I lezione di Incantesimi - III / IV / V anno.

Confundus - Insomnium - Dolcisonium

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  1. ‹ Astrid ›
     
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    Si sentiva così elegante, con quell’abito greco e il candelabro alzato come una torcia. La sua espressione allegra e vittoriosa(?) scemò quando se lo sentì sfilare dalle mani, percependo gli effetti dell’incantesimo scemare. Poteva tenere…il cappello? Astrid si toccò la testa, e arrossì, rimuovendo il paralume salmone e osservando la veste improvvisata piena di imbarazzo. Se la tolse rapidamente e lanciò la tovaglia su un mobile a caso, stringendosi nelle braccia, incrociate al petto. Che figura barbina, accidenti.
    Certo, gli altri non sembravano messi meglio: Daisy aveva in testa un…vaso da notte? E Ralph era tutto sporco d’uovo. – Ma che hai fatto??? – fece per ripulirlo delle piume di cui testa e spalle erano disseminati, con piccoli schiaffetti. Poi si ricordò: – …Mi hai presa per un pollo. – gli disse seria, prima di scoppiargli a ridere in faccia. – Solo tu potevi farlo. –
    Astrid osservò il professore cercare di riassestare la situazione, un passo alla volta, e strabuzzò gli occhi quando vennero tolti ben 10 punti alla sua casa. A quel punto si rese conto, a mente lucida, dell’attacco alle spalle di Rick… se ne pentiva? Solo in parte. Usare Ralph come scudo era stato altrettanto sbagliato. Non ci vedeva poi molta differenza. E poi anche Marsilda aveva fatto la stessa cosa… erano in tre, in pratica. Questo la fece sentire un po’ meglio. – Scusa – fece da lontano a Daisy, a causa di quei punti persi. Almeno ne aveva recuperati cinque, per una corretta esecuzione dell’incantesimo.
    Rimase a bocca aperta quando vide la gallina tramutarsi in un elfo domestico. – Ma… poverino – sussurrò a nessuno in particolare, realizzando che fosse avvenuto un vero e proprio maltrattamento nei confronti di quella creatura, che, di tutta risposta, incenerì Ralph con lo sguardo. Ne aveva tutte le ragioni. – Tu non riesci proprio a non inimicarteli, vero? – scosse il capo, gli occhi al cielo. Di quel passo avrebbero organizzato una squadra omicida.
    Pozione Soporifera. Interessante. Ma per cosa?
    “Vorrei che la Signorina Everett-Millais e la Signorina Lavin ne prendessero una a testa, per favore.” Oh no. Non prometteva bene. Perché solo loro due? Era sicuramente una punizione.
    Effetti avversi. A volte terribili. Astrid allontanò d’istinto la fialetta da sé, che ribolliva in modo per nulla allettante.
    Ascoltò la spiegazione del professore, con un’insolita attenzione data da nient’altro che dall’ansia. Quelli non erano incantesimi del quarto anno. C’erano solo due persone che potevano usarli…
    “Vorrei che provaste alternativamente, l’Insomnium prima e il Dolcisonium dopo, su di loro. Signor McCormac lei sulla signorina Everett-Millais, mentre il Signor O’Connell sulla Signorina Lavin.” …ecco qua. Fu in quel momento che si rese conto che no, non poteva tirarsi indietro. Non poteva mostrarsi timorosa. Non davanti a lui. Lo avrebbe fatto sentire potente. E lei si sarebbe comportata da pecorella. Non gli avrebbe dato questa soddisfazione.
    Astrid fu lieta di vedersi passare davanti Marsilda, non avendo la minima fretta di finire in un nuovo incubo targato Rick. Un incubo che, conoscendolo, sarebbe stato doppio: la ragazza dubitava che si sarebbe sprecato in immagini positive, non ne suoi confronti, per lo meno, anche se avrebbe apprezzato potersi ricredere, anche solo in favore della buona riuscita dell’esercizio.
    Vide Marsilda bere la pozione, stendersi e addormentarsi. Fu tutto molto veloce; un po’ meno l'esecuzione dei sogni, che a giudicare dalle espressioni sul suo volto sembravano davvero tanto nitidi. Si strinse nelle braccia nervosamente, mentre attendeva il risvolto positivo: la vide sorridere, e da lì a pochi minuti si risvegliò.
    Sembrava visibilmente scossa. Astrid le rivolse un sorriso incoraggiante, empatizzando con lei.
    Poteva ancora tirarsi indietro… ma non lo fece. Non sarebbe stato giusto. E non perché sarebbe sembrata una fifona, ma perché non voleva che Marsilda fosse l’unica a passarci.
    Eppure aveva tutte le sensazioni negative del mondo, quando si distese sul divano della propria sala comune. Per sistemarsi sul posto, tastò gli angoli, e tirò fuori un lecca-lecca imbustato che pensava qualcuno avesse mangiato al suo posto. Ma nessuno li puliva, quei divani? Comunque… era il momento di concentrarsi: fece un respiro profondo, ingoiò il contenuto della fiala tutto in un sorso e si distese, tenendo gli occhi aperti, attendendo che si chiudessero da soli.
    Non fece in tempo a percepire Rick chinarsi su di sé.
    Si trovava di fronte a un palazzo bellissimo: sembrava quello delle favole. Cenerentola, o la Bella Addormentata. Spinse il largo portone ed entrò, accolta con gentilezza e accompagnata su per una larga rampa di scale. Era vestita elegantemente, un abito talmente bello come mai ne aveva visti: si sentiva leggiadra, ma allo stesso tempo imponente, si sentiva benvoluta. Era una sensazione bellissima. Astrid non capiva: forse aveva iniziato con l’incantesimo sbagliato?
    Arrivata in cima, la prima cosa che vide fu un manifesto: vi era il suo volto, sorridente e raggiante, che invitava alla sua… mostra. Si portò una mano al petto, fortemente emozionata. Chissà che dipinti ci avrebbe trovato?
    Si fece strada in mezzo alla folla vestita d’altri tempi: ampie gonne, orologi da taschino, capelli acconciati e decorati in maniera vistosa, balze e pizzo ovunque.
    Si trovò in un’enorme sala circolare, dove dovevano trovarsi i dipinti. Però non riusciva a vederli: la folla era eccessiva, e copriva lo sguardo da tutte le direzioni. Possibile che i suoi dipinti avessero ottenuto un così grande successo?
    Un senso di confusione la avvolse, quando iniziò a venire sbatacchiata da una parte e poi dall’altra; le stavano facendo male, non era cortese!
    Cercava in tutti i modi di farsi largo tra nobili, dame e quelli che sembravano importanti critici d’arte; voleva arrivare in fondo alla sala, a muro, lì dove i dipinti stavano esposti.
    A un certo punto la folla si aprì da sola, lasciandole il passaggio libero… ma non vide ciò che si aspettava di vedere. Tutt’altro: tele vuote. Ma com’era possibile? Si avvicinò, per passare i polpastrelli sulle tele bianche come le sue dita; in bassò un’etichetta con su scritto: “Vuota come la sua artista.” Cosa…??!
    Si diresse verso ogni tela disponibile: erano tutte uguali. Attorno a lei, un vociare caotico di pareri negativi e giudizi cattivissimi: “È tutto fumo”, “Bella senz’anima”, “Mai una mostra così deludente”, “Non mi aspettavo nulla di più”, “È qui solo grazie a sua madre”, “Che vergogna”.
    Astrid trattenne un singhiozzo soffocato, portandosi una mano alla bocca. Gli occhi iniziavano a farsi lucidi, una potente vergogna la invase, mentre ogni persona presente iniziava ad abbandonare la stanza, lasciandola sola. Le veniva da vomitare.
    Poi corse fuori, si aggrappò alla balaustra e iniziò ad alzare la voce: “Devono aver rubato i miei dipinti, per forza! Dev’essere un cattivissimo scherzo! Non sono vuota! Non sono…” si lasciò cadere, le mani che scivolavano sul marmo, rendendosi conto che nessuno, ma proprio nessuno, voleva starla a sentire.
    Non restava che andarsene di lì. Non desiderava altro, in quel momento.
    Si precipitò lungo le scale, tenendosi il vestito con enorme difficoltà, cercando di non cadere. Poi, sulla soglia, vide una figura indistinta; strinse gli occhi, cercando di visualizzarla, ma non ci riusciva. Questa alzò la mano nella sua direzione, rassicurante; voleva accompagnarla fuori. “Tu mi credi? Chi sei…?”
    … ma non ci fu risposta. Si risvegliò di soprassalto, ansimando. Si era dimenticata dell’esercizio: si era dimenticata che fosse un sogno. Si mise subito a sedere, le mani sulle ginocchia. Deglutì: doveva calmarsi. Un respiro profondo, per poi buttarlo fuori con calma. Ripeté l’esercizio un paio di volte, prima di scattare in piedi.
    – Non è riuscito a farmi uscire dall’incubo – dichiarò al professore, con una serietà piatta, cercando di mostrarsi impassibile, di non guardare in faccia nessuno.
    – Come pensavo, non mi hai stupita nemmeno un po’. – si fermò accanto a Rick giusto il tempo di sussurrare quelle parole, guardandolo intensamente: aveva colto il segno, complimenti… successivamente non aveva fatto che mostrarsi per quello che era.
    Tornò ad affiancare gli altri, in silenzio. Non doveva farsi trapassare da quelle parole. Non doveva cedere al suo gioco.



    Chiesto scusa a Daisy, sorriso gentilmente a Marsilda, interagito con Rick, Ralph e il proffo.
     
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