Tá failte romhat

M. Manor, Proprietà McCormac.

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  1. Salomé
     
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    Le Terre d'Estate

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    Le prime cose che la mezza creatura percepì prima ancora di aprire gli occhi furono il gelido vento che le frustava la pelle e il peso della morsa che le serrava la caviglia. Si portò una mano all’addome, laddove la maglietta era resa ruvida dal sangue rappreso, e facendo scorrere le dita sotto la stoffa si rese conto che le ferite dell’incantesimo oscuro erano state perfettamente risanate. Una vita per una vita: la donna dai capelli ramati non era la sola alla quale doveva la propria vita. Sarebbe stato ingenuo da parte sua non mettere nel conto il vero scopo per cui gli Auror l’avevano risparmiata. Saraid si girò su un fianco e una volta che gli occhi furono abituato al buio osservò con scrupolo la sua cella. Su un vassoio erano adagiati cibo e acqua: la strega allungò appena una mano per afferrare il primo prima di farlo cadere attraverso la fessura che era adibita per i servizi igienici, dopo di che diede le spalle a quello spettacolo di squallore e chiuse nuovamente gli occhi, lasciando che le braccia di Morfeo la accogliessero nella propria morsa. Dopo appena un anno dalla libertà tanto bramata, conquistata, la mezza veela era ritornata in gabbia.

    « Corvo bianco che dimori velato nel crepuscolo della notte », le dita mortalmente pallide percorsero le venature del pavimento sul quale era distesa, con una lentezza innaturale. Il vassoio era vuoto, ma il cibo non era stato toccato; l’arrivo dei pasti scandiva il ritmo della giornata ma costituiva un’informazione insufficiente per farsi un’idea precisa di quanti giorni fossero trascorsi dalla sua cattura. Non era nemmeno scontato che non giungesse a distanza di poche ore: la cognizione del tempo, in quelle quattro mura, non aveva alcun valore. A Nurmengard Saraid aveva imparato che quei pochi minuti che impiegava per osservare il soffitto all’esterno potevano corrispondere a intere giornate e oer quel che sapeva poteva già essere passata una settimana così come un mese.
    « Corvo bianco che dimori velato nel crepuscolo della notte, prestami una piuma; la trasformerò in ali bianche per cavalcare i venti », all’inizio le fitte che avvertiva allo stomaco erano fastidiose; dopo un po’ smettevano di infastidirla, e la mezza veela era giunta a un punto in cui non avvertiva più appetito né fame. Il solo odore di quel cibo la nauseava.
    « Prestami la tua vista ampia, lasciami spiare tra la cortina di nebbia. Insegnami la canzone che ti seduce… che mi seduce. Che trova te… che trova me. », al freddo non esisteva rimedio. Spesso la teneva ancorata tra la veglia e il sonno, impedendole di riposare. McCormac si era preoccupato di farle avere del sapone ma non l’acqua calda, problema alla quale aveva ovviato evitando di curarsi di emanare un cattivo odore. Non sarebbe bastato per indurla alla sera: la contrabbandiera era stata una torturatrice, sapeva a che gioco stava giocando l’irlandese e non era disposta a dargliela vinta. Portatrice di morte, non avrebbe esitato ad accoglierla come una vecchia amica per giungere insieme fino alle Terre d’Estate, dove sarebbe stato alla Dea giudicarla meritevole o meno di sostarvi per sempre.
    « Mi hai dato le ali, corvo che canta », grazie all’isolamento i viaggi sciamanici erano incrementati per durata e intensità, ed erano state non rare le occasioni in cui Saraid aveva potuto esplorare altri mondi dimenticando il luogo dove il suo corpo era stato incatenato. In alcuni di questi aveva potuto osservare meglio i suoi nemici, che si apprestavano a farle visita…
    « Mi hai dato la lungimiranza. », la voce si spense nel momento in cui la serratura scattò, e la porta si aprì con un cigolio sinistro. Saraid smise di percorrere con le dita le increspature nel pavimento ma sebbene non si tirò su a sedere il suo corpo era teso e attento, il suo sguardo mostrava una lucidità sorprendente. Non fosse stato per il suo aspetto trasandato e debilitato si sarebbe detto che la prigionia non avesse sortito alcun effetto negativo su di lei.
    « Cominciavo a chiedermi perché non subito » furono le prime parole con cui esordì, ignorando le provocazioni del mago. Si era chiesta perché non l’avessero sottoposta al siero della verità fin dal primo momento in cui era tornata cosciente e non aveva trovato una reale risposta, se non in intenzioni intimidatorie. La strega continuò a mostrare disinteresse finché la conversazione non sembrò assumere una piega vagamente interessante: fu allora che si trasse a sedere e i suoi occhi gelidi si posarono sul volto dell’uomo. Sembrava in salute, ma a uno sguardo più attento e a un animo più sensibile a certe variazioni del flusso magico non sarebbe sfuggito che, dei due, nonostante tutto chi fosse messo peggio non era lei. Gli occhi della mezza veela furono animati da un barlume sinistro senza mai distogliere quel contatto.
    « Ti interroghi su quesiti di cui non possiedo una risposta, Mago. Il solo contatto che ho avuto con il Maestro è stato oltre un anno fa, per ricongiungermi a mia sorella di sangue. A quel che ne restava a seguito della battaglia nella Radura dei Sussurri, quando nell'impedirle di ricevere le cure di cui aveva bisogno l'avete condannata a morte », per un attimo lo sguardo si soffermò sull’altro uomo presente nella stanza, colmandosi di diffidenza. Chi dei due l’aveva uccisa?
    « Quale legame ci unisce… mi offende che tu me lo chieda. Non è forse evidente? », quel legame l’aveva resa prigioniera di due maghi che le avrebbero permesso di lasciare quell’abitazione solo da cadavere.
    « Non è poi così diverso da quello che lega voi tre. », un sorriso malevolo le curvò appena l’angolo della bocca mentre il suo sguardo percorreva quello dei due maghi e della strega, prima di ritornare sull’Auror che aveva dato il via all’interrogatorio. In un certo qual modo poteva rispettare quel legame; e aveva ragione di credere che sarebbe stato contraccambiato.
    « Comprenderai quindi perché non posso assecondare la tua richiesta. Dopotutto, sono certa che al mio posto faresti lo stesso », qualsiasi cosa avesse avuto in serbo per lei, Saraid si sarebbe rimessa nelle mani della Dea.
    « Noi eravamo come voi; voi sarete come noi », le parole di Saraid erano prive di alcuna sfumatura mentre lo sguardo si soffermava sull’addome dell’auror, all’altezza dei polmoni.
    « Stai morendo ad opera loro. Trovarli non ti salverà », si pronunciò con sicurezza, per la prima volta da quando era cominciata quella prigionia Jack McCormac aveva attirato il suo interesse. Gli ultimi celti in grado di attingere alla magia druidica, alla magia del sangue.
     
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