Lying is done with words and also with silence.

Ufficio del Prof. Korczak

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    << Il sottoscritto O’Connell Richard, in merito all’esercitazione laboratoriale… la cui tematica “Antidoti mentali”… ricorre pertanto formalmente all’accesso agli atti… affinché venga riesaminata la valutazione attribuita al compito… e si provveda alla rettifica della stessa.>>, questi erano stati i tratti salienti della pergamena che Erik aveva fatto scivolare nella casella postale del Professore di Pozioni. Una semplice pergamena, non tracciabile, senza la seconda provetta che aveva attinto dal calderone come prova ma che teneva con sé nella tasca della giacca mentre percorreva i sotterranei; pertanto non valida ai fini di una reale riesamina del lavoro svolto. Il suo scopo, nel mettere la pulce nell’orecchio al professore, era più sottile: una discreta chiacchierata informale, volta a conoscerlo meglio. Korczak non era un mago qualsiasi: l’istinto gli suggeriva che dietro lo strato superficiale di alterigia, devozione verso la propria materia mista a insofferenza verso gli studenti si nascondesse una personalità poliedrica, della quale non conosceva nulla. Punirlo attribuendogli una valutazione che non andasse oltre la sufficienza dopo le abilità dimostrate sul campo, per altro ammesse da lui stesso, era un modo per provocarlo: forse il professore ne stava testando la tempra, forse intendeva dargli una lezione, o ancora vedere fino a che punto Erik si sarebbe spinto. Qualsiasi fosse stata la motivazione che aveva dato il via a quella situazione ambigua, il ragazzo di Durmstrang aveva deciso di cogliere la provocazione per vedere dove lo avrebbe portato. Perché l’affinità che provava nei confronti di quell’uomo era rara, e non poteva che appartenere a un’anima oscura come lo era la sua.
    Nessun altro era stato messo al corrente di quella lettera: l’unica attenzione che intendeva attirare era quella del diretto interessato. Non dovette neanche attendere molto per una sua reazione: Erik era stato convocato nell’ufficio del Professore al termine dell’attività didattica. Meticoloso com’era, lo studente non si fece attendere. Arrivato a destinazione bussò alla porta ed entrò solo quando venne invitato, in abiti informali scuri come era sua consuetudine a fine giornata.
    -Buonasera Professore.- salutò, avanzando a un suo cenno. Tuttavia, indipendentemente che l’altro gli facesse segno di accomodarsi, Erik preferì non sedersi. Principalmente per abitudine: la postura eretta gli consentiva di tenere alta la guardia e di poter reagire tempestivamente in caso di necessità, inoltre gli conferiva il vantaggio psicologico di sentirsi alla stessa altezza del proprio interlocutore.
    -So che voleva vedermi. Mi stavo giusto chiedendo se il motivo della sua convocazione non andasse oltre la mia esercitazione. Sa perfettamente quanto l’antidoto preparato dalla mia squadra fosse impeccabile.-, gli occhi scuri del ragazzo si soffermarono su quelli del docente, indagatori e curiosi. Entrambi sapevano che la valutazione era stata soltanto un pretesto per combinare quell’incontro. Quel che Erik intendeva scoprire era ben altro. Stava valutando se quel mago fosse il candidato adatto da prendere in esempio come una guida.
    -Se le ho dato in qualche modo motivo di scontento ci tengo a farle sapere che non era mia intenzione.-
     
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    - Stai diventando ardito oltre misura, rischi di farci scoprire. -
    ~ E tu più noioso del solito, cos'è: hai finito le ragazzine da molestare o , più semplicemente, hanno ormai compiuto tutte diciassette anni e sono diventate troppo vecchie per i tuoi gusti? ~
    • Se posso, visto come trovo qui i pochi minuti d'aria che mi sono concessi, egli non si limita alle fanciulle, Owen mio caro. A Dragomir piacciono tutte le donne sessualmente mature.
    Ed io, oibó, non posso che convenire con lui: gli individui di sesso femminile, generalmente, sono più teneri. •

    - Taci! -
    ~ Taci!
    Che schifo Francis, cazzo! Adesso vomito. Perché, fottuto bastardo antropofogo di merda, non posso semplicemente darti fuoco e liberarmi, o meglio, liberarci, di te?

    - Perché noi tre, tutti, condividiamo lo stesso corpo.
    Il mio, per giunta. Ci uccideresti. -

    ~ Oh cazzo date una medaglia a quest'uomo, capitan ovvio ti fa una pugnetta a te, vero? ~
    - Ora basta. Scacciamolo di nuovo nel buio, il ragazzo sta per arrivare.
    Io e te, Owen, torneremo presto sul discorso. Stanne certo. -

    ~ Fottiti Yoghi, con tutto il cuore.
    Comunque, il tuo amichetto è già qui fuori e ha appena bussato. Ti conviene andare, a meno che tu non voglia lasciare che sia io ad...~

    ____________________________________________________________________________________
    Osservo il grande specchio.
    Ed il mio riflesso nello stesso.
    Un corpo tanto bello.
    Cela una mente, mio malgrado, così dilaniata.
    Separata.
    Condivisa con altri, senza il mio consenso.
    Né modo per evitarlo.
    Non ancora, almeno.
    Owen non si ingannava, battono ancora alla porta.
    - Avanti. -
    I miei crucci attenderanno.
    Ora ho altro da fare.
    Argomenti non personali.
    Non per questo, però, meno interessanti.
    Il soggetto in questione, mi interessa.
    Ci interessa.
    Davvero.
    Sia io che Owen abbiamo visto qualcosa in lui.
    Il mio alterego, una possibile pedina utile ai suoi scopi.
    Io, più sentitamente, un cervello niente male.
    Mal'espresso, forse.
    Non adeguatamente applicato.
    Vagamente sconsiderato.
    E, purtroppo, giovane.
    Tuttavia, pur sempre brillante.
    Coadiuvato, a tratti, da un portamento freddo.
    Ben distaccato.
    Meravigliosamente, e giustissimamente, egoista.
    La mia stecca fende l'aria.
    Un' ulteriore, precauzionale, incanto viene lanciato.
    La nostra conversazione ci appartiene.
    È privata, e tale deve rimanere.
    Non si sa mai, dopotutto, chi potrebbe accostare l'orecchio alla porta.
    - Impeccabile.-, un ghigno glaciale raggiunge il ragazzo, - Sei certo di poterlo asserire?
    Parliamo pur sempre d'un composto recuperato in extremis, o sbaglio?-

    La mia voce è asciutta, priva di convenevoli.
    - Entri qui, peccando di presunzione.
    Però, dimmi, essendo tu brillante quanto vorresti farmi credere...non avresti dovuto evitare, per tempo, che quel microcefalo compromettesse il tuo lavoro?-

    Allungo un braccio sul tavolo.
    Offrendogli, ora, un'espressione interrogatrice.
    E distaccata, pure.
    Così come mi si conviene.
    - Recuperare dopo, quanto si sarebbe dovuto evitare prima, serve ma non basta.
    Non scordarlo.
    Pertanto non definire perfetto il tuo lavoro quando, lo sai bene, altro non era che banalmente notevole.-

    Non amo le perdite di tempo.
    E la presunzione, quando non meritata, lo è.
    Non c'è scampo a questo.
    - L'unico scontento che mi hai arrecato, O'Connell, è stato di non trattare l'ostacolo in modo preventivo.
    Anche neutralizzando l'anello debole, si intende.-

    Lo trapasso con gli occhi.
    Scrutandogli nell'anima.
    Non letteralmente, certo.
    Tali capacità non mi sono mai appartenute.
    Né mi interessano.
    È astratto il modo in cui, io, gli scavo dentro.
    E tanto mi basta.
    Porgo avanti il capo.
    I gomiti si poggiano sul piano.
    La distanza tra noi, si fa irrisoria.
    - D'altro canto, questo avrebbe potuto compromettere la tua prova attoriale così ben sostenuta fin'ora, nevvero? -
    L'abbiamo tenuto in considerazione, ovviamente.
    Il modo in cui si muove nella scuola.
    Pondera accuratamente quasi tutte le sue parole.
    Studia accuratamente le espressioni.
    O striscia, ambiguo, tra i suoi compagni.
    Tradendosi, leggermente, in rade occasioni.
    Quando la sua natura prevale.
    Il ribrezzo lo prende alla sprovvista.
    O le emozioni, così pericolose, si fanno troppo intense per controllarle in toto.
    C'è di più, probabilmente, in questo ragazzo.
    Io ed Owen, straordinariamente, ne conveniamo.
    Un sorriso lo raggiunge.
    Facendosi ora, più incalzante che arcigno.
     
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    Un accorgimento da parte del docente, prima di entrare nel merito della conversazione, gli diede di che pensare. Erik lo vide agitare la bacchetta in aria, descrivendo rapidamente un movimento che, nonostante non venne accompagnarlo da formule magiche, risultò familiare al ragazzo. Da quel momento in poi non solo la stanza avrebbe beneficiato di una protezione che avrebbe impedito alle loro voci di essere udite dall’esterno, ma avrebbe cambiato perfino la percezione di eventuali intrusi che dall’esterno non si sarebbero neanche resi conto della loro presenza. Gli occhi scuri del ragazzo si accesero di curiosità: con quel gesto il professore di pozioni si era guadagnato la sua completa attenzione.
    -Non è corretto ritenermi responsabile dell’inettitudine dei miei compagni, Professore. Sono contrattempi da tenere in conto nel momento in cui la scuola sceglie di non rendere la conoscenza una conquista meritocratica. Si dice che anche lei si sia formato nel mio stesso istituto, potrà quindi comprendere a cosa mi riferisco.-, mezzosangue e nati babbani che non realizzavano l’importanza, il privilegio di poter usufruire della magia, nonostante il sangue marcio che scorreva nelle loro vene, potevano essere problematici. Gli stessi purosangue negli ultimi tempi parevano aver dimenticato la posizione di prestigio che ricoprivano, adattandosi alla mediocrità comune. Uno dei motivi per cui aveva atteso di proposito l’errore imminente era ottenere una prova concreta con cui dimostrare che aveva ragione, a ritenere gli altri immeritevoli di frequentare una scuola tanto prestigiosa come lo era Hogwarts.
    -Eppure, nonostante questo… il risultato parla da sé. L’antidoto è perfettamente efficace.-, risultare indisponente non era sua intenzione ma l’arroganza che dimostrava era comprovata da solide basi: Erik sapeva di non parlare a sproposito. L’antidoto era perfetto e non aveva bisogno di testarlo per esserne sicuro, perché conosceva le proprie abilità. L’arte di creare pozioni e veleni aveva sempre esercitato fascino su di lui, forse perfino maggiore di quanto ne esercitassero le Arti Oscure. Pochi ingredienti in quantità innocua miscelati tra loro potevano sortire un effetto letale, garantendo all’artefice il potere di vita o di morte sulla persona che li avrebbe assimilati. Placare gli impulsi negativi del ragazzo era impossibile: per quanto Erik si fosse mimetizzato perfettamente in quell’ambiente, c’erano momenti in cui l’oscurità che macchiava la sua anima esigeva di spezzare le catene. Quella lezione gli aveva offerto il pretesto perfetto per dissetarla, e il Grifondoro era stato la cavia perfetta per lo scopo. Tuttavia, la cautela usata non aveva permesso a quel gesto di passare in sordina: Korczak lo aveva tenuto d’occhio per tutto il tempo, mostrandosi un acuto osservatore. I punti sottratti alla sua casata, il voto immeritato, non erano altro che ammonimenti volti a farlo rientrare nei ranghi: così era stato.
    C’era qualcosa, però, che Erik non riusciva a spiegarsi. Talvolta aveva la sensazione di ritrovarsi davanti a un individuo sempre diverso, una faccia sempre diversa; l’atteggiamento del professore, così come la sua predisposizione, spesso differivano da un giorno all’altro, a volte perfino nello stesso momento. Sottigliezze che aveva colto in un’intonazione, nel modo in cui gesticolava, perfino nella postura. Per certi versi gli ricordavano gli stati di psicosi in cui incorreva suo zio nei momenti peggiori… però, nel caso del professore, era diverso.
    In altri momenti Erik aveva l’impressione che gli stesse scavando nella testa. Non avendo motivo di avvertirlo come una minaccia, non si era mai curato di avvalersi dell’occlumanzia: non aveva niente da nascondere. Era questo il messaggio che doveva trasparire per salvaguardare la propria copertura. Dalle parole di Korczak fu plateale quanto la farsa, per quanto ben orchestrata, non era stata perfetta.
    Erik avvertì l’intromissione nella propria testa. Fu una sensazione strana: come le altre volte, l’impressione che Korczak non fosse il solo a provarci. Per alcuni istanti nella mente del ragazzo comparvero delle sequenze confuse: il fuoco che bruciava nelle vene, la difficoltà nel respirare, la cenere… l’immobilità. Il nulla. Il ragazzo aveva chiuso la mente.
    -Non ho mai fatto mistero della mia istruzione con il corpo docenti, ma non c’è motivo per cui debba farne un vanto con i miei compagni.-, McCormac sapeva che la sua istruzione fosse “avanti” per un quinto anno, anche se non fino a che punto. Non che avesse importanza: l’auror aveva intuito quanto il ragazzo che aveva accolto nella sua scuola fosse terribilmente ambiguo. Marcio dentro.
    -Perché sono stato convocato qui?-, isolando la stanza Korczak aveva reso ovvio che non intendeva segnalarlo in presidenza, quindi Erik escluse una denuncia da parte sua. Non riusciva però a comprendere dove l’altro volesse arrivare.
     
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    Che strano.
    Molto, molto inconsueto.
    Eppure...

    ~ Ti prego, Yoghi, non partire con uno dei tuoi soliti pipponi circa il fatto che non sta a lui decidere cosa sia corretto e cosa no. Lo sappiamo tutti che tu sei il più bravo, prima donna del cazzo. Sai valutare le situazioni, sei in grado di capire chi ha ragione e torto e tutto il resto. ~


    Oh no Owen, ti sbagli.
    Pensavo, solo, che un ex Durmstrang sapesse quando tacere.
    Dopotutto, non è poi così saggio correggere una mia osservazione.
    Lo lascio parlare, scuotendo il capo.
    Povero mendace in fasce, con il latte ancora sulle labbra.
    Sarebbe quasi convincente.
    Per altri, forse.
    - Davvero asserisci che una pozione recuperata con l'acqua del Lete possa definirsi perfetta? -
    Sono retorico.
    Nonché volutamente pungente.
    - Strano. È evidente dunque che anni di lavoro, studio, e perfezionamento rappresentantano solo un grande spreco di tempo.
    Come ho fatto a non rendermene conto.-

    E si, forse anche un po' ironico.
    In tali casi, è appropriato.
    - La pozione che mi hai consegnato, oggettivamente, è funzionale.
    Tuttavia, se ora ti stregassi...-

    La mia bacchetta lo punta.
    Lesta come un fulmine.
    Ed è perpendicolare alla sua fronte.
    -...e ti facessi bere il tuo preparato, stanne certo, saresti mio sufficientemente a lungo da perdere ogni singolo milligrammo della tua dignità.-
    Rimango immobile, così come sono.
    Lasciando, volutamente, passare qualche istante.
    Per poi emettere una risata, vera, a denti scoperti.
    - Puoi dormire sereno, non è mia intenzione.
    E ad ogni modo si, la tua pozione è stata, comunque, una delle migliori.-

    Ora però torniamo a noi.
    Al vero motivo della sua presenza qui.
    Ed esso, di certo, non riguarda l'inutile valutazione.
    Quella era, per così dire, un pretesto.
    Il quale ha sortito l'effetto sperato, si direbbe.
    - Dimmelo tu.
    Forse perché la tua condotta in classe mi ha deluso veramente.
    Per curiosità.
    Oppure, perché se credi che il vecchio McCormac si farà raggirare tanto a lungo da una prova così abbozzata, ti sbagli. -

    Mi alzo, circumnavigando la scrivania.
    Appoggiandomici.
    Proprio di fronte a lui.
    - Sei bravo, "O'Connell", peró non tanto quanto credi.
    Le emozioni, a tratti, ti tradiscono.
    Fatichi a controllarti sotto pressione.-

    Glielo dico, con tutta l'ovvietà del mondo.
    Non ci sono mezzi termini attuabili.
    Le cose stanno così, punto.
    - Permettimi di rigirarti la domanda.
    Cosa ci fa, davvero, uno come te ad Hogwarts?
    Te lo leggo negli occhi che questo non è posto per te.
    La tua opaca oscurità, ragazzo, è la mia. -
     
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    Erik fissò a lungo il professore, tenendo le mani conserte dietro la schiena in una postura aperta nei suoi confronti. Il ragazzo non si mosse, non si scompose nemmeno quando si vide puntare la bacchetta contro la fronte ma non abbassò la guardia. Rimase impassibile, come se nell’ufficio stesse avvenendo una chiacchierata informale tra professore e studente.
    -Mai messo in dubbio questo, Professore.-, per un attimo quasi impercettibile l’angolo della bocca del ragazzo si arcuò nell’accenno di un sorriso ironico, mentre le palpebre si assottigliarono; adesso aveva anche la prova che, nonostante la risata del professore e la leggerezza con cui stemprò la conversazione verso toni più sfumati, non si sarebbe posto problemi nel fare di lui la propria marionetta. Fu quando prese parola, tuttavia, che il battito sembrò accelerare nel suo petto. La sfumatura con la quale sottolineò il suo cognome era inconfondibile e nella sua fissità il ragazzo di Durmstrang realizzò di aver sovrastimato le proprie abilità. Adesso si trovava con le spalle al muro: impossibilitato a tirarsi dietro da quel confronto, e allo stesso tempo impossibilitato a poterne parlare francamente. Perché avrebbe dovuto? Non aveva alcuna certezza di cosa avrebbe fatto di quelle informazioni, isolare la stanza non era una prova sufficiente per tranquillizzarlo.
    -Supponiamo che per lei un giorno questa scuola possa diventare inospitale. Al punto da costituire una minaccia non solo per la sua libertà personale… ma soprattutto per la sua incolumità.-, il ragazzo tacque. Per un attimo i suoi occhi vacillarono e riaffiorò un’emozione creduta dimenticata. La paura. Non gli faceva visita da quella notte. Si era impressa nella pelle prendendo forma attraverso le cicatrici che gli avevano segnato la spalla, dove la creatura aveva affondato i canini.
    -Potrebbe scegliere di restare: quale corte la condannerebbe per una difesa legittima. Tuttavia… esistono Maghi e Streghe che non obbediscono alle leggi del mondo dei maghi. Perché l’unica legge che riconoscono è la magia della loro natura. Restare significherebbe morire-, le creature non rispondevano agli umani. Quella creatura in particolare era legata un Antico che sapeva della sua esistenza e che poteva reclamare la sua testa in qualsiasi momento.
    -Non ricordo da un po’ cosa significhi dormire sereno. Forse è per questo che le do la sensazione di essere sotto pressione. Ma pare non sia il solo a sentirmi fuoriposto-, la tua oscurità è la mia. Cosa intendeva il professore con quelle parole? Cosa stava cercando di dirgli con esattezza?
    -Cosa l’ha spinta fin qui, Professor Korczak?- Korczak non era un mago che amava perdere tempo. Esercitava la sua professione con la precisione chirurgica di un medimago ed era il solo, del corpo docenti, di cui Erik non era riuscito a stilare un profilo sommario. Fatta eccezione per le occasioni dove veniva coinvolto perché il lavoro lo richiedeva, non lo aveva mai visto intrattenersi con i suoi colleghi. E a dirla tutta anche all’interno del castello non esisteva un luogo a cui poteva essere associato: sembrava impegnarsi per evitare i contatti, specialmente con i suoi studenti.
     
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    - Quindi stai provando a farmi credere che, tu, hai avvallato un trasferimento da Durmstrang ad Hogwarts...per paura? -
    C'è dell'astio nel mio tono.
    Mischiato ad un velo di ribrezzo.
    Sarcasmo.
    E impazienza.
    Odio le perdite di tempo.
    Credevo di averlo messo in chiaro.
    Eppure mi trovo costretto a rievindenziarlo.
    Evidentemente, potrei essermi ingannato.
    Come dicevo poc'anzi.
    - Se il tuo intento è di insultare la mia intelligenza accampando scuse, sappi che la cosa mi indispone. E la cosa potrebbe non piacerti. -
    La situazione si fa sempre più ilare.
    Quasi ridicola, a dirla tutta.
    Lui, un giovane appena affacciatosi nel mondo, che tenta di celare l'evidenza
    Proprio a me.
    Io, che muovo i miei passi nell'ombra.
    Dispenso mezze verità.
    E celo le mie tracce con minuzia.
    Da prima che qualcuno lo schizzasse su questo mondo.
    - Ti interessa sapere cosa farei, o meglio, avrei fatto io? Bene, te lo dirò.
    Ogni mia strategia, si sarebbe basata sul tagliare la minaccia dall'equazione.
    Eradicandola alla base. -

    Non conosco i dettagli.
    Né chi o cosa l'abbia minacciato.
    Eppure questa vita, così travagliata, qualcosa me l'ha insegnato.
    Gli ostacoli non si evitano.
    Non ci si gira attorno.
    Né li sfugge.
    Semplicemente, vanno abbattuti.
    Con ogni mezzo possibile.
    Sia esso, per cosi dire, etico. O no.
    Seguiti a squadrarlo, con minuzia.
    Voglio che comprenda, infine, di doverla smettere.
    Che la finisca di farmi perdere tempo.
    Lo gradirei.
    Poiché, e odio ripetermi, ho visto qualcosa in lui.
    Un non so che di, vagamente, interessante.
    Del potenziale.
    ____________________________________________________________________________________
    ~ L'ultima volta non ci è andata così bene, eppure tu non puoi proprio fare a meno di circuire terze parti per crearti un tuo vivaio privato di bestioline. Non è vero? ~
    - Questa volta è diverso. -
    ~ Oh davvero? E, di grazia orsetto abbraccia tutti, come mai? ~
    - Perché me ne occuperò io, Owen, non tu. -

    ____________________________________________________________________________________
    Ho notato il suo muoversi nello spazio.
    Il modo in cui, sapientemente per la sua età, inganna gli altri.
    E mi ha interessato.
    - Le circostanze. -, rispondo istintivamente senza battere ciglio, - Vedi, un uomo come me tende a non poter risiedere troppo a lungo nello stesso luogo.
    Prima dell'insegnsnte, svolgevo una professione socialmente particolare.
    Per la quale era necessario che le persone non sapessero esattamente dove trovarmi, a meno che non fossi io a volerlo.
    In più, mi necessitava una copertura adeguatamente salariata, e qui l'ho trovata.
    Assieme certe dinamiche, assolutamente interessanti, alle quali prestare orecchio. -

    Lo squadro, mi alzo, prendo la sua valutazione dallo schedario, e mi risiedo.
    - Parliamo un po' di te.
    E, cortesemente, basta con le pantomime.
    Non voglio arrivare al punto di doverti cacciare le parole di bocca con la forza.
    E si, O'Connel, lo farei senza esitare.
    Dimmi, storia personale a parte, perché tu sei qui?-

    Una sbarra macchia il foglio.
    La "A", è annullata.
    Affianco, in grafia ricercata, compare una "O".
    Se gli interessa così tanto, che sia.
    Dovrà farsela andar bene.
    Per ora.
     
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    -È uno dei motivi.-, lo corresse, noncurante di apparire sfacciato.
    -Quel confronto è stato solo posticipato a quando avrò gli strumenti per vincerlo.- il professore aveva centrato il punto: il problema andava epurato alla base, ed Erik non era tanto arrogante da ritenere di avere le abilità adatte per poterlo risolvere. Non ancora. Quanto accaduto con Christine ne era stata la riprova: l’aveva uccisa, ma a quale prezzo? Al termine dello scontro la sua vita rimasta appesa a un filo per settimane. Se non fosse stato tanto incauto, tanto debole, non sarebbe mai stato sottoposto a un tale rischio, e avrebbe avuto inoltre la prontezza di reagire senza subire danni. Suo padre gli aveva coperto le spalle ed Erik non aveva esitato un istante ad approfittare del suo aiuto: tuttavia, allo stesso tempo aveva cominciato ad avvertire impellente la necessità di formarsi da solo. Avrebbe potuto rifiutarsi di sottostare ai favori che lo avevano condotto a scuola, certo… ma tenere d’occhio la piccola Marsilda non costituiva altro che lo strato superficiale, visibile a occhio nudo. Korczak invece aveva individuato delle crepe, giungendo alla verità negata invece a chiunque gli ruotasse intorno.
    Il ragazzo lo ascoltò con sincero interesse, gli occhi vispi scrutavano il volto del professore subendo il fascino malevolo delle sue parole, che come un veleno si insinuarono sotto la pelle. I pensieri di Erik, già plasmati da una famiglia devota all’oscurità, virarono verso un’idea tanto pericolosa quanto allettante: sapeva di essere abile, ma quella convocazione gli aveva rivelato di non esserlo abbastanza per gli scopi che si prefiggeva. Peccava di superbia e di inesperienza, e di quel passo non sarebbe andato più lontano di Azkaban. Non poteva dire lo stesso di Korczak: Erik non aveva mai fatto mistero dell’ammirazione che nutriva per il docente, così come avvertiva affine la stessa materia di cui il mago deteneva la cattedra.
    Il ragazzo nascose le mani dietro la schiena, stringendo il polso dell’una nel palmo dell’altra. Non diede cenno di interesse nella correzione del compito, anche se nel profondo la voce dell’arroganza gli diede diritto di essersi creduto in ragione fin dall’inizio: quel brutto voto era solo un pretesto per attirarne l’attenzione. E ci era riuscito: Korczak aveva la sua più totale attenzione.
    -Sanders, signore. Mi chiamo Erik Sanders.-, lo corresse, decidendo di scoprire le carte volontariamente. In un modo o nell’altro il professore avrebbe ottenuto quelle informazioni, se avesse voluto denunciarlo a McCormac lo avrebbe fatto comunque. Ma non lo aveva fatto. Non ancora. Forse non era mai rientrato tra le sue intenzioni.
    -Non temo l’oscurità: è sempre stata parte di me e mi seguirà fino alla fine. So cosa significa spegnere una vita… ammesso che tale possa definirsi l’esistenza di un non morto.-, lo sguardo del ragazzo si fece sinistro. Non provava alcun rimorso per quel che aveva fatto, si trattava di uno scambio più semplice di quanto si sarebbe potuto credere, in ballo c’era stato l’istinto di sopravvivenza.
    -Non escludo di farlo ancora con il Mago che ha tradito la nostra causa e la mia famiglia.- non sarebbero state parole al vento: Erik trovava inconcepibile quanto a quell’abominio fosse stato concesso di lasciare vivo i Mangiamorte. Al posto dello zio ne avrebbe reclamato la testa all’istante.
    -Non mi hanno espulso da Durmstrang né mi hanno costretto a trasferirmi ad Hogwarts. Sono qui per mettermi alla prova: è l’unico modo per sapere se sono degno di seguire le orme della mia famiglia.-, non sarebbe stato necessario neanche aggiungere altro: nel loro ambito era risaputo che tipo di famiglia fosse e che influenza avesse nel mondo magico.
    -Non intende denunciarmi a Jack McCormac.- per il momento. Chiunque, con le dovute circostanze, non avrebbe esitato a macchiarsi di tradimento. Eppure, non solo Korczak non lo aveva denunciato al Preside, ma lo aveva perfino messo in guardia.
    -Non posso fare a meno di chiedermi in che modo ripagarla.-
     
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    - "La vostra causa". Gira tutt'intorno a quello, non è vero?"
    Rispondo, celando un lieve dissenso.
    Nessuno più, ormai, pare voler essere cattivo per il gusto di esserlo.
    Hanno tutti bisogno di conseguire qualcosa.
    Uno scopo, qualunque esso sia.
    Che si tratti di spodestare un ministero.
    Conquistare posizioni di comando.
    O il mondo.
    Tutti, o quasi, hanno bisogno di farlo in gruppo.
    Non c'è egoismo nella loro oscurità.
    Per questo, in fin dei conti, fatico a considerarla tale.
    Una vita passata a crogiolarsi nel male.
    Nel ricatto.
    L'omicidio.
    I soprusi.
    O l'imposizione sul prossimo.
    Essa, per definizione, dovrebbe richiedere la solitudine.
    La quasi totale mancanza di legami.
    Poiché, quando si è come il sottoscritto, si sta stretti in un gruppo.
    Ove sono tutti intellettualmente inferiori, nessuno escluso.
    Fragili, piccoli, maghi "oscuri" con la paure di restare soli.
    Che pena.
    - Sei qui per metterti alla prova davanti a chi? E dimmi, credi davvero che a loro - esclusa forse tua madre - interessi davvero che tu riesca o meno?
    Per i Mangiamorte hai due occhi e due orecchie Sanders, non dimenticarlo. Due occhi e due orecchie, come tanti altri soldatini sacrificabili."

    Lo osservo.
    Lo scruto.
    Ha lo sguardo di sua madre, ed io la rispetto.
    A mio modo forse.
    Con le dovute riserve.
    Tuttavia, nutro una certa stima nei confronti della donna.
    C'è stata della collaborazione tra le parti.
    Poi le cose sono cambiate, e noi l'abbiamo cessata.
    Lei avrebbe potuto rivalersi.
    Cercarci.
    Metterci a tacere una volta per tutte.
    O almeno provarci.
    Non l'ha fatto.
    E l'onore, per me, conta.
    - No, non ti denuncerò al preside.
    Però ricorda di non prenderlo sottogamba come, apparentemente, hanno fatto in passato altri che condividevano la tua stessa "causa".
    E non mi devi niente Sanders, non mi serve nulla da te.-

    Torno a muovermi, in direzione dell'uscita.
    Mi fermo sulla porta, e lo guardo.
    Per uno, due, e poi tre secondi.
    - Forse sarò io a poter fare qualcosa per te, durante la nostra permanenza al castello. In fin dei conti, hai del potenziale.
    Se poi esso verrà sprecato votandosi ad una causa spaventosamente utopistica, trattandosi di me, non potrò rimanere deluso.
    Io non sopporto le persone, lo scoprirai da te.
    Ora, fuori di qui. Mi farò sentire. -
     
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