si concedevano un momento di trasgressione?
    -Buono tu-, un “crack” tutt’altro che confortante per poco non indusse Sbirro alla fuga e lei a dare di stomaco: muoversi in quel tappeto di rane senza mietere vittime era pressoché impossibile.
    -Al volo!-, Karen lanciò l’asciugamano a portata di Marsilda, poi adagiò Sbirro sul pavimento impartendogli ordini per precisi.
    -Niente prigionieri, Sbirro! vai e conquista!-, il coniglietto cominciò a correre avanti e indietro come un pazzo spingendo le rane a fuggire al suo passaggio, in questo modo aprì un varco permettendo a Karen di raggiungere la corvonero, non senza ancora qualche difficoltà.
    -Ti sei fatta male?-, le si avvicinò, con un cenno le indicò il ginocchio coperto.
    -Non era nei piani causare un incidente diplomatico di questa portata.-tese una mano in sua direzione, esitando brevemente prima di riprendere.
    -Permetti a quest’idiota di aiutarti a rialzarti? Adesso abbiamo un intero bagno a nostra disposizione, non so te ma io non ho paura di sfruttarlo. Certo, appena ci saremmo sbarazzate di tutti gli anfibi...-
  13. .
    If he turns into a prince you won't miss the transformation, but if he doesn't...
    you won't be fooled by some wishful illusion in your head.


    -Il solito infame…-, Karen sbuffò, scostando una ciocca dagli occhi rivolse uno sguardo indispettito al roditore dal pelo cappuccino. Sbirro era bloccato nell’angolo della finestra, il suo corpicino si abbassava e rialzava a un ritmo spaventoso, il respiro così rapido e irregolare era un indicatore molto chiaro di quanto fosse terrorizzato.
    -Guarda cos’ho qui! Non hai fame?-, la sua padrona avrebbe potuto risolvere l’incresciosa situazione con un colpo di bacchetta, come suggerito dalla sua compagna di stanza, ma aveva preferito evitare di ricorrere alle maniere forti nella speranza di instaurare con l’animaletto un legame di fiducia. Optò quindi per una tattica altrettanto subdola ma meno traumatica: tirò fuori dal baule una banana e sgusciò, lasciando una scia di pezzetti fino all’orlo del cornicione. Se era vero che gli animali tendevano ad assomigliare ai loro padroni, non ci avrebbe messo molto prima di abboccare all’amo. Di fatto Sbirro, colto dalla fame, zampettò avanti e indietro avvicinandosi a quei pezzettini di frutta con cautela, annusandoli a lungo prima di cominciare a rosicchiarne uno, poi un altro, finché non raggiunse un punto in cui Karen poté afferrarlo e stringerselo al petto.
    -Preso!-, il coniglietto non ebbe scampo, ma non tentò nuovamente la fuga. La Grifondoro ne approfittò per afferrare il borsone dal letto e avviarsi alla porta schivando le cose sparpagliate sul pavimento.
    Scosse la testa contrariata, pensando a quanto tempo avrebbe perso al ritorno per sistemare tutto prima che le sue compagne, nel vedere quel trambusto, dovessero ricoverarsi in infermeria per un attacco di nervi. Una guerra avrebbe fatto meno danni.
    -Quante storie per un bagnetto-, commentò con una smorfia chiudendosi la porta alle spalle. Uscita dal ritratto della Signora Grassa la tappa designata di quell’incontro era il bagno degli studenti in fondo al corridoio che condividevano con la casata della torre accanto: i temibili quanto spocchiosi Corvonero.
    Era strano percorrere quell’ala sapendo di non incontrarsi con sua sorella. Aveva ricevuto la lettera di Gwyn proprio per pomeriggio: se avesse ricevuto un galeone per ogni lusinga che la gemella aveva scritto su Beauxbatons finita la lettura Karen si sarebbe ritrovata con più oro di quanto ne entrasse nelle tasche della gonna. Non che non ne fosse felice… non totalmente per lo meno. Non si era aspettata che Gwyn potesse trovarsi così bene fin da subito, un pizzico di egoismo in lei sperava che le mancasse così tanto da riconsiderare il ritorno ad Hogwarts. Invece Gwyn stava perfino considerando di chiedere al papà di trasferirsi definitivamente in Francia. Corvonero non era stata la sola a perdere un valido elemento, la prima che risentiva di quel cambiamento era proprio lei. In compenso la casata blu aveva guadagnato una ragazza che aveva attirato la sua attenzione dalle prime battute: Marsilda doppio-cognome, che lei aveva cominciato a mettere in croce battezzandola ironicamente come la famosa marca di saponette. Non era dotata di senso dell’umorismo – anche se era più probabile che fosse la Cavanaugh ad avere un senso dell’umorismo discutibile; in fondo si parlava sempre di una ragazzina che amava alla follia libri di barzellette che non facevano ridere – tant’era che, a giudicare dalla mancata risposta al suo gufo, non sembrava aver apprezzato il cesto di benvenuto che le aveva fatto recapitare in sala comune. Karen confidava che una di quelle saponette presto avrebbe fatto il suo dovere strappandole un sorriso – o un urlo, a seconda di quanto era alto il suo indice di sopportazione per gli anfibi. Quel che non si aspettava era essere stordita dalle urla proprio nel momento in cui aveva spalancato la porta del bagno e non solo: la Grifondoro venne letteralmente travolta da alcune studentesse, molte delle quali ancora in accappatoio o avvolte in grandi asciugamani, che si erano date alla grande fuga.
    -Ma che diamine è preso a tutte quante?-, strinse maggiormente a sé il coniglietto, accigliata. fino a quel momento Sbirro aveva tremato come una foglia; quando sentì gracidare fece un balzo per terra seguendo le tracce umide lasciate dalle ragazze fino ad arrivare alla fonte del trambusto.
    Qualsiasi superficie era ricoperta da rane: la vasca, le docce, perfino i lavandini erano pieni di girini pronti a crescere a tempo record per saltare ovunque.
    -Ah, sei tu-, un sorriso simile a un sogghigno curvò le labbra della rossa, soddisfatta nel vedere che alla fine il suo scherzo era andato a buon fine.
    -Pare che qualcuno stasera si sia lavato con il sapone sbagliato… Marsiglia-, sapone alle uova di rana: l’Emporio degli scherzi di Zonko non deludeva mai.
    -Volevi aumentare le tue chance di trovare il principe azzurro per caso?-
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    Ci voleva coraggio anche a non fidarsi. Karen per un po’ non disse niente, perdendosi in quelle parole. Aveva fatto propria quella frase assimilandone il significato, poteva percepirne le conseguenze sulla propria pelle; se abbassava lo sguardo scorgeva ferite che rimarginandosi non avevano lasciato tracce visibili a occhio nudo, ma si erano aperte in profondità, dentro il cuore. In infermeria aveva detto a Stefan che non si fidava più di lui: parole pronunciate in un momento di profondo smarrimento, ma con una lucidità nitida. Con lui Karen aveva vissuto il suo primo amore: se ne era avvolta da capo a piedi come la coperta che stava riscaldando lei e Daisy davanti a quel caminetto… e per un po’ si era beata di quel tepore. Nell’ultimo periodo quella coperta aveva cominciato a sfilacciarsi sempre più, assottigliandosi e consumandosi fino a emanare solo un debole tepore, insufficiente a ripararla dalle intemperie che si erano abbattute sul loro rapporto. Ogni volta che si rincontravano una parte di tessuto diventava lisa, si strappava rivelando fori e fenditure da cui passavano spifferi d’aria gelida. Se si voltava indietro non riusciva più a ricordare quand’era stata l’ultima volta che vederlo le aveva fatto battere il cuore dalla felicità. Si era chiesta spesso se esisteva un modo per riavvicinarsi senza uscirne ferita ma l’ultimo incontro era stata l’ennesima dimostrazione che non era rimasto più niente da salvare… avrebbe voluto provare ad essergli amica, perché l’amore non finiva quando ci si lasciava, non poteva essere cancellato con un colpo di spugna, ma Stefan non sembrava pensarla allo stesso modo e glielo stava rendendo praticamente impossibile.
    Ci voleva coraggio a non fidarsi, ma ce ne voleva di più a fidarsi ancora. Karen era felice di aver trovato in Daisy una amica sincera: il loro legame era nato spontaneamente senza neanche che se ne accorgesse, bastava uno sguardo per comprendersi a vicenda. Erano poche le persone con cui avvertiva la stessa sintonia. E questo rendeva ancora più difficile sorriderle di rimando, come in quel momento, con il senso di colpa pronto sempre in agguato. Avrebbe voluto confidarle tutto, chiederle scusa, ma non sopportava l’idea di ferirla… così come non sopportava l’idea di perdere un’amica per un momento di debolezza. Era molto combattuta: non era giusto tenere per sé quella bugia.
    -Vero. Non ha senso allontanare tutti… tanto varrebbe nasconderci in stanza e non uscirne più-, abbozzò un sorriso. I suoi amici potevano portarle via tanto ma potevano darle di più di ciò che si prendevano: la vita poteva essere piena di colori se accanto si avevano le persone giuste… per lei Daisy era una di queste. Alla sua domanda Karen scoppiò a ridere.
    -No, dico che devi essere te stessa e fare solo quello che ti va… soprattutto mandarlo a farsi fottere se dovesse trattarti male.-, un monito che si era data anche a sé stessa: non avrebbe mai permesso a nessuno di metterle i piedi in testa.
    -Fantaghirò ha passato più tempo in fondo a un pozzo che nel suo castello perché non ascoltava mai le stronzate che volevo imporle. Anche se era una principessa ha preferito farsi sbattere nelle cucine come sguattera piuttosto che sposare un coglione che voleva solo comandarla a bacchetta, non le fregava nulla di quanto fosse bello-, ricordava ben nitida la scena del principe di Assabel, che con arroganza si era illuso di comprarla con un anello; Fantaghirò si era dimostrata una principessa forte e intraprendente, le aveva sempre ricordato sua zia Enit, tanto che Karen si era immedesimata in loro e si era detta che da grande avrebbe voluto essere altrettanto forte, così forte da riuscire a salvarsi da sola dai pericoli così come la principessa si era tirata fuori da sola dalla caverna della Rosa d’oro.
    -Ci avrei scommesso-, anche lo stregone aveva il suo fascino, ma a differenza del Re l’aveva sempre inquietata. Non le piaceva come il loro rapporto fosse nato da una bugia, né il modo in cui l’aveva indotta a sposarlo col ricatto. Alla fine della storia lo stregone era riuscito a redimersi, ma Karen trovava difficile passare sopra tutte le cattiverie che aveva fatto e sulle persone morte a causa sua. Era colpa sua se la piccola Smeralda non avrebbe più avuto i genitori al suo fianco. Esaurite le chiacchiere sul pirata l’attenzione cadde sul padre di Daisy: Karen sorrise, constatando quanto non potesse essere più diverso da Kain. Non che l’irlandese non avesse senso dell’umorismo, ma non era così aperto con loro come invece lo era il papà di Daisy con la figlia. La ascoltò mentre si confidava sulle magie involontarie: anche a lei erano capitati episodi simili, ma sporadicamente e solo quando ad avere la meglio era la paura di poter morire o che a rischiare la vita fosse qualcuno a cui teneva. Man mano che sgusciava i pinoli li raccoglieva nella ciotola, prendendo tempo su cosa dirle.
    -Quindi… i tuoi genitori non sono maghi?-, domandò. -È per questo che hai deciso di passare l’estate al castello?-, i gufi che le aveva mandato nel corso di quei mesi provenivano dal castello, una stranezza che era saltata all’occhio fin dal primo momento… che Daisy avesse paura di combinare guai a casa?
    -Ricordi quando è stata la prima volta che hai perso il controllo?-, ad Hogwarts non ci aveva fatto caso; se Daisy non le avesse detto di aver appiccato il fuoco ai capelli di Amy sarebbe passata totalmente inosservata.
    -Dipende dalla rabbia. O dalla paura… o almeno… così mi ha detto mio padre. Diventano più forti quando ti senti ferita-, ci fu un breve momento di silenzio, davanti a quella domanda, che Karen spezzò con una fragorosa risata. La rossa la guardò negli occhi, sfoderando una faccia da schiaffi non indifferente.
    -Vorrai scherzare mi auguro. Ho chiuso con l’amore; ci sono tante avventure di gran lunga più belle che mi aspettano là fuori e non me le perderei per niente al mondo.-


    Edited by Elhaz - 25/9/2021, 21:41
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    Karen rimase paralizzata dalle parole di Logan. Quando si rese conto della gravità delle sciocchezze che per rabbia erano uscite dalla propria bocca si vide costretta ad abbassare lo sguardo dalla vergogna. I sensi di colpa la inondarono, colorando di rosso le guance e pizzicandole gli occhi. Era colpa sua se Logan era stato costretto a combattere quella strega, così come lo era stato l’epilogo di quella sera che aveva sfiorato per poco la tragedia: loro avevano rischiato la propria vita per lei, che non solo li aveva messi deliberatamente in pericolo ma li aveva infine traditi, voltando loro le spalle per tornare da Coco e Kristopher. Karen fissò l’erba ai propri piedi e incrociò le braccia al petto, profondamente a disagio.
    -Scusami-, pronunciò mesta, dopo alcuni istanti di imbarazzato silenzio.
    -Non volevo sminuirti… non volevo sminuire nemmeno quel che prova lui. È solo che… ho paura.-, non sapeva più cosa provare, come reagire. Era solo spaventata a morte all’idea che sarebbe potuto accadere il peggio e che non aveva fatto abbastanza per evitarlo. Parlargli era stato completamente inutile, qualsiasi cosa potesse dirgli Stefan restava fermo nelle sue convinzioni, andava avanti per la sua strada imperterrito… per non crollare definitivamente a pezzi Karen non aveva visto altra via d’uscita che la resa. La Grifondoro sospirò profondamente, trattenendosi a stento dal piangere. Sollevò appena lo sguardo quando il tono di suo cugino si fece incredulo, più duro; si aspettava una reazione del genere, si aspettava che sarebbe partito in quarta ed era esattamente quello il motivo per cui non gli aveva detto niente, se non si fosse rivelato strettamente necessario avrebbe continuato a mantenere il segreto.
    -È la verità: papà mi ha fatto promettere di non raccontarti nulla. Temeva potessimo fare… qualcosa di stupido. Non volevo nascondertelo-, rispose, profondamente dispiaciuta. Non era da lei tenerlo all’oscuro di cose tanto importanti, avesse potuto parlargliene lo avrebbe fatto dal primo istante. Per fortuna Logan capì che non aveva avuto altra scelta.
    -Sono maghi oscuri, Logan-, rispose senza mezzi termini. Suo padre aveva preso seriamente la minaccia dello zio di Stefan, l’aveva messa in guardia dal provocarli ancora nel caso in cui si fossero fatti vivi una seconda volta, la stessa Rya aveva ritenuto opportuno metterla alla prova assumendo le sembianze della sua madrina, quindi aveva ragione di temere da tutti loro.
    -E chissà che non facciano di peggio. È stata la madrina di Stefan a consegnarci le lettere di Coco, sa come trovarla… non escludo che gli zii di Stefan siano come lei: Mangiamorte-, per stessa ammissione del Serpeverde le lettere gli erano state consegnate dalla sua madrina; le due si conoscevano, lei sapeva come rintracciare Coco. Non ci voleva un Corvonero per fare i dovuti collegamenti.
    -Stefan è nella merda fino al collo, cugino… e non permette a nessuno di intromettersi.- questa volta la rossa lo ascoltò con la lucidità giusta per riuscire, se non ad entrare nel merito, quanto meno a sfiorare il ragionamento che aveva portato Stefan ad allontanarsi. Probabilmente l’irlandese aveva ragione: pur di sapere lei e suo padre al sicuro aveva preferito rimetterci di suo e lavare i panni sporchi in famiglia.
    -Lo so che lo fa per me… è solo dannatamente difficile accettarlo-, la rossa si morse il labbro, ancora una volta chinò il capo. In quel periodo aveva sbattuto ripetutamente la testa contro i limiti dovuti alla sua età, al suo carattere: aveva capito che non poteva esercitare il controllo su tutto, spesso le cose non andavano come si era aspettata inizialmente, e se ne era ritrovata spaesata. Quando l’altro le domandò se c’entrasse l’essere banshee Karen chiuse gli occhi e trattenne il respiro, resistendo a malapena alla tentazione di vuotare il sacco. L’abbraccio la colse impreparata, ma fu la medicina per curare il malessere che da mesi le avvelenava il cuore e lo spirito: tutto quello di cui aveva bisogno era la presenza di qualcuno che la stringesse a sé e che le ricordasse che andava tutto bene, che tutto si sarebbe aggiustato. In quella radura si lasciò andare a un gesto insolito per lei: trovò rifugio in quel calore, e timidamente sollevò le braccia per cingergli la vita, ricambiando la stretta. Logan c’era sempre stato per lei, nei momenti peggiori non aveva esitato a rischiare la vita per lei, era uno dei punti cardine della sua vita… sapere di poter contare anche su di lui riuscì a scacciare le ombre che avevano scurito il suo sguardo, almeno per il tempo in cui sarebbero rimasti insieme. Riuscì a ricacciare indietro le lacrime quando i loro occhi si incrociarono, e si concesse una risata spontanea, sincera, nel sentir nominare il vecchio Jack.
    -Siamo buzzurri irlandesi, il pericolo è il nostro mestiere. Ce l’abbiamo nel sangue!-, ribatté prontamente, sorridendogli con fierezza.
    -Staranno bene?- Karen si voltò verso la famiglia di ippogrifi, notando che per fortuna la mamma non avesse niente di rotto. Si erano soltanto presi un grande spavento. Ogni volta trovava incredibilmente affascinante l’affinità che Logan mostrava verso le creature, passione comune a entrambi, ma il modo in cui suo cugino riusciva ad entrare immediatamente in sintonia con loro era diverso.
    -Se stai cercando di corrompermi sappi che funziona benissimo-, gli sorrise complice.
    -Non si rifiuta una burrobirra irlandese. Soprattutto se accompagnata da schifezze e un death match a squadre!-, lo seguì senza esitare, col cuore più leggero e la felicità nello sguardo. Non lo avrebbe mai ammesso apertamente neanche sotto tortura, ma Logan le era mancato. Tornare in quella tenuta era sempre come tornare a casa.
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