Hogwarts Mystery - GdR Harry Potter

Posts written by Salomé

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    Fu con orgoglio che Saraid scrutò la sua protetta: gli occhi gelidi della mezzaveela trasudavano fierezza per il modo in cui Sigyn aveva reso giustizia a sua madre, la cui anima avrebbe conosciuto la pace non appena l’ultima tra coloro che le avevano arrecato un torto avesse saggiato la lama che sua figlia stringeva tra le dita macchiate di rosso. Pochi istanti dopo il cacciatore morì soffocato nel suo stesso sangue, e dopo un ultimo, grottesco e strozzato rantolo, nella tenda calò nuovamente il silenzio. Quanto accadde poco dopo incantò la mezza veela, affascinata dall’impeto con il quale la sua piccola guerriera si era chinata verso la pozza di sangue che il terreno non aveva ancora assorbito: i capelli argentei della ragazza si tinsero dello stesso colore, conferendole un aspetto tanto minaccioso quanto attraente. Saraid non l’aveva mai trovata così bella come in quel momento, il fiore bianco era infine sbocciato lasciandosi alle spalle qualsiasi esitazione e la sua richiesta non fu che di conferma a quella constatazione: Sigyn voleva vendetta, poco importava quali sarebbero state le conseguenze. E lei non intendeva negargliela: era diritto della ragazza esigere quanto le spettava. La mezza veela la afferrò per un braccio nel vederla vacillare, e la strinse finché non fu certa che non avesse più bisogno del suo sostegno per reggersi di nuovo in piedi.
    « Non te lo permetteranno. », esordì, scostandole una ciocca di capelli dalla guancia per sistemargliela dietro un orecchio.
    « Non lasciare che la furia offuschi il tuo giudizio, ragazza. Per quanto il crimine di cui si è macchiata sia imperdonabile, resta sempre una nostra sorella: nessuna oserebbe toccarla. Per quanto anche l’anziana vorrebbe esaudire il tuo desiderio di giustizia il suo scopo è mantenere la comunità compatta e in pace: quella veela verrebbe punita con l’esilio fino alla fine dei suoi giorni. » Saraid la strinse a sé in un abbraccio, accarezzandole i capelli dolcemente, lasciandole un bacio sul capo, tingendosi le labbra di rosso. Rumore di passi fuori dalla tenda preannunciarono che le due creature, madre e figlia, non avrebbero goduto ancora a lungo dell’intimità della privacy: le altre sorelle sarebbero giunte per recuperare il corpo del Cacciatore, la cui testa sarebbe stata gettata via in modo che venisse ritrovata dal suo gruppo affinché subisse lo stesso trattamento che avevano riservato alla loro amata Niamh. Saraid recuperò la lama dal terreno, afferrò le mani della ragazza racchiudendole intorno all’elsa affinché la stringesse.
    « Se vuoi rendere giustizia alla tua amata madre dovrai agire in fretta: riconoscerai la traditrice dal simbolo della dea tracciato di rosso sulla sua schiena », sussurrò al suo orecchio, per poi separarsi da lei.
    « Intratterrò io l’anziana. Qualsiasi cosa accada non hai di che aver paura: agisci con la sua benedizione e con la mia protezione. Ho fatto una promessa a tua madre e intendo rispettarla »

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    Uno specchio ad altezza uomo non riflette nulla; le rune che lo incorniciano sono state cancellate tutte, tranne una. Saraid la vede brillare di una luce scarlatta, attende che i viaggiatori lo attraversino per raggiungerla dall’altra parte della radura. Al fruscio del vento si aggiunge il rumore dei passi sull’erba, il volto del Maestro delle Rune è scoperto dal cappuccio Per la prima volta, gli Auror irlandesi possono osservarne la fisionomia: dimostra cinquant’anni ma potrebbe averne molti di più, i lineamenti nordici sono induriti da un’espressione severa, stanca, tanto che nemmeno gli occhi chiari riescono ad addolcirne lo sguardo. Un taglio gli percorre il labbro inferiore al centro, ma non è una ferita inferta accidentalmente. Tra le mani il mago stringe un panno di lino macchiato di sangue secco, al cui interno sembra celare altro. Il volto della mezza-veela si contrae, scorre da quell’indumento agli occhi dell’uomo prima di accettare l’ultima testimonianza di ciò che è stata.
    -Capisco-, pronuncia atona. Se potesse essere in grado di provare emozioni sarebbe il dolore a irrigidirne la postura mentre stringe la tunica tra le mani.
    -Non desiderava altro che esserti leale fino alla fine. Adesso che ha tenuto fede alla sua promessa posso riportarla dalle sue sorelle ad An Gaorthad.-, la mezza veela china il capo in un cenno di saluto, guarda il Maestro sparire dall’altro lato dello specchio, che torna immobile, senza più alcun riflesso e nero come la pece. Mentre gli dà le spalle Saraid si allontana dalla radura dei sussurri, dove quattro anni prima auror inglesi e irlandesi hanno unito le forze per la prima volta contro un nemico comune: il Circolo di Wyrd.

    La stanza in cui si trova è pregna dell’odore di carne bruciata ed erbe curative: la mezza veela viene ricevuta da Abrahm, ma il viso di entrambi sembra più giovane di parecchi anni nel ricordo. Il mago la conduce al capezzale di Sinead: il volto della Veggente, trasfigurato dalle fiamme, è irriconoscibile. Le due donne vengono lasciate da sole; Saraid le si siede accanto e srotola con attenzione le bende da uno dei polsi, cospargendo la ferita di dittamo nota che l’altra viene percorsa da un sussulto di dolore.
    -Non essere in pena per me, sorella.-, la sente sussurrare. Sarebbe dovuta morire durante quell’incendio. È viva grazie alla magia dell’Alchimista: non appena la runa Elhaz, incisa sui polsi e all’altezza del cuore, fosse svanita, con essa sarebbe svanita anche la sua vita.
    -Sinead è morta per permettere ad Evenit di vivere. Il fuoco mi ha risvegliata: i sussurri mi hanno mostrato la via… il mio posto è al suo fianco. Finché la prossima Veggente, che porta il mio stesso fardello, non si sarà risvegliata.- Saraid comprende che si tratta di un addio, sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe visto sua sorella.

    Saraid è in piedi in una stanza abbandonata al degrado, il suo volto è invecchiato, simile a quello dei giorni attuali. Davanti a sé giacciono tre corpi resi irriconoscibili dalla tortura, le gole trapassate da parte a parte dal taglio pulito di una lama, la stessa che ha rinfoderato lungo la coscia. L’odore del sangue impregna pavimento e pareti. Alcuni passi pesanti annunciano l’arrivo di qualcuno, ma la mezza veela non sembra percepire l’intruso come una potenziale minaccia. Lo accoglie con familiarità, mostrando di averlo aspettato con consapevolezza. Il volto di Westwood, al contrario, sembra sorpreso. È il loro primo incontro, dimostra di non averla mai vista prima.
    -Ti propongo un accordo- esordisce dopo che la loro conversazione è cominciata da un po’, scrutandolo con alterigia.
    -Sdòm questa notte cadrà.- si riferisce mostrando con un cenno il luogo di cui sono circondati, noto covo di contrabbandieri.
    -Conquistala al mio fianco: di qualunque natura sia la tua richiesta… considerala accolta ed eseguita. Non ti chiederò altro in cambio-, lui accetta e dopo una strenua battaglia il covo è sotto il loro controllo. Il modo in cui lei ha condotto la sua battaglia affascina il mago, che avanza la sua richiesta.
    -Tu affronti le tue guerre in modo per me totalmente ignoto… ho bisogno di capire. Di scoprire, di imparare… ci sono guerre che non posso vincere semplicemente diventando più forte. La mia mente… […] è una lama a doppio taglio e io voglio imparare ad usarla ferendomi il meno possibile. Io sto cercando di spiegarti cosa voglio: tu cosa vuoi invece?-
    -Un guerriero in grado di affiancarmi nelle battaglie che mi aspettano lungo la via.- Saraid indica con un cenno il pavimento, laddove i cadaveri sono stati trasfigurati in terra.
    -Non ho alcun timore di sporcarmi le mani del loro sangue. Tuttavia, non posso ignorare i vaticini dei Sussurri. Se voglio avere successo mi occorre un alleato che si dimostri all’altezza. Chissà che non sia proprio tu, Castiel Westwood… solo il tempo potrà dirlo.-

    Il luogo è lo stesso sebbene in un momento diverso: il giornalista vi è stato attirato con l’inganno tramite una passaporta nascosta tra le sue cose, non appena si materializza nella stanza viene schiantato, privato della bacchetta e legato a una sedia. Saraid lo tortura per scoprire chi è la fonte di Hilton che gli ha permesso di metterla alla gogna pubblica, condannandola a sette anni di carcere; Castiel lo tortura per ripagarlo del tradimento subito da Gabrielle, o per piacere personale, difficile comprenderlo.
    -Voi proseguite pure... è necessario che io incida a pelle ciò che lo ha condotto qui.-
    Buone intenzioni sono le parole marchiate a fuoco sul suo avambraccio, quando il Mangiamorte ha terminato la mezza veela pugnala il giornalista alla schiena e gli mozza la lingua per aver “mancato di rispetto” al suo compagno. Prese le informazioni di cui ha bisogno la scena si sposta all’esterno, dove la strega allestisce con rami secchi un fantoccio, secondo il rito pagano la pena capitale riservata a ladri e traditori prevede che brucino vivi al suo interno. Questa è la sorte riservata al giornalista, dopo che gli è stato amputato un braccio. La mezza veela canta, intonando un inno solenne.
    -Il bestiame muore, gli amici muoiono, come loro anche tu dovrai morire, ma conosco qualcosa che non muore mai: la giusta fama che qualcuno ha guadagnato e il valore della vita di un uomo morto-

    La stanza è in penombra, diversa dal desolato covo di contrabbandieri: alle spalle della mezza veela l’altare dedicato alla Dea è colmo di doni per la stessa, la candela accesa. Westwood si alza in piedi di scatto, diminuisce drasticamente la distanza che lo separa da lei. Nonostante sembra voglia attaccarla non le fa del male: accosta la fronte alla sua, guardandola con sguardo animato dalla follia.
    -Io ho bisogno di te. So soltanto questo-, le confida. Per qualche secondo è il silenzio a prevalere nella stanza.
    -Allora resta-, lo invita lei. -In questa casa troverai sempre rifugio e alleati, Castiel. Non dimenticarlo.-


    Edited by Elhaz - 5/5/2023, 23:22
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    Saraid osservò incantata il modo in cui la lama di Sigyn affondò attraverso la pelle del Cacciatore: il fiore bianco cominciava a sbocciare mostrando la sua vera natura, pur conservando parte di quell’innocenza che da sempre aveva affascinato la sua Maestra. Il sangue cominciò a scorrere dal taglio, ma entrambi, torturatrice e torturato, sapevano che si trattava soltanto del principio di una lenta quanto inesorabile agonia. L’unica cosa che poteva offrirgli era una morte rapida e quanto più indolore possibile, ma il Cacciatore si era giocato quella possibilità nel momento in cui aveva rifiutato di collaborare.
    La mezzaveela non intervenne nell’immediato, fiduciosa che la ragazza avrebbe attinto dall’amore che aveva provato per sua madre la forza e il coraggio necessari per fare ciò che andava fatto le diede la possibilità di condurre l’interrogatorio e non ne rimase delusa. Sigyn affondò il pugnale fino all’elsa mentre l’uomo si contorceva e gridava dal dolore mentre il sangue colava copioso dalla ferita: la ragazza doveva aver tranciato la vena femorale, decretando di lì a pochi minuti la sua fine imminente. Cosa che non poteva permettere… non ancora. La rivelazione del Cacciatore aveva appena cambiato le carte in tavola, rendendo indispensabile tenerlo in vita almeno finché non avesse raccontato loro tutto ciò che aveva da raccontare.
    « Il nome della veela e tua moglie avrà salva la vita », Saraid non rispose alla domanda della sua protetta. Sigyn si conservava ancora troppo pura per poter concepire quanto fosse controversa la natura delle loro sorelle: non poteva escludere quell’ipotesi a priori, l’assenza di potere ammaliatore in quella ragazza era sempre stata vista come una sciagura che avrebbe portato la coven verso la fine e, per quanto amata profondamente, quella debolezza poteva aver reso Niamh un bersaglio da eliminare. Allo stesso modo poteva esserlo diventato Sigyn.
    Saraid si chinò sul Cacciatore, attendendo che parlasse e tuttavia mantenendo una distanza sufficiente per intervenire tempestivamente nel caso in cui avesse osato giocarle un brutto scherzo. Con voce rotta, ridotta a un sussurro, l’uomo le fornì un nome che non le diceva niente.
    « Descrivimela », la descrizione ricordava molte di loro, tranne per un dettaglio.
    « Ha un cerchio rosso e due semicerchi neri tatuati dietro la schiena », una seguace della dea. Saraid non sapeva ancora fino a che punti credergli, ma una cosa era certa: non poteva permettere che il seme del dubbio germogliasse tra di loro, costringendo le sorelle a puntarsi il dito l’una contro l’altra. Quella situazione andava risolta con discrezione.
    « Figlia mia, è il tuo momento: rendi la pace all’anima tormentata di tua madre. Che il cacciatore giunga al cospetto della Dea. »
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    Vero
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    Le prime cose che la mezza creatura percepì prima ancora di aprire gli occhi furono il gelido vento che le frustava la pelle e il peso della morsa che le serrava la caviglia. Si portò una mano all’addome, laddove la maglietta era resa ruvida dal sangue rappreso, e facendo scorrere le dita sotto la stoffa si rese conto che le ferite dell’incantesimo oscuro erano state perfettamente risanate. Una vita per una vita: la donna dai capelli ramati non era la sola alla quale doveva la propria vita. Sarebbe stato ingenuo da parte sua non mettere nel conto il vero scopo per cui gli Auror l’avevano risparmiata. Saraid si girò su un fianco e una volta che gli occhi furono abituato al buio osservò con scrupolo la sua cella. Su un vassoio erano adagiati cibo e acqua: la strega allungò appena una mano per afferrare il primo prima di farlo cadere attraverso la fessura che era adibita per i servizi igienici, dopo di che diede le spalle a quello spettacolo di squallore e chiuse nuovamente gli occhi, lasciando che le braccia di Morfeo la accogliessero nella propria morsa. Dopo appena un anno dalla libertà tanto bramata, conquistata, la mezza veela era ritornata in gabbia.

    « Corvo bianco che dimori velato nel crepuscolo della notte », le dita mortalmente pallide percorsero le venature del pavimento sul quale era distesa, con una lentezza innaturale. Il vassoio era vuoto, ma il cibo non era stato toccato; l’arrivo dei pasti scandiva il ritmo della giornata ma costituiva un’informazione insufficiente per farsi un’idea precisa di quanti giorni fossero trascorsi dalla sua cattura. Non era nemmeno scontato che non giungesse a distanza di poche ore: la cognizione del tempo, in quelle quattro mura, non aveva alcun valore. A Nurmengard Saraid aveva imparato che quei pochi minuti che impiegava per osservare il soffitto all’esterno potevano corrispondere a intere giornate e oer quel che sapeva poteva già essere passata una settimana così come un mese.
    « Corvo bianco che dimori velato nel crepuscolo della notte, prestami una piuma; la trasformerò in ali bianche per cavalcare i venti », all’inizio le fitte che avvertiva allo stomaco erano fastidiose; dopo un po’ smettevano di infastidirla, e la mezza veela era giunta a un punto in cui non avvertiva più appetito né fame. Il solo odore di quel cibo la nauseava.
    « Prestami la tua vista ampia, lasciami spiare tra la cortina di nebbia. Insegnami la canzone che ti seduce… che mi seduce. Che trova te… che trova me. », al freddo non esisteva rimedio. Spesso la teneva ancorata tra la veglia e il sonno, impedendole di riposare. McCormac si era preoccupato di farle avere del sapone ma non l’acqua calda, problema alla quale aveva ovviato evitando di curarsi di emanare un cattivo odore. Non sarebbe bastato per indurla alla sera: la contrabbandiera era stata una torturatrice, sapeva a che gioco stava giocando l’irlandese e non era disposta a dargliela vinta. Portatrice di morte, non avrebbe esitato ad accoglierla come una vecchia amica per giungere insieme fino alle Terre d’Estate, dove sarebbe stato alla Dea giudicarla meritevole o meno di sostarvi per sempre.
    « Mi hai dato le ali, corvo che canta », grazie all’isolamento i viaggi sciamanici erano incrementati per durata e intensità, ed erano state non rare le occasioni in cui Saraid aveva potuto esplorare altri mondi dimenticando il luogo dove il suo corpo era stato incatenato. In alcuni di questi aveva potuto osservare meglio i suoi nemici, che si apprestavano a farle visita…
    « Mi hai dato la lungimiranza. », la voce si spense nel momento in cui la serratura scattò, e la porta si aprì con un cigolio sinistro. Saraid smise di percorrere con le dita le increspature nel pavimento ma sebbene non si tirò su a sedere il suo corpo era teso e attento, il suo sguardo mostrava una lucidità sorprendente. Non fosse stato per il suo aspetto trasandato e debilitato si sarebbe detto che la prigionia non avesse sortito alcun effetto negativo su di lei.
    « Cominciavo a chiedermi perché non subito » furono le prime parole con cui esordì, ignorando le provocazioni del mago. Si era chiesta perché non l’avessero sottoposta al siero della verità fin dal primo momento in cui era tornata cosciente e non aveva trovato una reale risposta, se non in intenzioni intimidatorie. La strega continuò a mostrare disinteresse finché la conversazione non sembrò assumere una piega vagamente interessante: fu allora che si trasse a sedere e i suoi occhi gelidi si posarono sul volto dell’uomo. Sembrava in salute, ma a uno sguardo più attento e a un animo più sensibile a certe variazioni del flusso magico non sarebbe sfuggito che, dei due, nonostante tutto chi fosse messo peggio non era lei. Gli occhi della mezza veela furono animati da un barlume sinistro senza mai distogliere quel contatto.
    « Ti interroghi su quesiti di cui non possiedo una risposta, Mago. Il solo contatto che ho avuto con il Maestro è stato oltre un anno fa, per ricongiungermi a mia sorella di sangue. A quel che ne restava a seguito della battaglia nella Radura dei Sussurri, quando nell'impedirle di ricevere le cure di cui aveva bisogno l'avete condannata a morte », per un attimo lo sguardo si soffermò sull’altro uomo presente nella stanza, colmandosi di diffidenza. Chi dei due l’aveva uccisa?
    « Quale legame ci unisce… mi offende che tu me lo chieda. Non è forse evidente? », quel legame l’aveva resa prigioniera di due maghi che le avrebbero permesso di lasciare quell’abitazione solo da cadavere.
    « Non è poi così diverso da quello che lega voi tre. », un sorriso malevolo le curvò appena l’angolo della bocca mentre il suo sguardo percorreva quello dei due maghi e della strega, prima di ritornare sull’Auror che aveva dato il via all’interrogatorio. In un certo qual modo poteva rispettare quel legame; e aveva ragione di credere che sarebbe stato contraccambiato.
    « Comprenderai quindi perché non posso assecondare la tua richiesta. Dopotutto, sono certa che al mio posto faresti lo stesso », qualsiasi cosa avesse avuto in serbo per lei, Saraid si sarebbe rimessa nelle mani della Dea.
    « Noi eravamo come voi; voi sarete come noi », le parole di Saraid erano prive di alcuna sfumatura mentre lo sguardo si soffermava sull’addome dell’auror, all’altezza dei polmoni.
    « Stai morendo ad opera loro. Trovarli non ti salverà », si pronunciò con sicurezza, per la prima volta da quando era cominciata quella prigionia Jack McCormac aveva attirato il suo interesse. Gli ultimi celti in grado di attingere alla magia druidica, alla magia del sangue.
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    Saraid non si lasciò intimorire: bloccò il calcio dell’auror prima che potesse colpirla, gettandosi in avanti con slancio per affondare la lama nella sua gola. Non vi riuscì: un getto d’aria bollente la colpì al costato, costringendola a compiere un passo indietro per il dolore e lasciar cadere il pugnale, divenuto incandescente. Il filo si era tinto di scarlatto, e un sorriso malevolo le curvò le labbra. Presto o tardi il veleno avrebbe vinto le difese dell’altra, portandola a una paralisi muscolare e a alla depressione respiratoria.
    « Protego », il sortilegio scudo respinse entrambi gli attacchi; l’everte statim colpì il soffitto alle proprie spalle, facendo crollare alcuni pezzi di intonaco sollevò un gran polverone; le corde evocate dall’incarceramus si avvilupparono invece al mobilio, mancando la creatura per un soffio. Salomè puntò nuovamente la bacchetta sulla donna, ricorrendo alle Arti Oscure per attaccarla.
    « Zilerius », lo scudo evocato dal suo avversario si frappose tra loro due in una successione di azioni tanto rapida da rendere in-decretabile l’esito della maledizione. Saraid si voltò di scatto: un oppugno non verbale scagliò i suppellettili contro il braccio del mago, deviando la maledizione accecante a sufficienza per permetterle di distinguere ancora nitidamente i contorni dei presenti in stanza. Non c’era tempo per trovare un riparo, né per imboccare una via di fuga: una auror era fuori gioco, ma gli altri due si trovavano ancora in casa, se il Capo Auror fosse retrocesso sui propri passi si sarebbe infilata in trappola. Non restava altra scelta che spianarsi la strada sconfiggendo Battlin’.
    « Non è alle leggi dei maghi che rispondo », Saraid mosse la bacchetta, pronta ad attaccarlo ma non sufficientemente celere per batterlo sul tempo. Squarci profondi si aprirono nell’addome, attraversando il costato raggiunsero la spalla. Il catalizzatore scivolò sul pavimento per il dolore dovuto al contraccolpo; quanto alla strega, ebbe modo di trascinarsi fino alla parete alle proprie spalle, presso la quale si lasciò cadere, a ogni respiro il sangue impregnava l’aria nella stanza. La bacchetta era lontana, non eccessivamente per raggiungerla. Presto le forze sarebbero scivolate via, e con essere qualsiasi possibilità di sopravvivere.
    « Lei morirà con me », pronunciò a fatica, indicando con un cenno del capo l’Auror dall’altra parte della stanza. Non sapevano che tipo di veleno aveva adoperato, e quand’anche l’avessero scoperto sarebbe stato troppo tardi per aiutarla, tardi per sintetizzare un antidoto.
    « Una vita… per un’altra. Io posso salvarla », una smorfia di dolore le deformò il viso, la costrinse a interrompersi bruscamente.

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    Fu con orgoglio ardente che gli occhi di ghiaccio della mezza-veela scrutarono la propria protetta. Saraid le strinse la mano e la condusse in silenzio all’interno della tenda dove le attendeva il traditore: non c’era alcun barlume di pentimenti nelle iridi del mago, se la dea dai mille volti gli avesse concesso di tornare indietro non avrebbe esitato a ricadere nella stessa onta, ancora e ancora. Per un crimine del genere i campi delle Terre d’Estate non sarebbero mai stati violati dalle sue orme macchiate di sangue. La voce di Sigyn risuonò ieratica mentre abbreviava la distanza spaziale che la separava dal cacciatore. Il dolore per la perdita della loro sorella, l’ira per la brutalità che le avevano riservato nel porre fine alla sua esistenza, l’indignazione per il modo in cui ne avevano oltraggiato la salma, rendendola irriconoscibile, riemersero in superficie nel momento in cui quell’uomo la ingiuriò. Saraid avanzò, e quando gli fu vicina non esitò ad afferrargli la mandibola tra le dita, per poi sbattergli con violenza il capo contro il palo di legno al quale era stato incatenato. Intontito per il colpo e per l’effetto che il sangue della creatura aveva su di sé, il cacciatore la guardò per qualche secondo come in stato confusionale.
    « La ragazza ti ha fatto una domanda, mago. Ingiuriala ancora una volta con la tua insolenza e ti strapperò la lingua con le mie stesse mani. », ribadì la mezzaveela con freddezza. Si sarebbe pentito in ogni caso per quell’affronto: le aveva oltraggiate per l’ultima volta. Salomè trasse da sotto la tunica un fodero di pelle, avanzò fino alla ragazza fino a poggiare una mano sulla spalla, stringendogliela con delicatezza ma al contempo stesso determinazione. Le infilò l’arma tra le dita, chiudendole attorno all’impugnatura affinché la brandisse da sé.
    « È tua: fatta forgiare dai goblin in attesa che arrivasse questo giorno, figlia mia », Sigyn era pronta a essere iniziata realmente al loro mondo: Saraid non avrebbe esitato a guidarla, mantenendo fede alla promessa fatta a sua madre – e alla ragazza stessa – il giorno in cui si era occupata del suo battesimo di sangue in quella foresta.
    « Benedetta dall’influenza della luna, non aspetta che tu ne appaghi la sua sete », Saraid si chinò all’orecchio della ragazza, sussurrando suadente il modo in cui intervenire senza ucciderlo, certa che avrebbe affrontato quella prova a testa alta, andando fino in fondo. Sarebbe bastata una piccola spinta, dopotutto: ed era quello che intendeva fare ponendo al cacciatore delle domande ancor più mirate.
    « Niamh non si sarebbe mai spinta fuori dai confini di questa foresta. Non senza essere tratta all’esterno con l’inganno », esordì, assicurandosi di mantenere vivo il contatto visivo con quel cacciatore. La loro compianta sorella non lasciava la foresta nemmeno per vedere sua figlia e la foresta proteggeva tutte loro da sguardi indiscreti: non figurava neanche tra i registri ministeriali, tutte loro l’avrebbero trovata una grande offesa alla propria natura, unica legge alla quale rispondevano. Non poteva essere un caso averla presa di mira.
    « Conosceva i suoi assalitori, in caso contrario credeva di conoscerli. Da quanto tempo eravate sulle sue tracce e in che modo è stata persuasa a lasciare la foresta? »
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    Saraid pestò nel mortaio di marmo i frammenti di fiore di vetro e li mescolò con vigore alle foglie di dittamo; una volta che furono polverizzare aggiunse al composto delle gocce d’olio curativo, ricavandone un’essenza che raccolse in una provetta di vetro. Lasciò la serra e rientrò nella villa, raggiungendo suo padre nelle stanze dove stava riposando. Avanzò fino al letto, e dopo aver posato la profetta sul mobile attiguo sedette sul materasso, osservando suo padre dormire profondamente. Gli scostò una ciocca di capelli brizzolati dalla fronte madida di sudore, soffermandosi a lungo sul suo volto pallido e scavato. Athair non si accorse nemmeno della sua presenza: il distillato che la mezzaveela aveva versato nella sua bevanda era stato sufficiente da indurgli un sonno sereno, che potesse sottrarlo per qualche ora dal dolore la malattia infliggeva al suo corpo provato e debilitato.
    « Mentre il giorno appartiene agli uomini, la notte appartiene agli esseri dell’altro mondo; è bene non attardarti, perché la nostra notte è il loro giorno », pronunciò, come indotta in una sorta di trance. La malattia non gli stava lasciando scampo: il corpo stava lentamente ma inesorabilmente decadendo, trasformandosi in una gabbia per il suo spirito. Presto lo avrebbe condotto tra le schiere degli esseri dell’altro mondo. Questo lo sapeva, lo aveva saputo fin dalla prima diagnosi. L’unica cosa in suo potere era accompagnarlo in quel viaggio finché lui le avesse camminato accanto.
    Ne baciò il capo, scostò poi le lenzuola e guidò la bacchetta a mezz’aria, facendo sparire nel vuoto le bende che avvolgevano braccia e addome del Mago. Ne evocò di nuove, inumidendole d’acqua calda provvide a ripulire le ferite dal sangue secco e dal liquido infetto; l’operazione richiese scrupolo da parte sua, di tanto in tanto non fu insolito scorgere il viso dell’uomo contrarsi in un’espressione sofferente. Fu con ancora più delicatezza che cosparse le ferite con l’unguento, fasciandole senza esercitare un’eccessiva pressione. Fu una sorpresa e un imprevisto essere interrotta dalla creatura argentata di Castiel Westwood: quella sola parola fu sufficiente per comprendere cosa la aspettava. Finita la medicazione, Saraid fece ritorno alle proprie stanze per recuperare il suo fedele athame; ne cosparse la lama con qualche goccia lasciata colare dall’uroboro d’oro, e una volta fuori dalla proprietà si avvalse di una passaporta nascosta per raggiungere il rifugio del Mangiamorte.

    Prima di entrare nell’abitazione Saraid si celò agli sguardi altrui tramite un incantesimo di disillusione e osservò l’ambiente circostante, per capire quanti fossero e quali vie d’accesso erano state percorse; a giudicare dalle impronte sul terreno che precedeva l’ingresso, gli Auror sulle tracce di Castiel dovevano essere almeno tre. Le voci che sentì all’interno non le erano familiari: una donna e un uomo minacciavano il Mangiamorte, ma fu solo quando questi pronunciò il nome del collega che la mezzaveela comprese con precisione chi fossero i loro nemici. La Divisione Irlandese, nei vertici in persona, si era scomodata fuori giurisdizione per catturarlo; un incantesimo imperturbabile non verbale avrebbe isolato la stanza, permettendole di entrare senza essere udita. Se gli Auror erano tre, ne mancava un terzo all’appello, probabilmente celato ai loro sguardi allo stesso modo in cui si era mimetizzata lei. In una mano stringeva la bacchetta, nell’altra il pugnale; l’homenum revelio le avrebbe consentito di individuare il terzo giocatore, ma allo stesso tempo avrebbe permesso a tutti loro di rilevare anche la propria presenza nella stanza, facendole perdere, di fatto, il vantaggio di un attacco a sorpresa. Avevano solo una possibilità di fuga, cosa che la spinse a rimandare temporaneamente il terzo auror, dedicando la propria attenzione agli altri due presenti, che visti i trascorsi con quella sostanza non avrebbero faticato affatto a riconoscerla. Saraid infilò la mano nel sacchetto di pelle legato al fianco e afferrò nel palmo sfera composta di polvere rossa compattata: la fece rotolare sul pavimento ed esplodere quando giunse in prossimità del vicecapo auror, disperdendo la sostanza nella stanza. Quel veleno avrebbe impregnato l’aria, paralizzando chiunque lo avesse inalato con tutte le spiacevoli conseguenze, sul lungo termine, di un arresto respiratorio.
    Homenum revelio, fu allora che individuò la donna: con uno scatto felino, Saraid sollevò il pugnale e facendo pressione con il palmo sull’impugnatura mirò al cuore dell’auror, determinata a porre fine alla sua vita.


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    « Dea dei sospiri della marea, della pioggia gentile, il mio canto a te è levato. », inginocchiata davanti all’altare della Dea, Salomé pregava la sua benevolenza per il compito che attendeva la sua beniamina e la comunità delle veela di An Gaorthad. Fino a quel giorno la Dea dai mille volti non aveva mai mancato di camminare al suo fianco, e ancora una volta aveva accolto le sue preghiere: uno dei Cacciatori che aveva osato violare la foresta sacra per macchiarsi del sangue di una sorella era stato individuato e catturato dalla mezza veela poche ore prima, e attendeva di andare incontro al suo Destino nella tenda adiacente a quella dell’anziana.
    « Risvegliami con il tuo colore argentato, sii con me nel sacro rito. Signora del silenzio e dell’oscurità, mostrami la via per non cadere, illuminami la terra sulla quale camminare. Ora che sei al culmine della tua potenza ti rendo onore », fu un’offerta di miele, cereali e altri prodotti della terra che lasciò in una ciotola sull’altare. Il sangue sarebbe confluito direttamente sulla terra al momento opportuno.
    Saraid lasciò la villa nelle redini di Isaac, raccomandandosi di avere un occhio di riguardo per il suo athair: non sapeva quantificare la permanenza nella radura delle sue sorelle. Non ora che tutte loro erano in festa, in attesa che la giustizia compisse il suo corso.

    « Bentornata a casa, mia cara Sigyn », fu con un sorriso che la veela accolse la ragazza, stringendole con decisione ma con delicatezza le mani. Salomé chinò il capo in un cenno di assenso alle sue parole: era certa che la sua protetta fosse impaziente di essere condotta dall’assassino, per poter scorgere nei suoi occhi un bagliore di pentimento che non avrebbe trovato. Presto sarebbe stata accontentata.
    « Il cacciatore attende nella tenda alle nostre spalle », rispose con un tono neutrale, in netto contrasto con la scintilla sanguinaria che le animava lo sguardo.
    « Questa sera verrà condotto nella radura della quercia bianca in presenza dell’anziana e di noi tutte per ricevere il giudizio e la punizione che gli spetta. L’Anziana e io riteniamo sia giusto che prima di allora sia tuo diritto raggiungerlo », non tutte le veela erano concordi con quella decisione, ma nessuna di loro aveva osato contrastare il volere dell’Anziana né erano state sollevate proteste sulla presenza di Sigyn. Niahm era stata sua madre, era impensabile che la figlia non presenziasse nella coven in un momento decisivo come quello.
    « Sarò al tuo fianco se lo desideri. »
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    « Soltanto se sarai tu a permetterlo », ribadì con tranquillità una volta che il Mangiamorte ebbe messo a nudo i suoi timori. Era dall’uomo e non dalla Dea che la ieromante aveva fatto tesoro di quella verità: Miller l’aveva tradita e ingannata, e aveva potuto farlo perché la mezza veela aveva riposto in lui la propria fiducia. Avrebbe dovuto prevederlo, invece l’assuefazione scaturita dal loro legame le aveva impedito di agire con la massima cautela facendo ricadere nell’oblio una verità che nel profondo aveva sempre conosciuto: gli umani sono creature fragili, ma per quanto senzienti e in grado di provare emozioni restano pur sempre creature; avrebbero sempre posto la propria sopravvivenza a discapito di quella del collettivo sacrificando la seconda se da questa fosse dipesa nell’immediato la prima, ed era esattamente ciò che aveva fatto il contrabbandiere, niente di diverso da ciò che Westwood aveva subito dalla sua precedente compagna.
    Saraid era caduta in errore una volta, ma Salomé non avrebbe commesso nuovamente quell’ingenuità. Non avrebbe permesso a nessun altro, creatura o uomo che fosse, di ingannarla o ferirla come aveva osato Miller. Che fosse apparentemente disarmata di pugnale e di bacchetta non la rendeva inerme, tanto meno innocua: erano molti i sistemi di cui poteva disporre per uccidere, primo tra tutti il potere che attingeva dal proprio sangue e se il mago avesse deciso di restare al suo fianco seguendola in campo lo avrebbe appreso col tempo.
    Fu con sguardo criptico e analitico che osservò il Mangiamorte assimilare quanto fosse appena accaduto tra loro, studiandolo con vivido interesse trovò affascinante il modo in cui la sua mente era volubile ai mutamenti. Se dalle azioni e dai ragionamenti di Joel Saraid era in grado di ricostruire degli schemi comportamentali che le permettevano di prevedere i suoi spostamenti e le sue azioni future, lo stesso non avrebbe potuto dire di Castiel Westwood, che si confermava imprevedibile incontro dopo incontro. Questa peculiarità lo rendeva più intrigante di quanto avrebbe potuto prevedere, e costituiva uno dei motivi che spingevano la mezza veela a pazientare davanti alla sua irruenza. Lo vide avvicinarsi, ma non indietreggiò; l’avrebbe trovata pronta a contrattaccare, tuttavia a livello istintivo sentiva che non ne avrebbe avuto bisogno. Perché lui non era una minaccia.
    “Io ho bisogno di te. So soltanto questo.”, una scarica di piacere le percorse la schiena nel sentire quelle parole, nell’avere la conferma tangibile di esercitare un tale potere su un’altra persona, su di lui più di tutti. Saraid non si ritrasse a quel contatto, e per alcuni secondi a dominare in stanza furono il silenzio delle parole e la comunicazione tra i loro sguardi.
    « Allora resta », ribadì l’invito, intenzionata a fargli preparare una stanza.
    « In questa casa troverai sempre rifugio e alleati, Castiel. Non dimenticarlo »
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    La natura era Dio, e cos’era Dio se non la madre, l’origine di tutte le cose? Alla ieromante non interessava il nome con cui definirla, ma capiva che per il Mangiamorte fosse impossibile aprire la mente, la dottrina che ne aveva condizionato la vita gli impediva di andare oltre i un certo limite. Inferno, paradiso, purgatorio erano concetti a lei totalmente estranei: ad attenderli dopo la morte, se l’anima si rivelava degna del riposo, erano soltanto le verdi terre d’estate, un luogo senza tempo privo di qualsiasi sofferenza, dal momento che il concetto di peccato e colpa non era altro che un’invenzione umana.
    « Il tuo Dio trova utile convincerti che io sia una minaccia. Non riesci a vederlo? Ti sta mettendo alla prova. Sta mettendo alla prova la tua sottomissione », c’era un motivo se i loro destini si erano incrociati, e non era per nuocersi a vicenda. Salomè non ne avrebbe guadagnato niente ma in quel momento il Mangiamorte era troppo piegato emotivamente e psicologicamente per guardare con occhio critico e con lucidità le circostanze che li legavano.
    Il pugnale andò a fondo, facendola trasalire; la mezza-veela trattenne il respiro, sussultando quando l’altro ne ruotò l’elsa nella carne. Un’illusione che avrebbe trovato spazio nella mente del mago, caduto vittima del potere insito nel sangue della creatura, estinguendosi non appena il mago si fosse accorto che nel palmo della mano stringeva ancora l’elsa del pugnale, ma la sua lama non avrebbe scalfito neanche un graffio. L’Uomo l’aveva già pugnalata una volta, non avrebbe permesso a nessun altro di osare tanto.
    « Cresciuto Isaac, Dio volle mettere nuovamente alla prova Abrahm e gli comandò di sacrificare il figlio », sussurrò la creatura al suo orecchio mentre gli sfilava l’athame con decisione. si allontanò retrocedendo verso il proprio altare dove spense i fumi dell’incenso magico sfregando i polpastrelli sullo stoppino delle candele. Tutte tranne una, quella dalla fiamma eterna.
    « Abrahm obbedì e Dio mandò un angelo che gli fermò in tempo la mano e gli mostrò un ariete da immolare, mostrando così di essere contrario ai sacrifici umani », lo sguardo della veela si soffermò imperscrutabile sul volto provato del Mangiamorte. Non si sarebbe frenato dall'ucciderla così come non esistevano angeli pronti a impedirgli di commettere omicidio, sarebbe stato un paradosso del libero arbitrio.
    « Lui ti mette ancora alla prova, e in questa stanza gli hai appena dimostrato di essere rimasto fedele a te stesso. Nessuno può manipolarti, mago. Né Lui », gli occhi della strega per un attimo arsero di soddisfazione.
    « Tanto meno io. » se era una prova ciò di cui aveva bisogno l’aveva appena ottenuta: Salomè conosceva il suo credo e lo rispettava. Le parole erano inefficaci davanti ai fatti, Salomè gliene avrebbe dati finché non lo avesse convinto di stare dalla stessa parte.
    « Sarai provato dal lungo viaggio. Stanotte puoi fermarti qui, se lo desideri »
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    « Eppure, i miei occhi vedono oltre: la punizione che ricade su di te non è di natura divina », commentò, pronunciando quelle parole come se gli stesse rivelando una verità assoluta.
    « Scegliendo di non squarciale il velo inganni te stesso e cadi vittima delle loro menzogne, Castiel Westwood. Non esiste artefatto più ingegnoso e meno pericoloso del non voler accogliere la verità », le insinuazioni della mezza veela si stava insinuando appena sotto la pelle del Mangiamorte, quanto bastava per scoperchiare il vaso di Pandora che, lentamente, ne avrebbe intaccato tutte le menzognere condizioni di cui era diventando vittima. Quel tormento non era di natura divina perché il suo Dio non era altri che frutto della brama di potere dell’uomo, di un patriarcato che dall’alba dei tempi temeva il potere generatrice della madre terra e della donna, un potere sul quale non deteneva alcun diritto né controllo e che ne avrebbe potuto rovesciare il ruolo primario in qualsiasi momento. In nome di quel timore l’uomo aveva seppellito la verità sotto racconti ad arte e leggi riscritte per cancellare ogni traccia dell’unica vera Dea, la dea dai mille volti.
    « La natura dà, la natura toglie », ribatté pacata, lo sguardo per alcuni istanti cadde sul cardellino sacrificato sull’altare. Il sangue dell’animale era ancora fresco nella ciotola, il taglio all’altezza del ventre aperto sulle interiora le aveva mostrato una visione del futuro. La dea aveva deciso di metterla alla prova per verificare se reputarla degna di quell’alleato, e Salomé non si sarebbe tirata indietro indipendentemente dal prezzo da pagare. Se la mezza veela avesse voluto proseguire nella sua guerra contro il traditore quel nodo andava districato.
    « Senza la morte non esisterebbe evoluzione. Senza la morte non esisterebbe la vita, chi crede di ingannarla inganna sé stesso. La Dea lo sa, non ha senso respingerla », Salomé allungò una mano verso il viso di Castiel Westwood per toccarne delicatamente una guancia, mentre l’altra scivolava tra le pieghe della gonna per sfiorare l’impugnatura dell’athame, il coltello con il quale celebrava i suoi rituali e segnava la condanna a morte dei suoi nemici.
    « Sa quanta sofferenza contiene il tuo cuore, Castiel Westwood. Lei mi ha rivelato chi sei stato prima di rinascere dalle fiamme, mi ha rivelato quanto ti è costato », Salomé chinò il capo da un lato, osservandolo come incantata mentre le dita gli sfioravano il mento ruvido. La mano libera aveva afferrato l’elsa e sfilato il pugnale dalla guaina senza produrre alcun rumore.
    « La vita a cui ha posto fine, gli affetti che ti ha sottratto per forgiarti come guerriero… », sussurrò a fior di labbra.
    « Non ho motivo di ingannarti. Io sono solo una sua messaggera che ha scelto di fidarsi della sua guida. Fosti tu a trovarmi. Fosti tu a chiedere il mio aiuto ed è mia intenzione tenere fede alla parola data. Ora puoi disporre di me come più desideri… sia che tu scelga di seguirmi », Salomé spinse l’elsa del pugnale nel suo palmo e gli chiuse le dita attorno all’elsa perché lo afferrasse.
    « Sia che tu decida di non farlo… in entrambi casi non incontrerai resistenza. »
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    « Quando sono sul mio sentiero verso l’inferno, che sia l’inizio o la fine del giorno, il corvo sa se cadrò », Saraid pestò con vigore nel mortaio finché del fiore di vetro non rimase che polvere. La sua voce, mescolandosi all’odore acro di incenso ed erbe aromatiche, risuonava solenne attraverso la stanza. A un gesto più deciso degli altri la fiamma della candela proiettò un’ombra tremolante sull’altare, conferendo alla stanza un aspetto sinistro.
    « Quando sarai alle porte dell’inferno sarai libero dal legame che ti teneva stretto », proseguì, rovesciando all’interno del mortaio alcune gocce perlate di un colore che richiamava l’argento. Srotolata accanto una striscia di cuoio, la mezza veela impugnò l’athame e aiutandosi con le dita raccolse il composto sulla sua lama; utilizzando il pugnale di piatto, spalmò l’unguento sul supporto e iniziò ad arrotolarlo, per poi sistemarlo all’interno di un piccolo scomparto della cassetta in ottone insieme agli altri medicamenti.
    « Il bestiame muore, gli amici muoiono, come loro anche tu dovrai morire », Saraid afferrò l’incensiere e si alzò verso la finestra, dischiudendone le ante. Se fosse stata in grado di provare emozioni l’inflessione vocale con la quale aveva pronunciato quelle parole avrebbe celato una sfumatura di malinconia.
    « Ma c’è una cosa che non muore mai », poggiò l’incensiere sul davanzale, osservando in lontananza, con curiosità crescente, la figura di un uomo addentrarsi nella sua tenuta. Sapeva chi fosse ancor prima che la vicinanza le permettesse di riconoscerlo.
    Non gli andò incontro a ricevimento ma lasciò che fosse lui a raggiungerla, continuando il rito come previsto. Quando il Mangiamorte entrò nella stanza Salomè aveva appena terminato di ingraziarsi il favore della dea. Si voltò verso di lui, scrutandolo con curiosità accasciarsi a terra e chiedere il suo aiuto senza celarsi dietro il velo della menzogna.
    « La Grande Madre è la prima autentica trinità della storia, immortale racchiude in sé il potere della nascita e della reincarnazione. Da lei proveniamo e a lei ritorniamo. Esiste contestualmente al tuo Dio, è perfino più antica. Egli che tutto vede lo sa. Perché mai dovrebbe punirti? », un interrogativo pronunciato con velleità che racchiudeva l’invito a continuare. Probabilmente alle sue orecchie da credente sarebbe suonata blasfema: velatamente Saraid stava insinuando che la Grande Madre e il Dio cristiano rappresentassero i due volti della stessa medaglia, come il giorno e la notte, il sole e la luna.
    « Non è possibile tradurlo in parole. Lei si rivelerà a te se sarai pronto ad accoglierla », un primo passo in tal senso tuttavia era stato compiuto e lasciava presagire bene: Castiel Westwood ne stava riconoscendo l’esistenza, sebbene questa possibilità gli sembrava intollerabile. Saraid gli poggiò le mani sulle sue, invitandolo a scostarle dal capo per poterlo guardare negli occhi. Doveva ripristinare un contatto se voleva farsi ascoltare, e non sarebbe stato fattibile se l’uomo avesse continuato a vagare smarrito nei propri tormenti.
    « Posso accompagnarti in questo viaggio se lo desideri. Ma ciò che mi chiedo è se lo desideri davvero, e se ne hai ben chiaro lo scopo: una volta varcata la porta del Mondo di Sotto non sarai più la stessa persona entrata in questa stanza. »
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    Davanti ai loro occhi si erse massiccio un fantoccio di legno alto circa dieci piedi per cinque di larghezza; aperto all’altezza del torace, attendeva che il sacrificio venisse portato al suo cospetto per consumare il rito. Uno sventolio di bacchetta bastò per far risuonare il tamburo sciamanico a ritmo regolare. A ogni colpo le vibrazioni incalzavano la mezza veela a compiere il suo dovere: il sangue ribolliva nelle vene chiamando altro sangue, gli occhi le si accesero di un barlume sinistro mentre rivolgeva una silenziosa preghiera alla sua Dea dai Mille Volti, affinché guidasse la propria mano lungo il tortuoso cammino che la attendeva. Al rumore dei passi si voltò, con orgoglio scrutò il guerriero che trionfante poneva tra le sue mani la vita della spia. Salomé gli rivolse un cenno di assenso, chinando il capo in sua direzione per mostrargli approvazione e gratitudine.
    « Per quel che hai fatto per me… per quanto farai ancora… ti sono riconoscente », rispose, con tono solenne. Kristopher Hilton non si reggeva più in piedi: il suo sguardo era vacuo, di chi era prossimo all’incoscienza e non ve ne sottraeva, consapevole di essere giunto al capolinea. Soltanto nella morte avrebbe trovato riscatto, fu in un moto di rispetto e di pietà che Salomé sollevò la lama aprendo uno squarcio nella sua gola. Il sangue schizzò sul viso e sui vestiti lasciandola impassibile mentre dalla gola dell’uomo provennero gli ultimi rantoli soffocati, eco della morte. Poi il silenzio ebbe la meglio, e l’unico suono che impegnò la radura fu quello del vento che si alzava, sferzando tra gli alberi.
    « Che sia l’inizio o la fine del giorno, il corvo sa se cadrò. Quando raggiungerai le porte dell’inferno e sarai libero di piangere, e sarai libero dal legame che ti teneva stretto, io ti seguirò con la mia canzone. », la mezzaveela si avvalse della magia per confinare il corpo senza vita del giornalista dentro il fantoccio di legno, legandolo con fitte corde perché non potesse cadere nel vuoto. Il fuoco si accese alla base, divampando in fretta riempì l’aria con l’odore della carne arsa. La voce risuonò come una preghiera solenne, mentre il suono del tamburo andò pian piano estinguendosi. Con un incantesimo di scambio recuperò la ciotola dove aveva raccolto il sangue e la lingua del sacrificio, intingendovi le dita al suo interno descrisse sullo sterno scoperto due mezzelune laterali e un cerchio centrale, i tre volti della Dea. Avrebbe fatto dono di quel sangue, di quella carne, al suo nemico inglese una volta che ti tempi fossero stati maturi. Il torno della voce cambiò mentre intonava un inno sacro, una cantilena misteriosa che accompagnò l’estinguersi delle fiamme.
    « Gli amici muoiono, come loro anche tu dovrai morire. Ma conosco qualcosa che non muore mai: la giusta fama che qualcuno ha guadagnato », esordì, lo sguardo colmo di commozione, assente.
    « E il valore della vita di un uomo morto. Sarà bene non attardarci oltre »
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