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Recupero di Incantesimi

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    -Stormind. Ti aspetto più tardi in aula-, nel passare accanto al tavolo del tassorosso Erik rivolse al ragazzo un sorriso cordiale e accomodante. Pochi giorni prima lo aveva sentito parlare da solo davanti alla bacheca scolastica, scoprendo che la sua preoccupazione fosse motivata dal non aver avuto ancora modo di recuperare pienamente gli incantesimi mentali che il professor Carter aveva loro insegnato in occasione in una delle primissime lezioni di inizio trimestre. Erik avrebbe lasciato cadere la faccenda nell’indifferenza totale non fosse che, in una delle ultime conversazioni a tavola con suo padre e la sua madrina, era emerso quanto il passato del ragazzo fosse singolare, più di quanto avrebbe potuto mai sospettare. L’ex studente di Durmstrang aveva quindi ritenuto opportuno compiere un passo indietro, proponendogli uno scambio: lo avrebbe aiutato con Incantesimi se l’altro, in cambio, avrebbe fatto altrettanto con Difesa Contro le Arti Oscure, materia che di recente aveva saltato per un malore che lo aveva colto improvviso in dormitorio. Non che ne avesse bisogno: ufficiosamente l’istruzione di Erik era completa, ma con il fiato di McCormac senior contro il collo e lo sguardo di Carter puntato dietro la schiena era necessario esercitare cautela. Essendo la sua casata sprovvista di una figura di riferimento a cui poter chiedere un recupero, se si escludeva il proprio capocasata che non avrebbe mai scomodato per una piccolezza del genere, si era creata quindi l’occasione perfetta perché i due potessero incrociarsi. Si era limitato quindi a chiedergli soltanto un permesso firmato da poter consegnare al docente di Incantesimi, scavalcandone l’autorità, perché a entrambi fossero concesse un paio d’ore per esercitarsi nella privacy totale.
    -Non c’è granché su cui dilungarsi: entrambi agiscono sulla mente, stimolando i sogni in modo positivo o negativo a seconda della volontà del mago. Per avere una reale percezione degli effetti e poterli successivamente replicare sarà indispensabile provarli personalmente-, Erik gli aveva già mostrato il movimento corretto da eseguire e le formule, così trasse dalla tasca della divisa, nera come pece e più anonima rispetto a quella dei classici colori verde argento, due ampolle dal medesimo contenuto. Le posò sul tavolo alle proprie spalle.
    -Distillato della morte vivente: dieci gocce ti faranno sprofondare in un sonno profondo per dieci minuti, ma da dormiente ne sembreranno molti di più.-, ore intere, perfino.
    -Non te ne accorgerai neanche. Procediamo non appena ti sentirai pronto-, per qualche secondo Erik lo scrutò senza dire niente. Era da giorni che lo osservava: tra gli studenti del castello gli era parso l’unico che avvertiva vagamente affine, all’apparenza sembrava innocuo ma c’erano momenti in cui un’ombra nel suo sguardo prendeva il sopravvento rabbuiandone l’espressione e rendendone le azioni più nervine.
    -Quanto conosci bene il castello, Stormind?-
     
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    In quei giorni d’epilogo di novembre, giaceva in un baratro di smarrimento e perdizione il giovane dall’intimo in perpetuo conflitto esistenziale. Diminuire le dosi di Pozioni dell’umore gli aveva concesso di ritrovar il favore della propria volubile e sfuggente Musa, ma aveva altresì destato Mr Hyde che aveva a poco, a poco gettato la sua esistenza in una caotica anarchia: sol bramoso d’assecondar il proprio impetuoso estro ed il proprio creativo diletto, il lunatico e selvatico Stormind era infatti divenuto insofferente al rispetto delle regole e menefreghista verso i propri oneri scolastici, collezionando richiami, punizioni e voti sovente al di sotto della soglia dell’Accettabile. Un baratro da cui s’era imposto di tentare d’uscire, poiché non poteva permettersi che i suoi genitori venissero avvisati della sua condotta e decidessero d’intervenire per costringerlo a rispettar il regime corretto delle cure, lo stesso che lo aveva reso prigioniero d’una caligine che gli aveva ottenebrato la vista, la mente, la vita medesima.
    Per questo aveva accettato la proposta del talentuoso e promettente ex studente di Durmstrang di collaborare per il recupero di alcune nozioni fondamentali di Incantesimi e di Difesa Contro le Arti Oscure: poiché conscio che egli sarebbe stato inflessibile nel castigare la propria reticente oziosità e che senza dubbio alcuno non avrebbe ceduto alla distrazione delle sue scaltre moine, come la studentessa che dava sovente ripetizioni ai suoi compagni per guadagnare qualche galeone, ma che non aveva avuto la caparbietà di tenergli testa e la fermezza necessaria a rimetterlo in riga.
    Invero, era altresì un’altra la ragione che lo aveva spinto ad accogliere tale non vaticinata alleanza con il Serpeverde dallo sguardo di tenebrosi e tortuosi abissi. Una ragione meno…nobile. Lo aveva osservato l’aspirante cantautore, con quello sguardo d’artista che era sedotto da ogni minuzia fuori posto, dall’eccentricità nel tedio d’un contesto statico e banale; e lo aveva trovato distaccato da ciò che lo circondava come se fosse troppo…diverso per appartenere appieno al ritratto dello scenario in cui si muoveva. Forse troppo superiore, invero, alle controfigure con cui pareva costretto ad aver a che fare, adeguandosi, persino sminuendosi. Nei suoi gesti, nel suo verbo, aveva colto infatti una profondità ed una maturità che erano poco usuali per un giovane imberbe, persino sbagliate. E perciò aveva avuto l’impressione che Rick fosse a sua volta un pezzo di puzzle incastrato in un disegno di cui spezzava l’armonia, ma che a differenza sua aveva saputo adattarsi, camuffandosi per non esser scorto nelle proprie diversità, nel proprio distacco. Probabilmente, però, quella non era altro che l’illusione d’un disperato che sol anelava non essere il solo fuori da ogni schema, l’unica nota stonata in una melodia altrimenti perfetta. E ne era conscio André, che pure non aveva potuto evitare di sperare di poter apprendere dal Serpeverde dallo sguardo di tenebra come manipolare e domare il proprio essere sin a riuscire infine ad appartenere ad un branco. O, quantomeno, a fingere d’appartenervi.
    - Non sei uno da arzigogolati preamboli, deduco… - non che invero si fosse aspettato un approccio diverso, ingentilito da futili convenevoli che avrebbero sol impedito loro di sfruttare ogni granello di clessidra del loro tempo per il raggiungimento dello scopo perseguito.
    In silenzio, si dedicò dunque ad osservare con attenzione la bacchetta di Rick disegnare due invisibili forme a mezz’aria con movimenti che furono uno l’opposto dell’altro, com’eran invero gli incanti che André avrebbe dovuto apprendere.
    - Mai avrei pensato di dover interpretare una moderna Giulietta, un giorno… - parlò con sarcasmo, fingendo accondiscendenza, eppure dal cupo cipiglio sul suo volto fu palese quanto poco incline fosse ad assumere quel distillato: non era invero la possibilità di non destarsi più qualora la pozione non fosse stata preparata con precisione a farlo indugiare, quanto la prospettiva di privarsi d’ogni controllo sulla propria mente, per offrirla alla mercé di quel giovane dalla torbida identità. Cosa sarebbe accaduto se nell’incoscienza manipolata da quegli incantesimi Mr Hyde fosse riuscito a dominare appieno Dottor Jekyll? Sarebbe stato capace di controllarlo ancora una volta ridestatosi dall’indotto sonno? Dovette ammettere di temere le conseguenze del rischio nelle cui spire si stava incauto gettando. - Pronto a permetterti di giocare con la mia testa? Non lo sarò mai, ma non ho alternativa, per cui... - prese una delle due ampolle che il compagno aveva depositato sul tavolo alle sue spalle, senza distogliere il proprio sguardo di tempestose nubi dal giovane dall’indole imperiosa ed impassibile. - procediamo. -.
    Odorò il trasparente contenuto della boccetta prima di portarsela con riluttanza alle labbra, incapace di denudarsi della propria diffidente circospezione. - Non basterebbe una vita per conoscere bene questo Castello… - aggrottò le sopracciglia, meravigliato ed al contempo costretto in allerta da quel quesito posto con calcolata e apparente noncuranza. “Dove vuoi arrivare, O’Connell?” il suo sguardo si fece inquisitore, adombrato dal sospetto che gli serpeggiava nelle viscere. – deduco sia inutile indagare sul motivo di questa domanda per cui… - avvicinò una volta ancora il bordo dell’ampolla alle labbra, deciso ad accettar ed a giustificar ogni scomodo mezzo necessario all’ottenimento del suo fine. - alla salute. - celiò con funeree e rassegnate note nella roca voce, prima di permettere al Distillato della Morte Vivente di scivolargli nella gola.
     
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    -Nel contesto adatto non ne lesino, mettiamola così- Erik abbozzò un sorriso davanti alla perspicacia del Tassorosso. Se c’era una cosa che aveva capito osservando gli studenti del castello, era quanto il silenzio assordante di André Stormind spiccasse in quel caos: il ragazzo si mostrava un acuto osservatore, per quanto l’anno di frequenza gli ponesse dei limiti ben precisi nascondeva del potenziale latente che lo avrebbe reso un grande mago se seguito dalla persona giusta. André lo aveva incuriosito fin dal primo momento per le ombre che Erik aveva scorto nel suo sguardo, trovandovi all’interno un che di familiare: quale sorpresa era stata scoprire in quell’anima affine un passato altrettanto oscuro, di cui l’altro era, tuttavia, tristemente ignaro.
    -Forse non avrai un’alternativa-, esordì, avvicinandosi con cautela mentre lo osservava afferrare una delle ampolle che aveva lasciato sul tavolo.
    -Ma sono certo che con la giusta lucidità non ti sarà difficile trovare una scappatoia-, esisteva sempre un cavillo per gabbare una situazione scomoda: soltanto un tipo di magia non poteva essere gabbata, nessun Mago sfuggiva alla morte quando ne udiva la sentenza. Le altre conoscevano una soluzione: spesso non era immediata, il più delle volte richiedeva un’esperienza di cui loro non disponevano… ma esisteva. Il tempo e le circostanze favorevoli avrebbero contribuito a crearla, allo stesso modo in cui avevano agevolato il loro incontro.
    -Potrai rendermi il favore al tuo risveglio.-, lo rassicurò, attendendo pazientemente che mandasse giù il liquido incolore. Impiegarono pochi secondi prima che il distillato della morte vivente agisse. Avendolo preparato di suo pugno Erik non ebbe alcun dubbio circa l’efficacia del sonno indotto, motivo che lo indusse ad agire senza tergiversare oltre.
    -Insomnium-, non appena l’incantesimo colpì il ragazzo, Erik lo vide contrarre lo sguardo in modo quasi impercettibile. André aveva ragione: non esisteva cosa peggiore del non avere padronanza di sé stessi ed essere sotto il gioco di un’altra persona. Il ragazzo di Durmstrang lo aveva imparato a proprie spese quando si era lasciato soggiogare da quella donna; tuttavia, non aveva mentito quando gli aveva parlato di una via d’uscita, lui per primo ne era la prova.
    -Sei al quartier generale del ministero, la spilla della divisione è appuntata sul tuo petto. Ci sono stati disordini in reparto, vieni condotto davanti alla sala interrogatori: dall’altro lato del vetro un Mangiamorte è sottoposto a interrogatorio da un Auror… quest’ultimo ti è familiare, porta il tuo stesso cognome-, i toni dell’interrogatorio presto si sarebbero accesi raggiungendo un punto di rottura e una reazione inaspettata da parte dell’Auror, che avrebbe reagito male ad alcune parole pronunciate dal Mangiamorte.
    -Il Mangiamorte si volta, ti guarda… e ti riconosce. L’Auror ti scavalca senza neanche sfiorarti ed è allora che tutto ti è più chiaro: hai appena perso un padre… ma allo stesso tempo ne hai ritrovato un altro.-
     
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    Lucidità…”. Gli sfuggì una tetra risata, che spirò svelta in uno sghembo sorriso dalle amare sfumature, quasi una smorfia. - Se questo è il prerequisito per contrastare l’incantesimo, resterò alla tua mercé probabilmente per l’eternità. - sentenziò con verbo senza dubbio alcuno melodrammatico e teatrale enfasi, eppure non disonesto: da tempo oramai aveva infatti obliato la sensazione d’esser appieno lucido. Persino in quelle ultime settimane in cui aveva diminuito le dosi degli stabilizzatori dell’umore, la sua mente giaceva in un perenne e vago torpore, assoggettata al caos dei propri contraddittori pensieri e delle proprie creative ispirazioni, a cui falliva nel donar ordine. Solo di tanto in tanto, e difficilmente su proprio intento, una folgore di lucidità squarciava la tempesta imperversante nella sua scatola cranica ed i suoi ragionamenti divenivano nitidi e vividi, precisi e perspicaci, permettendogli d’eccellere contro ogni vaticino. Tuttavia…tuttavia André dubitava che sarebbe stato sufficiente…che la sua ragione per quanto voluttuosa e feroce potesse sopraffare il talento magico del Serpeverde dallo sguardo di tenebrosi e tortuosi abissi, di cui aveva notato le doti in diverse occasioni. - Comunque, confido nel fatto che presto o tardi ti stancherai di far il burattinaio della mia mente. -.
    Lo sghembo sorriso dell’aspirante cantautore si modellò in un malandrino e beffardo ghigno, allorché Rick gli palesò la prospettiva di poter a sua volta tentare di manipolare la sua ben protetta mente, presentandogliela come un'allettante occasione di riscatto, persino di vendetta. - Con piacere - l’intento fu di suonar ironico, poiché Dottor Jekyll non avrebbe tormentato la mente del giovane dalla torbida e artificiosa identità con malsano diletto. Eppure…eppure non poté che essere conscio di come Mr Hyde avrebbe invece gioito di poterne dominare l’inconscio, costringendolo in quel medesimo caos che sperimentava ogni giorno dacché aveva ricordo. Per non essere solo…per non essere l’unico sbagliato…l’unico incapace d’assecondare le proprie aspirazioni, di non deludere le proprie aspettative…l’unico fallimento.
    In pochi graffi di plettro, il distillato lo costrinse ad annegare nella morte apparente e lo rese così attore d’un dramma di cui gli erano ignoti gli atti, le battute, il fine…
    In principio, lo scenario gli apparve sfocato, dai contorni indefiniti e tremanti. A poco, a poco però ciò che lo circondava si fece nitido, persino più della realtà che osservava ogni giorno. E con le immagini, giunsero altresì i suoni: plurime voci irrequiete ed inquiete venivano sovrastate dal rumoreggiare di passi concitati – i propri stessi passi. Stava percorrendo ad ampie ed algide falcate un corridoio vegliato da persone che lo osservavano, che lo giudicavano per l’empio peccato che compiva ogni giorno: quello d’esistere.
    Due guardie proteggevano la porta della stanza degli interrogatori che sapeva essere la sua destinazione, ma non esitarono a concedergli d’oltrepassarne i battenti, salutandolo senza neppure guardarlo in volto. Erano Auror…erano suoi compagni…eppure lo ripudiarono come la feccia che avevano cacciato insieme, rischiando la vita missione dopo missione.
    La bilancia delle sue emozioni piombò nella negatività e il suo umore si fece tenebroso e tempestoso com’il suo sguardo, mentre prorompente gli aggrediva le viscere l’istinto di ferirli come loro lo avevano ferito con quello sdegno. Un istinto che tuttavia poté controllare, poiché aveva infine accettato Mr Hyde come parte di sé e anziché rinnegarlo, aveva appreso a dominarlo.
    Entrato nella sala, oltre il vetro riconobbe in pochi graffi di plettro suo padre: Roussell gli dava le spalle, chinato in avanti sull’interrogato a cui era pericolosamente prossimo, facendosi beffe d’ogni protocollo di sicurezza.
    - Che cosa vuoi da mio figlio? - l’Auror sbatté il pugno mancino sul tavolo ed il movimento permise ad André di scorger il volto dell’uomo che era stato catturato: fu come osservarsi in uno specchio e la meraviglia lo fece inconsciamente approssimare al vetro, sin quasi a sfiorarlo.
    Una risata malevola e folle proruppe dalla gola dell’uomo, che s’agitava come una maledetta fiera costretta in catene. - Ancora non l’hai capito? Non è tuo figlio… - un sibilo che fece scattare Roussell e lo indusse a puntargli la bacchetta alla gola. Fu a quel punto che l’interrogato si volse verso André e lo intrappolò con uno sguardo tempestoso, contraddittorio, sbagliato. Il suo stesso sguardo…
    Si voltò anche suo padre e, come se il vetro a specchio fosse scomparso, parve riuscire a vederlo, a guardarlo con delusione e risentimento. - Papà… - lo invocò con voce smarrita, cercando di trovare nell’uomo risposte e soluzioni come sempre aveva fatto, rialzandosi ad ogni fallimento sol per esser degno della sua approvazione.
    Per qualche effimero istante, l’aspirante cantautore credette che quello che aveva conosciuto come suo padre lo avesse udito, che si stesse allontanando dal Mangiamorte e lo stesse raggiungendo per chiarire quanto appena accaduto. Per rassicurarlo sul fatto che quelle non fossero altro che menzogne e che sarebbe sempre stato suo figlio, a prescindere dai propri errori, dai propri fallimenti. Tuttavia, allorché furono l’uno di fronte all’altro, Roussell non proferì verbo ed invece s’allontanò altresì dal suo cospetto, abbandonandolo, giudicandolo, ripudiandolo.
    Di repente si ritrovò dall’altro lato del vetro, incatenato ad una sedia. La spilla appuntata al suo petto iniziò a colare e le dorate lacrime cadenti gli arsero la pelle dell’avambraccio scoperto. Un avambraccio da cui un nero teschio lo osservava. - Il marchio…mi dispiace, papà…mi dispiace di non esser il figlio che volevi… -.


    Edited by soul of art and anarchy - 2/1/2023, 16:32
     
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    Erik osservò scrupolosamente qualsiasi cambiamento nelle espressioni del viso di André, attraverso le quali cercava indizi per comprendere quanto il tassorosso stesse assimilando delle proprie parole; in questo modo avrebbe colto in che direzione muoversi affinché, al suo risveglio, non l’altro non percepisse l’attuale vissuto soltanto come un incubo da lasciarsi alle spalle. I dubbi che gli stava instillando sul suo percorso dovevano scavargli l’anima fino a sedimentarsi nel profondo del suo inconscio; così Erik avrebbe potuto essere presente nel momento in cui il ragazzo avesse avuto bisogno di una guida o di un sostegno pronto a sorreggerlo per impedirgli di crollare quando le fondamenta della sua vecchia vita si fossero sgretolate, riducendosi in polvere.
    -L’Auror ti guarda un’ultima volta come se fossi un estraneo. Ha compreso che il ragazzo che lo hanno indotto a chiamare “figlio” non è mai esistito.-, l’Auror non era degno di definirsi padre e poco importava che considerasse André suo figlio: nel momento in cui la verità sarebbe emersa in superficie, essa avrebbe colpito entrambi come uno schiaffo in pieno volto, marcando quanto per quelli come loro contasse soltanto una cosa: la linea di sangue. Il destino dello studente era stato deciso ancor prima della sua nascita, quando quella strega aveva deciso di unirsi al suo compagno: un uomo devoto alla causa dell’Oscuro Signore che, se fosse stato ancora vivo per poter agire, non avrebbe esitato a reclamare la propria eredità, affinché un giorno suo figlio potesse affiancarlo, ricoprendo il ruolo e il posto che gli spettava di diritto.
    -Adesso siete soli in stanza, tu e l’uomo con il tuo stesso sguardo. Nei suoi lineamenti rivedi i tuoi, finalmente può conoscerti: prima tua madre, poi la Dama Oscura, gli hanno celato la tua esistenza. Ti basterà voltarti: Eloise vi osserva commossa dall’altra parte del vetro, chinando la testa per il peso che può finalmente lasciar andare via.-, una vita di menzogne. Una parte costruita ad arte che mostrava una moglie devota e affettuosa, una madre amorevole e premurosa. Una macchia che avrebbe intaccato il cognome di André per sempre. Perché era quello il modo in cui venivano considerati i consanguinei dei Mangiamorte, un giudizio dettato da una morale corrente ipocrita e distorta. Ricevere il Marchio non era un abominio ma un onore e le settimane che Erik stava trascorrendo in quella scuola lo convincevano sempre più della necessità di un cambiamento di rotta radicale per il mondo magico, se di lì a pochi decenni intendevano preservare la Magia.
    -La famiglia è finalmente riunita. Questo il commento che tua madre ti lascia sfuggire dopo che le hanno permesso di raggiungervi. In te non c’è niente di sbagliato: è orgoglio che leggi nei loro occhi. Tutto è esattamente come dovrebbe essere. -, non ancora: ma un giorno lo sarebbe stato. André doveva realizzare di essere stato fuorviato, accettare il percorso che la vita gli aveva riservato e rendersi conto di quanto poteva considerarsi fortunato ad essere stato scelto… perché aveva tutte le qualità e le abilità necessarie per poter andare fino in fondo: Erik le aveva intraviste, il ragazzo aveva del potenziale che, per qualche motivo che non gli era ancora chiaro, tendeva a restare in parte inespresso.
    -Adesso svegliati- qualunque fosse la catena che lo frenava, Erik avrebbe fatto in modo di allentarla. Perché potesse essere egli stesso a spezzarla.
     
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    Goccia. Goccia. Goccia.
    La spilla dorata che un tempo gli era appartenuta seguitava a sciogliersi senza che potesse impedirlo, ardendogli le vesti e la carne sinché non poté più sopportarlo e fu costretto a strapparsela di dosso, ferendosi le dita così com’era stata ferita la sua anima. In pochi graffi di plettro, di quell’oggetto che aveva indossato con onore ed onere non rimase che una macchia deforme sul pavimento, destinata a svanire a poco, a poco come ogni sua speranza d’essere diverso, d’essere migliore.
    Allorché alzò lo sguardo di cineree nubi di tempesta, vide il proprio riflesso nel disgustato sguardo di quello che per tutta la vita aveva appellato ‘papà’ e seppe che quella sarebbe stata l’ultima volta…che Roussell Stormind non l’avrebbe mai più guardato. Né con amore, né con disprezzo.
    Divenne un orfano oltre quel vetro che lo separava da ciò che era stato un tempo, eppure voltandosi con rancore e rassegnazione verso il proprio avvenire, di repente non lo fu più: incontrò altri occhi in cui cercare risposte ai quesiti che lo tormentavano dacché aveva memoria ed in essi riconobbe il medesimo caos che gli imperversava nell’intimo. Uno sghembo sorriso – il suo medesimo sghembo sorriso – si dipinse sulle labbra dell’uomo che aveva dinnanzi, di quel padre che gli era stato sottratto per esser cresciuto su un castello di bugie che oramai era crollato, come effimero fortino di carte.
    L'uomo gli mostrò l’avambraccio segnato dalle tenebre della Morte e André fece lo stesso con il proprio: un unico scopo…un unico destino…una sola la rotta da intraprendere. - Accetta chi sei. - lo dissero all’unisono e fu una promessa che André non avrebbe obliato.
    - Finalmente insieme - la voce di sua madre giunse alle orecchie del decaduto Auror con la dolcezza e la delicatezza d’una ninna nanna sussurrata a fior di labbra, mentre la donna a sua volta valicava quel vetro fra verità e menzogna, fra avvenire e trascorso, voltando le spalle a ciò che era stato per gettarsi fra le ignote braccia di ciò che doveva ancora avvenire.
    Si voltò allora verso sua madre il giovane dalla creativa e caotica mente e per la prima volta non vide biasimo né rimprovero in quelle iridi di cui aveva rubato le tinte, bensì orgoglio: non era più il frutto del suo peccato, la tangibile prova del suo adulterio – era suo figlio e giammai lo avrebbe condannato per il proprio essere un’altra volta ancora.
    Lo seppe André, senza che i due proferissero verbo: era libero d’essere sé medesimo, d’accettare Mr Hyde come l’altro volto di Dottor Jekyll ed esser al contempo entrambi. L’ingranaggio malfunzionante era solo stato inserito nel marchingegno sbagliato…il pezzo di puzzle era solo stato costretto ad incastrarsi in un disegno a cui non apparteneva…la nota stonata era solo stata sottratta alla sua vera melodia…il lupo aveva sol invano tentato di meritare un branco a cui non era mai stato destinato.
    Sorrise. Privo di malizia e di malinconia, per il mero piacere di farlo. Felice, infine, di appartenere.

    Adesso svegliati!”.
    Spalancò le palpebre di soprassalto e con ferino impeto si levò, abbandonando il freddo abbraccio del legno del banco su cui doveva essersi accasciato. Irrequieto ed inquieto carezzò la stanza con il proprio sguardo d’artista avido di altre immagini, di altri ritratti di quell’incubo che aveva assunto le sfumature del sogno più dolce che avesse mai fatto. Ma non fu il caos d’una mente instabile che incontrò negli occhi che si ritrovò a fissare di rimando, bensì torbidi e tenebrosi abissi da cui farsi ammaliare ed in cui smarrirsi irrimediabilmente, senza scampo alcuno.
    - Come…come sapevi…? - la sua voce era roca e la gola riarsa, ma doveva sapere...voleva oneste risposte e non ennesimi irrisolti quesiti. - Come sapevi di mio padre? - di quanto lottasse invano d’emularne i passi, di quanto fallisse ogni giorno nell’onorarne il nome, di quanto disperatamente tentasse di rassomigliargli.
    Il sospetto s’impadronì con feroce prepotenza del suo cuore dilaniato da emozioni ed istinti avversi, mentre nella sua visuale ancora s’agitavano caotiche le false immagini con qui il Serpeverde dalla torbida identità gli aveva ammorbato la mente. Immagini curate con minuzia e calcolatamente mirate con cui O’Connell aveva persino forzato la direzione del suo inconscio, come se avesse voluto impedirgli di deviare da una meta che s’era prefissato anzitempo e che gli aveva taciuto. No…ciò che aveva visto, non era casuale…non era un tentativo dal mero scopo accademico…lo sapeva, non poteva esser altrimenti…
    S’alzò con feroce impeto, sbattendo i palmi sul tavolo con tanta violenza da farsi male. - Mi hai letto la mente? - un sibilo accusatorio dalle note d’un ringhio animoso. Come avrebbe potuto sapere altrimenti esattamente ove colpirlo per farlo soffrire? Come avrebbe potuto altrimenti conoscere le sue debolezze tanto da riuscire a giocarci in quel modo?
    Che cosa nascondi, O’Connell?”.
     
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    -Non ho idea di cosa tu stia parlando.- davanti a quell’interrogativo Erik rimase impassibile. Si ritrasse riassumendo una postura eretta e con pazienza attese che André desse sfogo alle proprie paure, senza muovere un muscolo né indietreggiare di un passo perfino davanti a quell’accesso di rabbia che rapidamente si stava trasformando in minacciosa distruzione. Constatare con i propri occhi il frutto del proprio operato accese il suo sguardo di soddisfazione.
    -Mi lusinga constatare quanto sia alta la considerazione che hai di me, ma temo che le mie capacità non si spingano così lontano.-, una delle poche verità in quel mare di bugie: la legilimanzia era un’arte al di fuori della sua portata. Era stato preparato per nascondere i propri pensieri alle intrusioni esterne, tuttavia le sole armi in suo possesso per scavare nel marcio degli altri consistevano nell’arguzia e nei contatti di cui poteva usufruire grazie allo status della sua famiglia.
    -Cosa ti fa presumere che abbia bisogno di leggerti nella testa per fare il mio dovere?- domandò con tono pacato, assumendo un’espressione imperturbabile. Con movimenti lenti ripose la bacchetta nel fodero, poi nascose le mani dietro la schiena, intrappolando il polso dell’una nel palmo dell’altra. Non v’era alcun motivo per cui André lo considerasse una minaccia, perché non lo era: entrambi appartenevano al medesimo mondo, semplicemente uno dei due ne era consapevole, l’altro lo ignorava. Ma dentro di sé lo aveva sempre immaginato: una visione da sola non poteva avere tanto potere, scatenare tanto turbamento.
    -Disattendere le aspettative dei propri genitori non è forse il timore di ogni figlio?-, aggrapparsi a certe ovvietà era una soluzione comoda, inattaccabile, per sfuggire a quei dubbi. André doveva ritrovare la lucidità, realizzare di essere troppo sconvolto per ragionare razionalmente. Così avrebbe ripreso a fidarsi di lui, e al tempo stesso si sarebbe tormentato nella convinzione che l’incubo che aveva appena sperimentato sulla propria pelle in un contesto di pura funzione non era poi così impensabile che si materializzasse là fuori, nel mondo materiale.
    -Non so cosa tu abbia visto ma non era mia intenzione turbarti, André. Semplicemente credo che venir meno nell’impegno sia controproducente per te. Se avessi scelto uno scenario diverso l’incantesimo non avrebbe avuto la stessa efficacia, e a rimetterci saremmo stati in due-, perdere tempo non rientrava nelle sue corde, e il tassorosso gli aveva lasciato la stessa impressione.
    -Vogliamo parlarne?-, riprendere l’esercitazione come se niente fosse poteva essere l’altra opzione, ma Erik preferì correre il rischio, sondare il terreno per vedere se i semi che aveva gettato potevano germogliare. Per farlo era indispensabile che André si fidasse di lui, ma probabilmente i tempi erano ancora prematuri.

     
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    L’imperturbabilità con cui il Serpeverde dagli occhi di torbidi abissi smontò le sue caotiche accuse ebbe l’effetto di domare a poco, a poco la sua ira e di manipolarla in biasimo, donando l’impressione che egli avesse un potere sulla sua mente tale da poterla costringer in ginocchio alla propria mercé. Poiché probabilmente senza averne l’intento o piena coscienza, dimostrandogli l’illogicità del suo verbo Rick aveva premuto un suo dolente tasto, un tasto maledetto che lo faceva soffrire e vergognare sin dacché era sol un bambino. Abbassò dunque lo sguardo sulle proprie mani aperte sul banco innanzi a sé André, mentre nelle orecchie gli rimbombavano le accuse che nel corso degli anni gli erano state mosse, assordandolo come scoppi di proiettile.
    Sei un visionario…”.
    Stai farneticando…”.
    Non ti accorgi che ciò che dici è senza senso…”.
    Sei un pazzo…”.
    Parole, parole, parole. Quante volte le aveva udite nei suoi stati di febbrile mania? Non avrebbe saputo affermarlo l’aspirante cantautore, malgrado fosse una storia che seguitava a ripetersi, com’un serpente che s’azzanna la coda e la divora morso dopo morso. Ed il fermo diniego del giovane verde-argento non fece altro che sputargli per l’ennesima volta in volto quella verità che lo tormentava e dai cui disperatamente invano tentava di fuggire: la sua creativa e caotica mente era irrimediabilmente vittima di sé medesima e un giorno sarebbe divenuta schiava della follia. Un giorno nessuna Pozione, nessuna altrui parola, nessun dolore volontariamente inflitto sarebbero riusciti a restituirgli il controllo sui propri brutali ed ebbri istinti, ed egli sarebbe divenuto bestia e non più uomo, mostro dalle umane parvenze.
    - Niente…non ho motivo di dubitare delle tue intenzioni, hai ragione…mi dispiace…non so cosa mi abbia preso… - mentì, drizzandosi dal banco che aveva castigato e incrociando le braccia al petto con violenza, per proteggersi, per nascondersi. Era invero dolorosamente conscio di quale fosse il problema, di cosa gli fosse accaduto: le immagini che il compagno aveva insinuato nel suo inconscio avevano sibilline pugnalato ancora ed ancora il suo lato più istintivo e feroce che s’era difeso attaccando, com’era usuale. Poco importava ciò che Rick avesse scelto di mostrargli, avrebbe reagito con la medesima irrazionalità, con la medesima violenza, poiché tale era la sua natura, il suo maledetto e mostruoso essere. Lo sapeva il lunatico e selvatico Stormind, lo aveva sempre saputo. Eppure, era stato più semplice accusare il verde-argento innanzi a sé d’averlo ingannato e manipolato, piuttosto che accettare ed ammettere d’essere così instabile ed inaffidabile da non sapersi controllare, da non saper affrontare un maledetto compito senza divenire inerme preda di quei folli e feroci istinti di prevaricazione e distruzione. “Codardo…”.
    - Mi riesce ostico credere che anche tu abbia questo timore… - un commento avvelenato d’amarezza che gli sfuggì senza che ne avesse appieno l’intenzione, mentre tornava ad annegare nei torbidi e tenebrosi abissi dello sguardo del compagno dagli stendardi verde-argento: dacché era giunto al Castello avviluppato in un mantello di criptico mistero, Rick O’Connell aveva palesato d’esser uno studente talentuoso e brillante dal comportamento impeccabile, che sovente era elogiato dagli insegnanti tanto quant’era ammirato dai compagni. Eppure…eppure si rese conto André di quanto ingiusto fosse dubitare che a sua volta egli potesse temere di deludere le altrui aspettative, sol giacché il suo retto cammino era stato costellato di trionfi, sol giacché donava l’impressione d’essere superiore alle angosce che ammorbavano le menti dei suoi coetanei. - però sì, credo possa considerarsi…normale - soggiunse con parca convinzione, sia poiché seguitava a percepite delle ambiguità nel verbo e nei gesti del Serpeverde dai capelli di tenebra che lo rendevano tutto fuorché ordinario, sia poiché a sua volta era conscio di non appartenere ad alcun cliché, ad alcuna convenzione, ad alcuno schema.
    Scrollò le spalle sforzandosi d’apparire noncurante, di celare quanto le immagini create dall’incanto di Rick lo avessero nel profondo scosso e ferito. - Invece turbarmi era precisamente l’obiettivo dell'incantesimo: non è questo che fanno gli incubi? Aggrediscono nel sonno e poi avvelenano anche la veglia… - senza dubbio alcuno, ciò che aveva visto, udito e provato nella morte apparente avrebbe seguitato a tormentarlo, giacché glielo avrebbe permesso, giacché quell’illusione era invero stata il riflesso di ciò che covava segretamente nell’intimo, del timore che lo ammorbava giorno dopo giorno: quello di non essere adatto... degno…compreso… - Non ho visto che la verità, comunque: non sono il figlio che mio padre avrebbe voluto. - solo che Roussell Stormind non aveva ancor avuto il coraggio di confessarglielo, d’arrendersi a quella verità che giorno dopo giorno diventava sempre più palese, sempre più inconfutabile.
    Nei tratti affilati del lunatico e selvatico Stormind si dipinse un’espressione sorpresa, innanzi alla richiesta di Rick: mai il Serpeverde gli aveva donato l’impressione d’interessarsi di lui…d’interessarsi di qualcuno che non fosse Marsilda…e pertanto quella proposta non vaticinata lo sorprese, tanto quanto lo rese circospetto. Che fosse sol un modo per dimostrarsi gentile? Impeccabile e benevolente malgrado lo avesse ingiustamente aggredito? - Non c’è molto da dire…sono un figlio che disattende le aspettative dei suoi genitori. - ironico ripeté le medesime parole che Rick gli aveva rivolto poc’anzi, mentre girava attorno al banco e vi si poggiava contro, incrociando le gambe innanzi a sé e infilandosi le mani in tasca, in una posizione ostentatamente rilassata e distaccata. - Conosci questa sensazione? La vergogna e il fastidio di deludere tutte le aspettative a discapito di ogni tuo sforzo? - gli pose quei quesiti con apparente noncuranza e nel farlo parlò invero di sé medesimo, della sua personale maledizione. Una confessione che osò sottintendere senza saperne appieno la ragione, come se istintivamente sapesse che Rick, così come Daisy, lo avrebbe compreso giacché gli era affine. - Ciò che ho visto...era la mia resa all’evidenza di non poter essere ciò che vorrei. -. Un’evidenza che lo tormentava in veglia ed in sonno.
     
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    -No. Ammetto di averla dimenticata.-, da che aveva memoria aveva sempre assecondato la propria volontà: i suoi genitori non lo avevano mai forzato dentro schemi rigidi, poche regole che se infrante non gli valevano punizioni di sorta. Compensavano così quel piccolo imprevisto dagli occhi scuri, che non poteva essere riconosciuto come figlio.
    -Ma la mia non è altro che una voce fuori dal coro. Non ho aspettative da disattendere dal momento in cui i miei genitori hanno disatteso per primi le mie.- Killian e Vernita sapevano perfettamente a cosa andavano incontro dando il via alla loro relazione immorale; da egoisti narcisisti qual erano non avevano esitato ad andare fino in fondo noncuranti delle pesanti ripercussioni che la loro follia a due avrebbe innescato nei figli di lei, avuti con un marito che non era mai stato contemplato nei suoi piani lasciare, e sul futuro nascituro, la cui vita era stata graziata solo in virtù dell’illogico attaccamento che quel lato della famiglia coltivava nei confronti di una falsa religione e di un falso Dio. Inoltre non esistevano aspettative da deludere: la sua strada era stata tracciata alla nascita e coincideva perfettamente con il suo volere. Non c’era tormento nello sguardo di Erik né il timore di non essere all’altezza se non del compito che riteneva suo preciso dovere portare a compimento: servire l’oscurità, servire la causa dell’Oscuro.
    -Gli incubi si manifestano per renderci consapevoli di quella parte di noi stessi che nella veglia tendiamo a rinnegare o a dimenticare. Se decidessimo di non ascoltarli perderemmo dei preziosi alleati-, ribatté, cercando di restituirgli un punto di vista diverso.
    -Non sei il figlio che tuo padre avrebbe voluto… o non sei il figlio che vorresti? Forse è questo il motivo per cui quel che hai visto ti ha turbato così tanto. Menti a te stesso per non affrontare la verità- André non conosceva la verità, ma nel profondo la intuiva almeno in parte: la costante sensazione di essere fuori posto, gli impulsi che cercavano di spingerlo fuori dai binari, l’angoscia della consapevolezza nel non essere somigliante al padre… quanto più al suo vero padre. Un giorno avrebbe avuto il quadro completo, i tempi erano ancora ben lungi dall’essere maturi per accettarlo.
    -Mi sembra evidente chi è che non vorresti essere.-, esordì, rinfoderando la bacchetta nella fodera legata alla coscia. Diventare Auror non era scritto nel suo destino. Prima lo avrebbe accettato, prima avrebbe trovato altre strade da seguire, più affini alla sua natura turbolenta e volubile.
    -Forse dovresti rifletterci. Di questo passo finirai per smarrirti in un ruolo che non senti tuo e in una persona che non riconosci… un giorno potresti non sapere più chi sei veramente.-
     
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    Il volto castigato dall’insonnia del lunatico e selvatico Stormind si contrasse in un cipiglio serio e concentrato, mentre intrappolava avido ed attento gli occhi di torbidi e tortuosi abissi del Serpeverde con il suo cupo e malinconico sguardo, che si fece intenso ed insistente, impudente e persino a tratti fastidioso: la sua incauta curiosità ed il suo volubile interesse erano irrimediabilmente stati catturati dall’affermazione del giovane dal caliginoso trascorso, che aveva menzionato le colpe dei suoi genitori con artico distacco, senza scomporsi neppure per pochi graffi di plettro. Imperturbabile e pacato come se invero non si stesse riferendo a sé medesimo, ad una delusione che aveva avvelenato il suo cuore, forse allorché ancora non era che un bambino privo di peccato. E nel silenzio della propria creativa e caotica mente, si chiese André come O’Connell potesse apparire algido ed irremovibile come granito nel confessargli, sottintendendola, la sofferenza con cui i suoi genitori lo avevano castigato, forse non appieno consapevolmente. Una sofferenza che Rick non gli concesse di vedere, ma che l’aspirante cantautore credette dovesse aver ammorbato il suo intimo, criptico ed inafferrabile quanto la sua mente. Poiché, dopotutto, quale bambino non sarebbe stato ferito nell’apprendere d’esser stato concepito da qualcuno incapace di dimostrarsi all’altezza di crescerlo, di restargli accanto, di guidarlo e forse persino d’amarlo? Forse, si disse, il dolore per l’ex studente di Durmstrang era stato tanto insopportabile da costringerlo a proteggersi con atarassica ed algida indifferenza, un’armatura che infine gli s’era artigliata con ferocia addosso, tanto da cessare d'esser una maschera per divenir il suo medesimo volto.
    Ipotesi taciute e quesiti inespressi che giacquero fra i caotici e creativi pensieri di André, che sol fu certo di non poter in alcun modo biasimare il verde-argento dai capelli di tenebra per aver voltato le spalle a chi gli aveva donato la vita e poi l’aveva resa una condanna, né d’aver tramutato il proprio cuore in granitica pietra per non conceder loro di romperlo oltre. Giacché, invero, lo aveva in parte fatto a sua volta, malgrado credesse che gli errori di Roussell ed Eloise fossero stati originati da atti compiuti in buona fede, per aiutarlo ad affrontare la sua maledizione ed a sopravviver in una spietata realtà che credevano non l’avrebbe compreso, giustiziandolo invece per il suo essere diverso, sbagliato, difettoso. Una realtà di cui s’era privato per il timore di deludere ogni aspettativa, com’era accaduto per quelle dei suoi genitori, e d’essere ferito dal suo prossimo, così come lo era stato da loro che pure non ne avevano avuto l’intento. Una realtà che infine però aveva scelto di vivere secondo i propri egoistici e caotici desii, assecondando sol la propria volubile e beffarda ispirazione, e così ripudiando le regole che Roussell ed Eloise gli avevano imposto. Voltando loro le spalle e fuggendo dal dolore che gli provocava non esser il figlio che avevano tanto bramato.
    - In ogni persona di cui s’incrocia il cammino si crea un’aspettativa, è inevitabile. Che importi o meno disattenderla è ciò che fa la differenza… - forse il verde-argento dal caliginoso trascorso non era braccato da aspettative che non anelava deludere o forse era tanto superbo da non temere di poter fallire, conscio e confidente del proprio talento e del proprio esser impeccabile. Oppure ancora aveva meramente omesso a chi appartenessero le aspettative che invece percepiva su di sé e che temeva di disattendere. Qualunque fosse la verità, comunque, André dubitava che Rick gli avrebbe concesso di svelarla, non quel giorno, forse mai. E d’altro canto egli non avrebbe insistito, costringendo a tacere la propria incauta curiosità ed il proprio volubile interesse con razionale discrezione, imponendosi di non pretendere risposte che a sua volta non era disposto a dare, non quel giorno, forse mai. Giacché sovente si biasimava per quanto poco gli importasse di deluder il suo prossimo, di quanto le legittime aspettative di chi amava venissero sovente senza indugi tradite dal proprio prepotente egoismo. - però senza dubbio lo sei, O’Connell…una voce fuori dal coro - uno sghembo sorriso si dipinse sulle sue labbra, mentre donava onesta voce ai propri pensieri: Rick era diverso, in un modo che era innegabilmente evidente e gli impediva di confondersi a una massa a cui non apparteneva e forse mai sarebbe appartenuto. André però lo era a sua volta, eccentrico ed indecifrabile, nonché inadatto, e non poté pertanto che domandarsi un’altra volta se in quella comune diversità avrebbero potuto trovar un’affinità, non vaticinata e genuina, istintiva oltre che razionale.
    Allorché l’assunto del loro disquisire virò sull’onirica essenza degli incubi, l’aspirante cantautore non poté che annuire e concordare con il giovane dalla criptica e pacata indole. - Per questo non li ignoro e non tento di farli tacere…piuttosto, ne faccio un monito. - nei suoi incubi, André s’arrendeva a Mr Hyde, al mostro che angosciosamente temeva d’esser destinato a diventare, ed ebbro di follia godeva della sofferenza che impartiva ad altri, a volte figure ignote ed indefinite, altre volti dolosamente famigliari e burrascosamente amati. Oniriche immagini che non eran che l’inconscio manifestarsi dei propri timori ed a cui l’aspirante cantautore a volte persino ispirava le proprie canzoni, colmandosi la mente, il cuore e l’anima delle conseguenze che si sarebbero susseguite se sol avesse osato arrendersi alla propria maledizione, se sol avesse cessato di lottare per essere diverso, migliore.
    Aggrottò le sopracciglia ed i suoi tratti si contrassero in un cipiglio smarrito, persino sbigottito, innanzi al quesito che Rick gli pose poi e che lo colse alla sprovvista. Un quesito che gli donò l’impressione fosse volto a destabilizzarlo, a metter in dubbio la sua medesima esistenza, e che trovò fastidiosamente mirato al suo esistenziale conflitto: forse, Rick lo aveva compreso più profondamente di quanto chiunque altro avesse fatto, senza aver bisogno d’approssimarsi o di costringerlo a mostrarsi senza indugi, privo dell’ironia con cui si proteggeva e del sarcasmo con cui attaccava. Ed inaspettatamente quella consapevolezza non lo angustiò, forse poiché il verde-argento gli aveva già donato prova di saperlo comprendere e di non desiderare giudicarlo, né condannarlo. - Entrambi. Avrei voluto esser il figlio che mio padre meritava, ma la verità è che non lo sono. Sì, ho mentito a me stesso al riguardo, sforzandomi invano di dimostrare di poterlo essere…non lo voglio fare più. - era vano e penoso, giacché non poteva cambiar il proprio essere, poteva sol accettarlo e tentare di dominarlo, sinché ne avrebbe avuto la facoltà. Le orme di suo padre…non sarebbe mai stato in grado di seguirle, incapace di stare fra i ranghi, tanto quanto d’obbedire, troppo instabile ed inaffidabile per poter ambire ad esser un Auror, protettore della vita, ambasciatore della giustizia.
    Un mostro.”. Quella parola gli lacerò la mente com’una folgore in un cielo ammorbato da plumbee e cupe nubi. Un mostro era ciò che non anelava diventare e lo aveva confessato a Daisy senza indugiare, ma innanzi a Rick si ritrovò a tacere, incerto su cosa il giovane avesse voluto intendere: pareva brandire verità che ad André erano precluse e se ciò da un lato lo affascinava, dall’altro gli imponeva d’agire con cautela e circospezione. - So perfettamente chi non voglio essere… - e ciò che aveva visto, non era che il manifestarsi del suo timore di ciò che sarebbe potuto diventare, se sol avesse concesso a Mr Hyde di prender il sopravvento. Sapeva altresì chi non sarebbe mai potuto essere, eppure…eppure ancora ardeva nel suo contraddittorio intimo la speranza di poter vincere altresì quella scommessa, trionfando su quel Fato che gli era stato avverso sin dall’esordio.
    - Sopravvivrò. - lo faceva sempre. Un commento lapidario che non fu ostile, ma che palesò la propria reticenza a disquisir oltre su quell’assunto sin troppo intimo, sin troppo insidioso. - Per questa sera, penso che correrò solo il rischio di smarrirmi in del whiskey…vuoi unirti? -.
     
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