Fantasmi del passato.

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    Mi ero preso del tempo, perché quella lettera mi aveva spiazzato e fatto innervosire quasi istantaneamente. Tutto ciò che riguardava la mia famiglia biologica era un capitolo chiuso della mia vita, io non avevo voglia di avere a che fare con nessuno di loro e il fatto che ogni tot anni doveva sbucare qualcuno che mi cercava mi stava iniziando a stancare.
    Che in realtà non era di certo successo chissà quante volte, ma comunque non ero interessato e per quanto ne sapevo poteva essere persino una balla.
    Avevo un certo ruolo nella società e gli inganni erano dietro l'angolo, per questo, prima di ignorare e basta quella lettera avevo avviato delle ricerche per sincerarmi della veridicità delle sue affermazioni.
    Eh ahimé, sembrava tutto vero, almeno per quello che ero riuscito a trovare anche grazie agli archivi del Ministero e, per di più, purtroppo, quella giovane ragazza aveva perso i suoi genitori troppo presto trovandosi sballottolata tra una famiglia e l'altra. Quindi avevo scoperto di aver perso una zia/zio mai conosciuto. Bene.
    Questo non voleva dire che avessi comunque voglia di conoscerla, non era cattiveria la mia, più egoismo forse...avevo tanto per la testa, problemi attuali da gestire e più importanti di fantasmi del passato, ma evidentemente, come se Merlino avesse voluto punirmi, spaventosi sensi di colpa sfociarono in me quando seppi da un rapporto di Dalila la persona che aveva recentemente aiutato.
    Teresa era stata coinvolta in quasi un rapimento e dai dettagli riportati sembrava aver subito più di quanto dava a vedere per via del suo dono divinatorio, che in un certo senso era stato persino utile.
    Stava passando la notte al San Mungo per accertamenti, quanto meno fisicamente non aveva subito nulla di grave.
    Non riuscì più a ignorarla, in un certo senso se l'avessi contattata prima sarebbe cambiato qualcosa? Magari se doveva incontrare me invece che essere su quella strada non le sarebbe successo nulla?
    Erano pensieri irrazionali, eppure erano inevitabili a volte.
    Sospirai, mentre percorrevo i corridoi del San Mungo il mattino dopo, avevo visto troppe volte questo posto e comunque era impossibile abituarcisi.
    Attesi che l'infermiere finisse di visitarla, riuscendo ad ascoltare che oggi l'avrebbero dimessa, da una parte era un bene.
    Salutai con un cenno del capo l'infermiere quindi, per poi bussare alla porta rimasta aperta prima di entrare del tutto.
    "Ciao..."
    Non era semplice affrontare questa situazione, soprattutto dato quello che aveva subito e il fatto che avessi ignorato palesemente la sua lettera. Ma non potevo tirarmi indietro ora.
    "Scusami l'improvvisata, ma appena ho saputo cosa ti era successo, mi sono organizzato per venirti a trovare. Possiamo anche dire che mi sono mosso per sensi di colpa, inutile mentire."
    Feci un respiro profondo, per poi prendere una sedia senza però sedermi, magari mi avrebbe mandato a cagare dicendo che ora era troppo tardi e che ero uno stronzo eh. Non l'avrei biasimata in casa, ci sarebbe stato tutto.
    "Anche se lo sai...beh sono Dell. E...se non è un problema posso rimanere un po' con te. Dimmi tu."
    Era evidentemente che non ero li in veste di Capo auror, di certo non avevo tempo e modo di andare a trovare tutte le persone coinvolte nei nostri casi, per cui il tono informale era d'obbligo.
     
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    Avrebbe quasi preferito rimanere da sola. Le voci dei suoi genitori adottivi le continuavano a rimbombare nelle orecchie con moniti che la facevano stare sempre peggio, ma a loro non importava, dovevano solo lamentarsi di quanto, ancora una volta, non era all'altezza di essere loro figlia.
    “Ma cosa ti è saltato in mente ad uscire di casa così tardi? Fossi rimasta alla cena come ti avevamo chiesto non sarebbe successo niente di tutto questo” il Signor Raphael aveva quel tono tra il dispiaciuto e il paterno che le urtava il sistema nervoso, perché sapeva benissimo che non aveva minimamente a cuore la sua salute o quello che le era successo, stava solo fingendo perché temeva ci fosse qualcuno ad ascoltarli.
    “Per non parlare del nostro capo! Cosa può aver pensato quando ha visto arrivare le autorità a segnalarci che eri finita al San Mungo. Penserà che siamo dei genitori screanzati, ci vedrà in cattiva luce” Teresa non aveva ancora capito se si stesse rivolgendo a lei o se stesse parlando attraverso lei, come era solita fare. Per la Signora Hannah la sua presenza era al pari di un suppellettile e non era così strano sentirla parlare senza rivolgersi direttamente a lei.
    Era abituata a tutto questo, era molto meglio di tante altre famiglie in cui era passata negli anni, però in quel momento non aveva le forze per sopportare le loro moine e i loro rimproveri. Era ancora frastornata da quello che era successo la sera prima, gli occhi che le bruciavano per la quantità di lacrime che aveva versato, la gola in fiamme per la bile che conato dopo conato aveva accompagnato la sua notte, lasciandola rauca e dolorante. Aveva gli occhi scavati, un misto tra disidratazione e la notte passata senza dormire, passata tra un incubo e l'altro e il costante terrore di essere ancora dentro quello scantinato che aveva visto solo nella sua mente.
    Per fortuna arrivò l'infermiera che molto gentilmente li aveva rimandati a casa, dicendogli di tornare alla sera per portarla a casa. Era dimissibile, cosa scontata visto che fisicamente non aveva niente, però Teresa quasi ci sperava che la tenessero lì per sempre, incapace di sopportare l'idea di essere rimandata a casa dai suoi genitori adottivi fino al suo ritorno ad Hogwarts. No, non era così tragica la situazione, non erano violenti con lei o altro, semplicemente aveva bisogno di un po' di pace e comprensione, cosa che per assurdo sembrava trovare di più in ospedale che nelle mura della sua casa.
    L'infermiera, una ragazza molto carina e cordiale, le provò nuovamente la pressione, borbottando qualcosa su quanto fosse ancora bassa e che le servivano altri liquidi. Teresa provò a sorriderle, ma non riuscì a dire niente di rimando, la bocca che sembrava essere legata a se stessa e incapace di formulare il fiume di parole che di solito la contraddistinguevano. Era decisamente uno straccio, non c'era che dire.
    “Cerca di riposare tesoro” mormorò l'infermiera, uscendo. Stava per rilassarsi e chiudere gli occhi, quando sentì qualcuno entrare nella sua stanza e nel capire chi fosse le si sgranarono gli occhi.
    Conosceva bene quella faccia, aveva fatto le sue ricerche e il capo auror veniva fotografato spesso nei giornali, dandole quindi la possibilità di imprimersi ben in mente come fosse fatto. Non capiva solo in che veste fosse lì: lavorativa o famigliare?
    Erano passati mesi da quando aveva manato il gufo, speranzosa di ricevere una risposta e di riconnettersi alla sua famiglia, anche se attraverso qualcuno che nemmeno l'aveva mai conosciuta. Eppure il tempo era passato e non c'erano state notizie del Signor Ramirez, lasciando nel cuore della piccina un senso di perdita che non riusciva davvero a spiegarsi, anche se le era dannatamente familiare. Alla fine non era mai abbastanza per nessuno, perché avrebbe dovuto esserlo per il capo auror?
    Eppure eccolo lì, nei suoi lineamenti rivedeva un po' la similitudine con suo padre, il volto burbero ma allo stesso tempo dolce, serio ma anche paterno. Era una sensazione così dolce amara che le lacrime iniziarono a sgorgarle dagli occhi senza che fosse capace di fermarle, anche se cercò disperatamente di scacciarle via asciugandosi gli occhi, già rossi dai precedenti pianti, con la manica del camice ospedaliero. Era dannatamente ruvido, dannazione.
    “Si... Ti prego... Resta” non le interessava perché fosse venuto, poteva essere anche solo per lavoro, per parlare con una delle testimoni dell'ultimo caso dei suoi auror, anche se dubitava che avesse il tempo di andare a parlare con tutti... Fatto sta che non le importava il motivo, l'importante era che fosse lì, davanti a lei, che avesse potuto avere l'occasione di parlarci, e magari di convincerlo che non era una causa persa, che valeva la pena conoscerla e... aiutarla, magari.
    “Io non... Non so nemmeno cosa dire. Ho aspettato tanto questo momento e adesso che sei qui ho il cervello annebbiato e non ricordo niente di quello che avevo pensato!” una risata amara le uscì dalle labbra screpolate, mentre continuava disperatamente a togliere le lacrime con le maniche, ormai fradicie e inutili. Tirò le gambe verso il petto, lasciando che le coperte facessero una tenda a coprire il suo corpo, cercando un po' di conforto, anche se solo da se stessa.
    “Saresti mai venuto non mi fosse capitata questa cosa?”
    Non aveva intenzione di chiedergli questo. Voleva festeggiare, chiedergli più cose potesse su di lui e sulla sua famiglia, raccontargli altrettanti aneddoti su di lei e sul suo passato, cercando di creare un legame, un qualcosa che li potesse unire. Ma il suo cervello, devastato da quello che era successo nelle ultime 24 ore, aveva bisogno di sapere di essere al sicuro, che quella non era un'altra persona che faceva buon viso per qualche minuto e poi si sarebbe dimenticata di lei non appena voltate le spalle. Era piena la sua vita di quel tipo di persone e non gliene serviva un'altra.
    “Non... Non voglio rivoluzionare la tua vita, non so che rapporto tu abbia con la tua vecchia famiglia... lo so che non è facile essere soli e abbandonati” l'aveva sperimentato sulla sua pelle, quindi capiva il desiderio di dimenticare tutto quello che ti faceva soffrire, chiudere i rapporti con il passato e cercare di stare solo dove si era voluti, ma lei aveva bisogno di qualcuno, non aveva nessuno...
    “Ma non è stata colpa mia! Non ero ancora nata e non ho nemmeno mai conosciuto i miei zii... Voglio solo conoscerti, è chiedere troppo?” la voce si era incrinata nell'ultima parola, un singhiozzo che aveva cercato di trattenere uscì dalle sue labbra, scatenando una reazione a catena, singhiozzo dopo singhiozzo in un pianto che di liberatorio aveva gran poco.

     
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    C'erano tanti elementi coinvolti in questo incontro, nessuno dei quali facile da gestire. Certo sarebbe stato più semplice affrontare questa conversazione in modo diverso, che non fosse stato necessario una cosa così orribile per spingermi a parlarle, ma odiavo parlare della mia famiglia biologica, ci avevo messo anni per scrollarmeli di dosso mentalmente, di non sentirmi più influenzato dall'abbandono che avevo subito, ma sembrava che ogni tot tempo qualcuno o qualcosa doveva farmici ripensare.
    Sapevo che non era colpa di questa ragazzina, lei non c'entrava nulla, ma avevo preferito comunque prendermi del tempo prima di poterla eventualmente conoscere, ma il caso poi aveva scelto per me, quasi come se il karma volesse punirmi in un certo senso.
    Ero dispiaciuto per il suo pianto, così mentre mi sedevo dopo il suo permesso, presi un fazzoletto di stoffa dalla tasca per darlo a lei.
    "Mio figlio si è preso questa abitudine. Mi infila sempre un fazzolettino nella tasca perché dice che potrebbe servirmi. Questo è il motivo per cui ci sono disegnati sopra dei piccoli ippogrifi."
    Alla fine Chrstian aveva ragione, a volte mi serviva davvero, per cui i suoi preziosi fazzolettini finivano tra le mani di persone che in quel momento ne avevano bisogno.
    "Non ti preoccupare Teresa, se hai qualcosa da dirmi ti verrà in mente. Ora cerca di tranquillizzarti, prenditi il tuo tempo, non ho intenzione di andarmene presto."
    Nemmeno volevo star qui tutta la giornata, ma comunque il punto era che aveva tempo per riprendersi se voleva parlarmi di qualcosa in particolare che ora le sfuggiva per via di tante cose.
    Non fui sorpreso di quella domanda, aveva tutto il diritto di crederlo, senza contare che in parte gliel'avevo detto anch'io che mi ero deciso a venire per via di quello che era le era accaduto.
    Dovevo cercare di farle capire che non era lei il problema.
    "Cerco di tenere a distanza tutto ciò che riguarda la mia famiglia biologica, per cui quando ho ricevuto la tua lettera non ero entusiasta, ma non è l'unico motivo. Come immagino saprai ricopro un ruolo particolare nella società e cerco di stare il più attento possibile con gli sconosciuti. Dovevo accettarmi della veridicità delle tue parole, indagare su di te e sul tuo passato, per non cadere in una possibile imboscata o truffa. Avresti ricevuto una risposta prima o poi, semplicemente le cose si sono velocizzate."
    Si, sapendo che era tutto vero non l'avrei ignorata, solo che ci sarei andato con i piedi più di piombo.
    Le parole che disse successivamente Teresa non potevano lasciarmi indifferente, ci fu immediata apprensione sul mio volto, in parte capivo ciò che provava, anzi, forse più di quello che volevo ammettere, ma forse aveva questo bisogno perché non aveva nessuno che riusciva a definire effettivamente famiglia.
    Mi sentì leggermente a disagio, le lacrime sembravano non finire e speravo di riuscire a calmarla almeno un po'.
    "Non ti ho mai dato nessuna colpa. Va bene, puoi chiedermi quello che vuoi ora, proviamo a conoscerci."
    Non ero sicurissimo di quello che lei si aspettasse da me, non potevo darle io quello che purtroppo non aveva avuto, ma almeno darle del tempo per farmi delle domande, per provare a conoscerci non era un male. Magari riuscivo a calmarla un po' se aveva la possibilità di venire a conoscenza di qualcosa.
     
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    Si sentiva una stupida per continuare a piangere così tanto. Eppure non riusciva a fermarsi, le emozioni che si erano concentrate in quel periodo avevano deciso di uscire tutte assieme rendendola peggio di un rubinetto che perdeva.
    Il fazzoletto con gli ippogrifi però riuscì a strapparle un sorriso, seguito da un’immensa curiosità. Aveva un cuginetto. Aveva qualcuno nella sua famiglia che a quanto pare era più piccolo di lei – dubitava che qualcuno più grande mettesse nella tasca dei genitori un fazzoletto con i disegni – e voleva saperne di più, anche se aveva paura a chiedere. E se non avesse apprezzato la sua curiosità? E se volesse tenere lontana la sua famiglia da lei? Lo stava ascoltando, l’aveva considerata un pericolo e non poteva che dargli ragione. Lei distruggeva tutte le famiglie in cui veniva inserita, perché la sua doveva essere diversa? Perché rischiare suo figlio per una perfetta sconosciuta?
    Era inutile che mentisse a se stessa. Non aveva pensato a cosa volesse dire per lui, aveva solo pensato, egoisticamente, ai vantaggi che poteva avere lei a contattarlo e adesso si sentiva una stupida. Forse sarebbe stato meglio non scrivergli, forse era meglio per lui se non avesse mai saputo della sua esistenza.
    Eppure era lì, le stava chiedendo di porgli qualsiasi domanda perché voleva che si conoscessero… Forse non aveva sbagliato, forse era stata solo frettolosa e doveva prendere le cose con più calma. Alla fine sapeva anche lei che una soluzione veloce alla sua situazione non esisteva, quindi perché non prendersi il tempo di conoscere l’unico vero legame che aveva con i suoi genitori? Anche se non li aveva conosciuti era comunque di famiglia, doveva contare qualcosa, no?
    “Hai… Hai un figlio? O ne hai altri?” indicò il fazzoletto che si stava stringendo al petto e che aveva usato più volte per asciugarsi le lacrime. Era davvero adorabile e si stava chiedendo se potesse tenerlo o se doveva restituirglielo. Forse il piccolo ne avrebbe sentito la mancanza e allora era ovvio che glielo avrebbe ridato.
    “Quanti anni hanno?” le piacevano i bambini, aveva sempre cercato di aiutare i più piccoli nelle case famiglia, ma non era così semplice. I traumi erano tanti e i bambini nel sistema erano difficili da gestire, soprattutto da un’altra ragazzina traumatizzata che non aveva idea di cosa avesse bisogno un bambino per essere felice. Poteva dare solo loro una spalla su cui piangere e una mano per aiutarli, ma magari con suo cugino poteva essere diverso… Sempre che il signor Ramirez glielo permettesse.
    “Non so quanto tu abbia trovato nelle tue ricerche, ma se hai qualche domanda per me puoi farmela. Sono capace di rispondere” era quello che aveva fatto fin’ora, rispondere alle domande di Dali con quanta più accuratezza possibile e se ce l’aveva fatta nel caso di un pluriomicida perché non doveva farcela con un suo parente?
    “Voglio solo che tu sappia che non sto cercando di… Di fare danni o intromettermi” beh, forse l’ultima non era così vera, ma era così sbagliato sperare di avere un posticino anche lei in quella famiglia che sembrava da pubblicità? Erano tutto quello che spacciavano per vero i volantini delle agenzie, ma non aveva mai trovato una famiglia che rispecchiasse davvero quell’ideale, almeno non fino ad adesso.
    “Vorrei solo avere qualche legame… Mi mancano i miei genitori, mi mancano davvero tanto” una lacrima scappò al suo controllo, ma la cacciò via a forza con il fazzolettino ormai fradicio, perché non voleva ricominciare a piangere, voleva fare un discorso serio e doveva mostrarsi forte, coraggiosa, non una poppante che non sapeva fare altro che frignare.


    Edited by -Teresa- - 16/4/2023, 11:28
     
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    Quel fazzolettino doveva essere magico, in un certo senso sembrava funzionare sempre, per cui dovevo sempre chiedere a Christian di procurarmeli quando andavo a lavoro. Beh, non che ora Teresa stesse divinamente, ma almeno tutta l'agitazione che mi aveva lanciato addosso prima sembrava essersi ammorbidita, così almeno potevamo avere una conversazione più tranquilla, per quanto ancora mi sentissi un po' restio, qualcosa sarei riuscita a dirgliela.
    "Ne ho due, Christian, il proprietario del fazzolettino. Compie quest'anno sei anni ed Emily dodici anni quest'anno."
    Stavo cercando di valutare se dirle che poteva incrociarla ad Hogwarts, più che altro perché avevo la sensazione che probabilmente avrebbe potuto "assalirla" a scuola con chissà che domande, forse prima ne avrei parlato con lei a casa e conoscendo Emily in realtà sarebbe stata lei stessa ad andare da Teresa.........si, sicuramente sarebbe andata così. Che poi se per caso l'avesse incrociata o riconosciuta le bastava associare nome più cognome, ma chissà.
    "Ah comunque puoi tenerlo il fazzolettino, Chris me li da apposta per darli a chi ha bisogno."
    Preferì dirglielo dato che sembrava titubante.
    Non era semplice neanche per me capire che cosa volessi sapere da lei, più che altro avevo capito il suo intento e sembrava sincera, mi rammaricai molto nel vederla così triste per la mancanza dei suoi genitori biologici. A differenza mia aveva avuto dei bravi genitori, una separazione forzata in quel modo doveva essere terribile.
    "Sei riuscita a trovare una stabilità? E' difficile trovare un ambiente stabile, con persone che ci tengono davvero a crescerti. Io ho dovuto aspettare 8 anni in orfanotrofio prima che sbucassero i Ramirez. Cercavamo un bimbo più piccolo, ma poi il mio viso sporco e l'espressione ribelle deve averli conquistati. Ahah"
    Ancora quasi un mistero era per me, nonostante mamma me ne avesse parlato, ma nonostante tutto non potevo di certo lamentarmi.
    "Non è stato facile, per niente. Ero molto ribelle verso di loro, soprattutto verso mio padre adottivo. Solo in età adulta abbiamo trovato un equilibrio. I miei genitori adottivi pensavano di non poter avere figli, ma poi è arrivata Audrey. Ho una sorella minore adottiva."
    Cercai quindi di darle un quadro generico della mia famiglia, niente di troppo specifico, giusto qualcosa per farle capire che non volevo respingerla, ma che con calma, qualcosina si poteva scoprire.
    Tirai fuori poi dal portafoglio una foto mia e di Sarah, era di qualche anno fa, ma era tra le mie preferite. C'eravamo io e lei sdraiati su un prato, dopo aver fatto un picnic con i nostri figli.
    La porsi a Teresa.
    "Lei è mia moglie Sarah. La mia forza."
     
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    Si poteva essere felici e allo stesso tempo estremamente gelosi? Il modo in cui parlava dei suoi figli era davvero amorevole e dolce, si vedeva che li amava alla follia e questo non poteva che rendere felice Teresa perché sapeva cosa voleva dire avere una figura di riferimento che non ti amava e non lo avrebbe mai desiderato per nessuno. Allo stesso tempo era molto gelosa, perché avrebbe voluto ricevere anche lei quell'amore incondizionato, quell'affetto che solo un genitore devoto sapeva darti. Lo aveva avuto in passato, con i suoi genitori biologici, ma da quando erano morti ormai otto anni prima non aveva più avuto nessuno nella sua vita che tenesse davvero a lei.
    “Devono essere adorabili... Soprattutto il piccolino, non è da tutti essere così generosi con il prossimo” aveva sempre avuto un affetto speciale per i bambini più piccoli che dividevano le case famiglia con lei. Era sempre stata molto materna nei loro confronti, cercando di aiutarli come poteva, perché sapeva quanto fosse importante avere qualcuno di più grande dalla tua parte ad aiutarti. Ma il suo piccolo cuginetto non aveva bisogno di lei, aveva due genitori che l'amavano e una vera sorella maggiore a cui dare filo da torcere. Non c'era posto per lei nelle loro vite.
    Lo ascoltò parlare della sua esperienza e, di nuovo, quel misto di felicità e gelosia si fece strada in lei, mista anche un po' a tristezza in questo caso, perché odiava l'idea di suo cugino da solo, in un orfanotrofio fino agli otto anni, senza aver mai conosciuto l'amore dei genitori. Almeno lei li aveva avuti fino ai sei e anche se erano venuti a mancare troppo presto almeno si ricordava cosa volesse dire averli nella sua vita. Era gelosa, però, di quella coppia che aveva deciso di adottare un piccolo Dell e dargli tutto l'amore di un vero figlio. Con lei non era mai successo, nessuno l'aveva guardata e pensato che valesse la pena di superare i suoi spigoli per apprezzare quello che c'era sotto. Era sempre stata trattata come un oggetto dalle famiglie affidatarie, qualcosa che potevi prendere e spedire a piacere, non un essere umano con sentimenti e bisogni.
    Preferì quindi non commentare, limitandosi a guardare con interesse la foto che le veniva porta e dovette fermarsi un secondo per guardare meglio.
    “Ma è la mia capa” senza filtri le uscì quella frase sorpresa, alzando lo sguardo per fissare Dell con stupore e quasi ilarità. Quali erano le possibilità che la moglie di suo cugino era la persona che l'aveva assunta per il suo primo lavoretto? “Scusa, è che lavoro a Mielandia e... Non me l'aspettavo ecco”
    Sentiva le guance arrossarsi per l'imbarazzo di quella affermazione così spontanea, ma non riusciva a badarci così tanto perché era ancora incredula da quella scoperta. A volte il mondo era davvero piccolo e faticava a comprendere come tutte quelle coincidenze fossero possibili. Forse aveva fatto davvero la scelta giusta a venire in Inghilterra, forse anche essere stata presa in ostaggio da quell'uomo aveva avuto il suo senso, nel grande schema delle cose.
    “Sembra una donna meravigliosa si” anche se un po' burbera, non aggiunse, perché la intimidiva un po' la donna, con quello sguardo sempre attento, come se potesse vederti dentro l'anima. Però era sempre disposta a venire loro incontro, anche con la situazione difficile che c'era tra lei e Ralph, visto l'odio reciproco. “Siete fortunati ad esservi trovati”
    Cos'altro poteva dire? Non li conosceva così bene da esprimere un qualsiasi giudizio, ma doveva dire qualcosa di carino. Non voleva sembrare antipatica o menefreghista, era solo difficile commentare su qualcosa che non aveva davvero cognizione.
    “Hai proprio una bella famiglia. Immagino sia stato difficile, specie con il tuo lavoro...”
    Auror. Un lavoro che non vedeva nemmeno lontanamente nel suo futuro. Non era una persona che reagiva bene alle pressioni esterne, come le varie lezioni di DCAO dimostravano, non aveva nemmeno una particolare predisposizione a pensare bene sotto stress o a reagire con i giusti incantesimi, anzi, a volte quasi si dimenticava di avere a disposizione la magia e si impanicava per le cose più piccole. Però aveva un grande rispetto per il suo lavoro, doveva essere difficile essere a capo di un'intera fazione di persone così toste e decise. Forse era per quello che aveva quelle rughe preoccupate in volto... Non era così egocentrica da pensare che fosse solo lei il problema, anzi, forse era uno dei problemi minori della sua vita al momento.
     
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    Non era così semplice parlare della propria famiglia a quella che, alla fine, era solo una sconosciuta al momento. Le stavo giusto dando una panoramica generale...niente che chiunque avrebbe potuto scoprire ecco. Mi spiaceva per Teresa, per quello che aveva subito, ma per ora mi veniva difficile capire come avrei potuto gestire la cosa.
    Conoscerla adesso andava bene, per il futuro ci avrei dovuto riflettere bene per capire il da farsi. Non sembrava pretendere chissà che cosa da me, solo...conoscermi? Era davvero solo questo?
    "Adorabili a modo loro diciamo. Christian più di Emily sicuramente."
    Era quello più tranquillo, ma forse era anche per via dell'età. Non potevo sperare che anche da adolescente rimanesse tranquillo? Almeno uno dei due dai, non mi sembrava di chiedere chissà che cosa.
    Non fu difficile notare che non proferì parola riguardo alla mia storia d'infanzia, mi sorrideva, ma con occhi tristi, cose che ormai riuscivo a beccare abbastanza facilmente, ma non potevo sapere esattamente per cosa.
    E se la stabilità non l'avesse trovata affatto? Se no perché penarsi tanto per cercarmi? Per volermi conoscere? C'era qualcosa che non andava, per questo aggrottai la fronte mentre Teresa osservava la foto di Sarah, ma i mie pensieri si interruppero quando lei se ne uscì dicendo che era la sua capa.
    "Il mondo è davvero piccolo a volte."
    Chissà Sarah cosa ne avrebbe pensato, era sembra un problema quando sbucavano parenti da chissà dove in realtà, un velo di sospetto ci attraversava sempre, ma almeno aveva persino modo di osservarla da più vicino di quanto avremmo potuto immaginare.
    "Si lo siamo."
    Non era stato per niente semplice trovarci, mantenere per così tanti anni una relazione non era mai semplice, e ne avevamo sopportate tante, ma noi facevamo del nostro meglio.
    "E' ancora difficile. Può capitare che trascuro la mia famiglia a volte, ma cerco di renderla una cosa troppo pesante e soprattutto troppo duratura...non sempre è fattibile, dipende in cosa sono coinvolto..."
    Distolsi lo sguardo, facendo un respiro profondo. Chrstian ancora non se ne rendeva conto del tutto, ma Emily era più grande, più consapevole e molto più incline a rinfacciarmi le cose...decisamente.
    Fatto stava che, per l'appunto, il mio tempo era limitato e Teresa era ancora in convalescenza, solo che prima di andarmene ci tenero a dirle una cosa.
    "Se hai un problema, non pensare che non ci sarà mai nessuno all'ascolto. C'è qualcosa che non hai voluto dirmi, l'ho capito e capisco anche che non sia semplice, soprattutto dato il mio comportamento, ma non appena pensi che qualcuno possa invece ascoltarti, grida a gran voce. Ci tenevo a dirti questo prima di andar via. Ci rivedremo e ti ascolterò."
     
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