Mímhorálta.

Missione in cooperazione per la Recluta Auror Roxanne WileFyre

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    Nel mondo succedono cose, alcune più belle di altre.
    Non è raro, di fatto, che sul tavolo della mia scrivania venga fatto scivolare un un fascicolo del genere. Ed in esso, elencati con la minuzia che è lecito aspettarsi nel dipartimento guidato da Kain, sono recati tutti i dettagli del caso in questione; Disposti in ordine cronologico e, ovviamente, privi di qual si voglia lesinio sui particolari.
    Ed io, nonostante la pluridecennale carriera che posso vantare o tutto l'autocontrollo di cui, a volte, so di poter disporre, mi ritrovo istintivamente a serrare la presa sul fascicolo prima di richiuderlo con uno scatto.
    La "missione", sostanzialmente, si presenta in quella che si potrebbe tranquillamente definire la più classica delle configurazioni: si dovrà indagare sulla scena del crimine - partendo col vantaggio offerto dal mio trovarmi in possesso di una pista da seguire-, seguiranno la raccolta delle prove, le dovute conclusioni e, infine, la palpabile cattura e/o eventuale dipartita accidentale del o della criminale in questione. In questo caso, più che mai, il mio interesse per l'integrità fisica del colpevole è, pressoché, nullo.
    Inoltre, e pensare a mente fredda mi costa uno sforzo incredibile, sono certo di poter sfruttare la situazione per testare la tenuta sul campo di una particolare recluta.
    Una potenziale Auror che, per esteso, ancora ad oggi, nonostante le evidenti capacità dimostrate durante il suo percorso di formazione, mi lascia straordinariamente indeciso. Da una parte ne ammiro l'impegno, mentre dall' altra, per tutta una serie di motivi, non riesco ad essere pienamente certo della completa bontà mostrata nei suoi intenti.
    "WILEFYRE! Vieni qui, ragazza.", esclamo ad alta voce sporgendomi appena oltre la porta del mio ufficio per richiamare l'attenzione della giovane. La quale, al momento, si trova alla sua scrivania con tutta la diligenza che è umanamente possibile ostentare.
    "Usciamo per un' indagine. Che forse è collegata ad un' altra. La quale, a sua volta, potrebbe avere legami con un terzo caso ancora."
    Perché si. Perché a noi, qui in Irlanda, piacciono le fottute cose semplici.
    Indosso il soprabito d'ordinanza mentre parlo, assicurandomi che tutte le armi di cui solitamente dispongo siano ben assicurate nelle loro sedi.
    "Inishtrahull Island, è lì che stiamo andando. La maggior parte della popolazione non né è al corrente, tuttavia su quell'isola posta al massimo Nord della nostra giurisdizione, sorge un sobborgo magico di appena duecento anime. Indisegnabile, ovviamente. Andiamo."
    Le faccio cenno di precedermi all'uscita, prendendole il braccio sotto il mio per guidarla in una smaterializzazione congiunta non appena le misure difensive del dipartimento la permettono.
    L'aria ottobrina di queste latitudini mi taglia figurativamente il volto, mentre il salubre odore salmastro tipico delle coste atlantiche giunge come un balsamo per i miei polmoni.
    È sufficente costeggiare il sentiero in ciottoli erosi e superare i ruderi d'un vecchio arco in pietra ormai decaduto, per rendersi conto che, in questo luogo, esiste qualcosa di tanto vero quanto celato ai babbani tramite i soliti artifizi di cui solo noi maghi siamo capaci.
    Un cartello a scritte arancioni su sfondo verde recita: "Tyrconnel's Bhaile", mentre la via centrale d'un villaggio largamente abitato si apre intorno a noi, accogliendoci di fatto entro il limiti d'una città che si può propriamente definite viva. L'odore d'ingrediente base esce dal negozio d'un pozionista, gli scintilli metallici sono visibili oltre le grate della bottega metallurgica d'un fabbro Goblin e, molto più tipico di tutto ciò, un paio di tizi visibilmente ebbri escono dal portone consunto del pub locale; inciampandosi a pochi metri da noi, prima di riprendere la loro strada ridendosela allegramente per qualche battuta goliardica.
    "Non si direbbe mai che un posto simile possa conoscere l'efferatezza criminale, non credi?", domando quasi retoricamente alla mia recluta fermandomi di colpo dinanzi ad un abitazione tipica, col tetto coperto di muschio e l'erica lasciata crescere oltre i cornicioni, prendendomi un paio di secondi per notare quanto i sigilli del nostro dipartimento stonino in modo quasi indecente sull'edificio in questione.
    "Eppure, a quanto pare, l'immoralità di determinati soggetti non ha confini. Dopo di te."


    Come è capibile, nessun informazione confidenziale sul caso è stata fornita a Roxanne. Ciò, ovviamente, ha come obbiettivo il permetterle di svolgere il suo lavoro senza che fattori esterni ne influenzino le azioni.

    Prima fase: Indagine.

    Entrando nell' abitazione, la recluta avrà completa libertà di descrizione o creatività.
    Purché gli elementi seguenti rimangano obbligatori:

    - Le azioni, per il momento, si limiteranno al pian terreno.

    - Davanti al camino, visibilmente spento da poco, sono ancora distinguibili una serie di impronte. (Descrizione libera)

    - Ad un certo punto, verrà rinvenuto un tomo magizoologico aperto su una grossa illustrazione raffigurante un Nero delle Ebridi.
     
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    Sulla scrivania dell’ultima superstite dei Wilefyre come variopinti soldati sfilavano ordinatamente quattro cubi di Rubik irrisolti, ognuno rinvenuto su una scena del crimine diversa...l’ultima analizzata proprio quella mattina d’esordio d’ottobre. L’aggressore, che da qualche settimana avevano iniziato ad appellar Il Prestigiatore, li aveva volontariamente lasciati sui corpi delle sue vittime, collocandoli al posto delle parti del corpo che aveva sottratto loro: al primo aveva asportato la milza, al secondo un rene, al terzo il fegato e al quarto un polmone – in uno schema approssimativo che pareva seguir una traiettoria dal basso verso l’alto. La precisione con cui i vari organi erano stati asportati e la cura con cui ogni emorragia era stata sedata per garantire la sopravvivenza dei suoi quattro bersagli, pareva suggerire che il colpevole fosse esperto di Medimagia...forse persino un guaritore.
    Era sol un’ipotesi, una delle tante ancora da verificare invero, poiché momentaneamente ogni pista intrapresa s’era rivelata un vicolo cieco e la memoria delle vittime era stata così abilmente cancellata e compromessa da non poterne ricavar alcuna traccia. Ma laddove i suoi colleghi scorgevano un grattacapo, Roxanne vedeva una sfida che la elettrizzava, che la faceva persin appassionare di ciò che stava facendo, come non credeva le fosse più possibile. Tant’è che allorché s’udì invocare con voce tonante da Jack, per qualche battito di ciglia sbocciò un capriccioso broncio sulle sue peccatrici labbra, traditore di quanto invero non anelasse abbandonare quell’indagine, i cui nessi tuttavia le sfuggivan irrimediabilmente.
    - Sai che non sono sorda, vero? - un quesito retorico avvelenato da quell’impertinente e vivace ironia che l’irlandese dalle plurime battaglie poco apprezzava, ma che era uno dei tanti vizi a cui la figlia indesiderata non riusciva a rinunciare. E non voleva rinunciar, invero. Non appena Jack le annunciò che avrebbero lasciato il quartier generale per un’indagine, però, sul suo volto d’eterna fanciullina astuta e machiavellica si delineò una maschera di concentrata serietà e coinvolto interesse. Traditrice della vivace curiosità che le danzò nell’intimo, ma che non fu per nulla soddisfatta dai parchi dettagli che l’altro le offrì.
    - Qualche informazione su questa, sulla seconda o sulla terza indagine…? - fece un tentativo di spiare oltre le dita del suo superiore per scorgere qualcosa dal fascicolo che aveva posato sulla scrivania, ma nulla si specchiò nei suoi smeraldini occhi se non la scritta RISERVATO, impressa a caratteri cubitali sulla carta. - A voi irlandesi gli enigmi piacciono proprio… - soggiunse allorché intuì che Jack sarebbe rimasto ermetico sulla questione e che si sarebbe limitato a fornirle le informazioni strettamente necessarie a non farla agire alla cieca: un vago accenno al Prestigiatore, benché invero non avesse la minima idea di quale fossero le sue origini.
    Inishtrahull Island. Il nome non rievocò alcunché nella sua ambiziosa e arguta mente, se non la consapevolezza che sarebbero stati il freddo e l’umidità ad accoglierli e a pedinarli per tutta la durata della ricognizione, con suo ben camuffato disappunto: benché fosse cresciuta nella caligine e nella pioggia londinese, infatti, l’ultima superstite dei Wilefyre era tremendamente avversa alle basse temperature dell’Isola di Smeraldo, che le avevano causato diversi malanni in principio...come se il suo medesimo corpo bramasse mostrarle quanto poco appartenesse a quei luoghi. Quanto fosse fuori posto, come un esotico animale sottratto al suo habitat e trattenuto in cattività.
    - Niente Murphy oggi? - il giovane Auror li aveva affiancati ogni volta che erano usciti insieme in ricognizione, per cui fu una sorpresa non vederlo approssimarsi per smaterializzarsi con loro. - Sapevo che prima o poi sarei diventata la tua preferita... - celiò prima d’afferrare con superba decisione il braccio che l’uomo dagli scuri e penetranti sguardi le aveva offerto, domandandosi se quella missione in solitaria all’estremità nord della loro giurisdizione le avrebbe concesso di scalar un poco il muro che percepiva essersi innalzato innanzi a Jack. Un muro che le impediva. di scorgerlo e di avvicinarlo. Un muro che più procedevano i mesi di collaborazione, più le sembrava invalicabile.
    Freddo e umidità la accolsero come previsto senza esitazione e le s’insinuarono oltre i pesanti vestiti, pungendole la schiena con gelidi brividi ad ogni folata di vento ostile. Dopo i primi passi lungo un antico acciottolato, però, il profumo della salsedine giunse ad avvilupparla con la medesima dolcezza del suono delle onde che s’infrangevano contro le rocciose rive e tali minuzie furono sufficienti a farla sentire più a suo agio: sin da bambina, era infatti sempre stata affascinata dal mare e dall’oceano, forse poiché i pochi istanti piacevoli della sua infanzia che rammentava erano collegati alle vacanze trascorse dai suoi nonni materni che vivevano a Bournemouth. Ma quello non era il momento per conceder alla nostalgia di distrarla e perciò fu svelta a camuffar il velo di amarezza e di tenerezza che le aveva addolcito il menzognero ed ingannevole sguardo, tanto quanto a dominar i suoi sentimenti in favore d’una imperturbabile razionalità.
    - E’ il posto perfetto per nascondere un crimine alla luce del sole. - commentò mentre osservava con analitica precisione i negozi, le case ed i volti dei passanti che incrociarono lungo il cammino nel piccolo eppur vivace centro del villaggio di Tyrconnell. Inaspettatamente, fu catturata da due bambini dai biondi capelli che rincorrevano un jarvey ribelle e per qualche battito di ciglia non parve intenzionata a proseguire nell’esporgli il suo pensiero. - Abbastanza isolato da esser dimenticato anche dai cartografi...insospettabile...gli abitanti sembrano farsi gli affari propri... - malgrado fossero due sconosciuti a percorrere le vie del villaggio, nessuno prestò loro particolar attenzione, seguitando a dedicarsi ai rispettivi impieghi. E altresì allorché giunsero innanzi all’abitazione sequestrata dal dipartimento, Roxanne non notò alcun curioso appostato agli angoli della via in attesa di succulente notizie.
    L'immoralità di determinati soggetti non ha confini.” benché il tono di voce del suo interlocutore si mantenne su vibrazioni neutrali, la camaleontica fanciulla credette di cogliere dell’animosità nelle sue parole, come se quanto accaduto oltre quella soglia soffocata dall’edera lo toccasse profondamente. Mentre annuiva in silenzio in sua direzione, fu colta dal pensiero che forse un giorno Jack sarebbe stato pervaso dalla medesima ostilità nel menzionarla, allorché le sue maschere sarebbero cadute e innanzi avrebbe avuto il suo vero volto...quello d’una traditrice. E se solo non fosse stata avvelenata dal sospetto che l’Auror fosse coinvolto nella scomparsa di suo fratello...che ne fosse stato persino il Boia...forse avrebbe in quel momento potuto provare del senso di colpa...del pentimento, persino.
    Indossati dei guanti magici e isolati gli stivali con un incantesimo per non corrompere l’integrità della scena del crimine con le sue impronte, Roxanne si prese qualche istante per ispezionare l’esterno dell’abitazione prima di varcarne la soglia, in cerca di tracce d’effrazione o di frettolosa fuga che tuttavia non trovò.
    Una volta all’interno, fu inghiottita da una penombra odorosa di fumo e di Pozioni da poco preparate, minuzie che attrassero il suo sguardo prima verso un calderone rovesciato su un tavolo e delle ampolle infrante a terra, e poi verso un focolare dalle braci ancora fumanti: chiunque fosse fuggito da quella piccola abitazione, doveva averli preceduti di poche clessidre. Mosse la bacchetta nell’incanto Homenum Revelium e procedette nella sua esplorazione sol allorché l’assenza di bagliori la convinse che lei e Jack fossero soli.
    - Qualcuno aveva fretta di andarsene... - commentò, notando un appendiabiti rovesciato e una cassapanca lasciata aperta da cui il fuggitivo doveva aver afferrato qualcosa, con la medesima fretta con cui aveva preso delle ampolle da un contenitore che giaceva a terra, fra i vetri infranti delle pozioni che gli erano sfuggite di mano. S’approssimò al calderone per osservar il colore scuro del liquido che ancora gocciolava dall’orlo del tavolo e per annusarne l’odore pungente e analgesico. - Dittamo... - non v’era alcun dubbio al riguardo.
    Il suo sguardo di repente catturò la sagoma d’una gabbia aperta posizionata poco distante dal caminetto, le sbarre sporche di qualcosa che l’ultima superstite dei Wilefyre intuì fosse sangue prima di verificarlo. - Questi sono frammenti di uova... - scuri com’inchiostro e ricamati di violacee venature. Ne prese uno fra le mani, ruvido e tagliente al tatto, e lo mostrò a Jack. - sai a che creatura appartengono? - non le aveva mai viste prima, ma sapeva che nella tenuta della famiglia dell’irlandese dalle plurime battaglie vivessero disparate creature magiche, non tutte amichevoli e addomesticabili.
    Superò un piccolo divano dai cuscini lacerati da cui erano zampillate candide piume, su cui un libro era stato abbandonato frettolosamente: la copertina era rigida e rovinata, e le lettere del titolo erose dal tempo, ma l’illustrazione impressa nelle pagine centrali che si specchiò negli smeraldini occhi di Roxanne aveva i tratti vividi e precisi, come se fosse stata disegnata da poco. Un Drago. Che i frammenti di uova appartenessero alla medesima creatura che la osservava con occhi di pervinca da quella figura?
    - Stiamo dando la caccia a un bracconiere? - porse il libro all’uomo dalle troppe cicatrici, incrociandone lo sguardo per qualche battito di ciglia. Se la sua intuizione si fosse rivelata corretta, avrebbe altresì compreso il perché Jack le fosse parso più astioso del solito nel menzionar il criminale che li aveva attratti lì: fra i soprusi che l’uomo poco tollerava, si diceva vi fossero altresì quelli perpetuati nei confronti delle creature magiche, di qualsiasi genere e pericolosità.
    Alla luce di alcune candele ancora accese, Roxanne individuò delle impronte confuse di terra e di sangue ai piedi del caminetto, che non indugiò a seguire sin a trovarsi innanzi a una porta socchiusa, su cui dominava una traccia insanguinata di cinque lunghe dita. Con la bacchetta protesa innanzi a sé, infilò la punta dello stivale nella sottile apertura, sospingendo il battente che sinistro cigolò.
     
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    "Più poi che prima, se non ti deciderai alla svelta a metterti in riga.", così ho tagliato corto. Offrendole un abbozzo di risposta durante il nostro cammino, solo per poi inseguirla all' interno dell'abitazione posta sotto sigilli. Con lo sguardo maniacalmente attento, e gli occhi ben pronti a cogliere il ben più che minimo dettaglio.
    Osservo la scena con minuziosa metodologia, ricreando mentalmente ogni singolo scenario possibile. Lì potrebbe esserci stata una colluttazione, in quell'altro punto, invece, qualcuno si è curato mediante il dittamo da una ferita. Verosimilmente, lacero-contusa.
    "Non sono io quello sotto esame, dovresti esser tu a dirmi a quale creatura appartiene.", osservo quasi distrattamente avvicinandomi alla recluta.
    Un'occhiata, dalla durata d'uno schiocco di palpebre, è più che sufficiente.
    "Era un uovo di Drago. Di un dorso rugoso Norvegese, per la precisione."
    Afferro un frammento di uovo dalle dita della giovane e, senza troppo cerimonie, lo ripongo in tasca. Senza fornirle, volutamente, spiegazioni di sorta.
    Se non quelle che potrà dedurre da sé, forse, prestando attenzione.
    "Precisamente. E non solo...seguimi."
    Le indico il piano superiore con un cenno del capo, al tempo stesso conscio e profondamente turbato per ciò, ahimè, so che troveremo là sopra.
    "Ora, prima di avanzare, voglio che tu ti figuri nitidamente quali effetti devastanti potrebbe avere un drago con quelle caratteristiche nelle mani sbagliate e, soprattutto, quanto in là potrebbe spingersi certa gente per raggiungere i propri obbiettivi."
    La precedo lungo le scale, aprendo definitivamente la porta già socchiusa che dà nel corridoio sul quale tutte le stanze si affacciano.
    Nessuno, su mia precisa richiesta, ha anche solo pensato di sfiorare la scena del crimine. Pertanto, ogni singolo oggetto distrutto, impronta o schizzo di sangue è rimasto esattamente dov'era.
    Il cadavere di un uomo, riverso, giace a terra senza riportare alcuna traccia di ferite o contusioni. Dalla fessura di una porta sulla destra, invece, una grossa macchia di sangue semi rappreso si riversa sul pianerottolo.
    "Esamina la scena. Voglio sapere quali saranno i tuoi pensieri e, in definitiva, le tue prime conclusioni."
    Appoggio una spalla al montante d'ingresso, scuotendo brevemente il capo prima da accendermi, più per necessità che per vizio in questo caso, una sigaretta.
    [Color=orange]"Non tralasciare nulla."


    CITAZIONE
    Seconda fase: Proseguio e prime conclusioni.

    - Il cadavere appartiene ad un uomo sulla trentina e, come detto, nulla potrebbe ricondurre ad una morte violenta. La bacchetta del medesimo, giace a pochi centimetri dal corpo.

    - L'intero corridoio, così come la stanza introdotta in on, é sconquassato e reca evidenti segni di colluttazione e scontro.

    - La finestra a fine corridoio è aperta. Ci sono orme insaguinate sul pavimento, le quali si dirigono unicamente dal piano attuale a quello sottostante.

    - Nella camera suddetta, una volta entrati, si scopriranno altri due cadaveri. Una donna, sulla trentina, e una bambina di circa dieci anni. Entrambe giacciono in una pozza di sangue, le mani ancora intrecciate a cercare un ultimo contatto.

    - Sulla scrivania nella camera patronale, macchiato dagli schizzi, si trova una trattato scritto a mano dal titolo: "Nero delle Ebridi: come allevarlo in sicurezza prima del reinserimento.

    -Nessun indizio, al momento, conduce ad un/una palpabile sospetta/o.
     
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    Era conscia l’ultima superstite dei Wilefyre che l’uomo dalle troppe cicatrici da battaglia stesse valutando ogni suo passo, ogni suo gesto, ogni suo sguardo. Lo aveva fatto sin dacché aveva varcato per la prima volta la soglia del quartier generale e malgrado fossero trascorsi mesi da quel giorno, v’era una parte di sé che si sentiva ancora a disagio nell’esser al suo cospetto. Un disagio a tratti reverenziale e a tratti intimorito che le era fastidiosamente famigliare, giacché lo aveva provato per suo padre per tanto, troppo tempo e benché non ne fosse stata schiacciata, non aveva potuto impedirsi di soffrirne.
    Con Jack, così com’era stato con Damien, Roxanne aveva la sensazione che poco importava quanto talento avrebbe dimostrato...quanto sarebbe riuscita a splendere sin ad eclissare qualunque altra luce...non sarebbe mai stato abbastanza. Forse poiché in fondo la sua presenza per l’Auror era tanto indesiderata quanto lo era stata per suo padre ed egli osservandola non avrebbe mai visto altro che una seccatura di cui liberarsi il prima possibile.
    Illazioni prive di prove concrete che non l’avevano ferita, giacché oramai quella ragazzina che ad ogni rifiuto soffocava oltre passionale rabbia le lacrime d’umiliazione, era sol un ricordo dolce-amaro nella sua memoria – talmente remoto da sembrare non appartenerle neppure. Illazioni che però l’avevano spinta ad interrogarsi su quali fossero le ragioni che avevano persuaso l’irlandese dagli occhi di viva brace ad accettare la sua candidatura, collocandola fra le sue reclute. Mera curiosità di svelare quanto vi fosse del suo oscuro lignaggio in lei? Desio di trattenerla fra le proprie file piuttosto che saperla fra quelle dell’esercito nemico? Del mal celato masochismo che gli aveva imposto d’accettar il fastidio d’averla attorno? Ipotesi...ipotesi...ed ancora ipotesi – da smentire e da comprovare sin ad ottener una risposta certa. Proprio com’era chiamata a fare quel giorno, nella densa penombra di quella scena del crimine, la cui ricostruzione stava prendendo forma nella sua mente, minuzia dopo minuzia.
    - Oh, che sbadata! Perdonami, Jack...mi ero scordata di essere all’esame M.A.G.O. di Cura delle Creature Magiche. - celiò, mentre osservava attentamente i frammenti d’uovo alla luce lattea della sua bacchetta: la superficie riluceva come vitrea onice, donandogli una parvenza di fragilità che tuttavia non corrispondeva alla sua effettiva consistenza che era ruvida e resistente...tagliente persino. - Sono piuttosto sicura appartenga ad un Drago. - non era mai stata particolarmente portata per la materia, ma il suo ambire alla perfezione le aveva imposto di valicare la propria reticenza al riguardo e d’impegnarsi nel suo studio, sin ad affrontarla con la medesima maestria con cui creava Pozioni e lanciava fatture. Negli anni, però, aveva accantonato i libri sulla fauna del mondo magico per concentrarsi su ciò che era più affine alla sua indole e così aveva smarrito ogni sicurezza al riguardo, come fu palese dalla sua risposta. Esatta, ma poco esaustiva. Non abbastanza.
    - Sei un collezionista? - lo interrogò allorché lo vide riporre un frammento d’uovo nella tasca: una domanda intrisa di pungente ironia a cui era conscia Jack non avrebbe donato replica, ma che tradì come la sua curiosità fosse stata animata da quel gesto seguito da un ermetico silenzio. Uno dei tanti oltre cui l’uomo si barricava, divenendo impenetrabile.
    - Le bruciature qui attorno sono recenti...non è stato portato via molto tempo fai. - il pagliericcio emanava ancora un vago sentore di bruciato, che le pizzicò le narici allorché s’approssimò per osservare meglio la gabbia e il suo interno. - E’ stata pulita da poco e ci sono residui di magia sulle sbarre...come se fosse stata preparata per affrontare un viaggio. Forse, chiunque lo custodiva, si aspettava che sarebbe stato rubato... - commentò, allontanandosi per proseguire la perlustrazione.
    - Come sta tuo figlio? - gli domandò, mentre riponeva il volume di Magizoologia nella tracolla che aveva portato con sé, incantata con Adduco Maxima permanente: osservare la figura di quel drago impresso nella carta, le aveva rammentato che il giovane McCormac fosse appassionato di creature magiche e tale pensiero non aveva potuto che riportarla indietro, a quando con i due Auror era giunta in suo soccorso ed in quello dei suoi amici. In quella notte d'estate...aveva per la prima volta visto Jack genuinamente sfinito e tormentato...schiacciato dal gravoso peso della prospettiva di poter perdere suo figlio. Un Fato a cui aveva invero anelato condannarlo, allorché il sospetto che egli fosse l’assassino di suo fratello era germogliato nella sua mente: un desio che stava però smarrendo a poco, a poco la presa sul suo intimo di devastante Ardemonio, dacché aveva rischiato la propria libertà per salvare la figlia di Blackwood da un medesimo epilogo.
    - Lo so, nessuna confidenza non richiesta... - soggiunse e distolse lo sguardo da quello dell’uomo, per evitare che notasse come tali pensieri avessero costretto a vacillare la sua maschera d’imperturbabile distacco: qualcosa che le accadeva sempre più spesso, dacché la sua coscienza aveva cominciato a costringerla a far i conti con la propria scelta, tormentandola in veglia ed in sonno con la voce di Robin che la implorava di non spingersi oltre...di rinunciare. Di non cercare vendetta...di tornare a vivere…
    Si limitò ad annuire alle parole dell’irlandese dallo sguardo di viva brace, che la precedette lungo la scala che portava al piano superiore. Distruzione – fu il primo pensiero che le carezzò l’ambiziosa ed arguta mente, ma che scelse di tenere per sé, in attesa d’esser in possesso d’ogni minuzia e d’ogni variabile prima di formulare le proprie ipotesi. Nefaste, invero, come l’aura che avviluppava quella casa. Come lo scenario che li accolse all’esordio del corridoio.
    - Nessuna traccia di emorragia. Non è cianotico... - algida come fosse atarassica macchina piuttosto che passionale donna, Roxanne osservò attentamente i segni che la Morte aveva lasciato sul corpo dell’uomo riverso al suolo, escludendo nel silenzio dei propri ragionamenti alcuni incanti, come il Dolohoferio e lo Zilerius. - dubito sia stato avvelenato... - malgrado sarebbero state necessarie delle analisi più approfondite per escluderlo con assoluta certezza. - piuttosto, la Maledizione Senza Perdono. - concluse, allungando le dita per toccare il collo della vittima ed accertarsi che nulla ne ostruisse le vie respiratorie e che effettivamente non vi fosse alcun battito residuo. - E’ stato ucciso da poche ore... - le sue membra avevano sol iniziato ad irrigidirsi e serbavano ancora del tepore...ultima orma lasciata dalla vita nella sua fuga. - e a giudicare dall’abbigliamento, era sul punto di partire. - soggiunse, abbandonando la presa sul suo polso silenzioso prima di raddrizzarsi e guardarsi attorno, nel caos che regnava fra quelle mura.
    - Prior Incantatio. - incantò la bacchetta che era scivolata via dalla mano inerme dell’uomo, allontanandosi di qualche passo per non esser nella sua traiettoria: uno scudo lattiginoso proruppe dalla punta, tradendo come egli avesse tentato di proteggersi...o di proteggere qualcuno...dall’assassino, senza tuttavia riuscirci. - E’ stato troppo lento nel difendersi...o il suo aggressore era troppo forte... -.
    I suoi menzogneri e ingannevoli occhi scivolarono oltre il cadavere, per osservar il cielo uggioso oltre i battenti di una finestra spalancata poco distante. Che la vittima avesse tentato di fuggire da lì? Oppure…? - Pensi possa essere riuscito a inviare un messaggio prima di essere ucciso? - non si voltò a guardare Jack, percependone la presenza alle spalle mentre osservava le impronte lungo il corridoio, che conducevano ancora al piano inferiore. - Queste orme sono molto simili a quelle del piano inferiore...penso che l’assassino abbia agito da solo... - ipotizzò, prima d’esser attratta da una macchia di sangue ancora in parte viscido, che si protendeva verso di loro come inchiostro. - Solo un incantesimo fa sanguinare così tanto... - e le ferite che squarciavano la pelle delle donna e della bambina che trovò oltre la soglia della camera padronale, confermarono la sua supposizione. "Sectumsempra...".
    In silenzio, Roxanne le osservò. Le dita mortalmente pallide s’erano cercate poco prima della fine e ancora giacevano intrecciate, a proteggersi nell’eternità della Morte. Innanzi a quell’immagine...non poté fingere indifferenza. Si sforzò di farlo, ma non vi riuscì, e malgrado anelò distogliere lo sguardo, non lo fece. Costringendosi ad osservare quei volti esangui e quegli occhi vacui, avvolti in uno scarlatto letto di sangue, mentre i loro tratti si confondevano a quelli di Ichabod e di Agnes, che aveva scelto di condannar ad un medesimo destino. Proprio come la figlia del condannato, quella bambina aveva cercato protezione nella stretta della madre...un abbraccio che Roxanne non aveva mai conosciuto, giacché Katherine Rosier era morta dandola alla luce...giacché ella nascendo l’aveva uccisa, pretendendo la sua vita per sé.
    - Perché…? - non riuscì a formular un quesito coerente, forse poiché erano troppi quelli che la sua mente stava generando, inesorabile. Perché costringerle a morire con lentezza...a percepir ogni battito di ciglia della vita che allentava la presa dai loro cuori? Perché stringer attorno ai loro colli un cappio, malgrado non sembrassero neppur aver tentato di difendersi? Quesiti che la resero una miserabile ipocrita, giacché aveva giurato sulla memoria di suo fratello d’infligger il medesimo tormento proprio agli affetti dell’uomo che fumava alle sue spalle, in silenzio. - Non ha tentato di difendersi...forse conosceva l’assassino... -.
    Superò le due donne per esplorare la stanza, a soqquadro proprio come il piano inferiore, ma...il caos che ivi regnava pareva esser stato originato dalla ricerca di qualcosa, piuttosto che da uno scontro. - Voleva qualcos’altro oltre al Dorsorugoso, ma cosa…? - avanzò sin ad una scrivania, seguendo le tracce di sangue lasciate dall’assassino, e vi trovò un documento che ancora evocava il Nero delle Ebridi. Oltre a dalle lacrime scarlatte, che le permisero d'intuire che il loro bersaglio era stato ferito nella colluttazione, sulla carta v’era altresì l’impronta di un dito...sfocata, ma non abbastanza da non comprendere che il colpevole avesse avuto indosso dei guanti, così da non lasciare segni riconoscibili. Che fosse un nome già noto al Ministero per il bracconaggio?
    - Il Nero e il Dorsorugoso...sono fra i più aggressivi... - esordì, mentre un’altra ipotesi germogliava nella sua mente e affioraba sulle sue labbra. - hai detto che non è solo un bracconiere. Credi che stia facendo esperimenti per incrociare le due razze? - tornò a catturare lo sguardo di Jack con il proprio, trovandolo poggiato allo stipite della porta, la sigaretta fra le labbra e un’espressione grave ad indurirne i tratti.
     
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    Una mano si alza, tendendosi in sua direzione e offrendole il palmo. È un chiaro segno di demarcazione. Uno stop.
    Non c'è spazio, qui, per lo spirito. Oggi meno che mai.
    "Qualcosa di simile.", ho ribattuto riponendo il frammento d'uovo fra le pieghe del soprabito.
    Solo per poi offrirle uno sguardo obliquo, nel momento in cui le sue attenzioni hanno virato sulla salute del ragazzo.
    "Tutt'altro, in questo caso apprezzo l'interessamento. Starà bene, tu però pensa a non distrarti."
    Giunti poi sul luogo imputato al piano superiore, ho osservato le sue azioni e ascoltatone le congetture. E seguito a farlo tutt'ora.
    - L'intuizione è buona, tuttavia non verosimile se osservata con con la più fredda delle logiche."
    Ho già in mente uno scenario, e pian piano l'intera scena si sta ricostruendo nella mia mente come se fosse una moviola stessa che procede a ritroso.
    "Questa è una residenza di maghi e, in quanto tale, con i proprietari in vita non è verosimile che non fosse possibile materializzarsi entro in confini della proprietà stessa. L'assassino ha forzato la finestra, entrando da lì. L'uomo, che giace davanti a noi, si trovava nella camera con le altre due vittime."
    Scavalco il cadavere, facendo attenzione a non inquinare la scena, e punto nuovamente lo sguardo su madre e figlia ormai private della vita. Nonché, si direbbe, d'una buona parte del liquido ematico una volta presente nei loro organismi.
    "Perché?!", ribatto con una buona dose di schifato sarcasmo,"Certe azioni non hanno un perché, Roxanne. Soggetti come quello che ha operato qui, nelle loro deviazioni, le compiono per ottenere il proprio tornaconto e basta."
    Perdendo così, a mio avviso, il loro diritto ad un qualsiasivoglia tipo di quartiere da parte del corpo Auror, con particolare accezione del sottoscritto. Questo, però, è un altro paio di maniche.
    "Probabile. Il sospettato, o sospettata che sia, conosceva la casa. Sapeva esattamente cosa cercare e dove trovarlo, pertanto possiamo dedurne che abbia avuto qualche tipo di legame con le vittime."
    Il mio sguardo si posa per qualche istante sul corpicino della piccola, ed in particolare sulla sua mano che, ancora adesso, cerca disperatamente quella della madre.
    "Magari avranno anche condiviso del tempo insieme ad un certo punto delle loro vite, chi può dirlo..."
    Feccia. Questo è l'unico pensiero che riesco a formulare se mi fermo a cogitare riguardo il colpevole del delitto.
    Feccia, della peggior specie. Immeritevole di qualsiasi riguardo.
    I bambini non si toccano, mai.

    "Il colpevole ha usato la finestra per entrare...", inizio a ricostruire per entrambi così che anche lei possa figurarsi la scena in mente.
    "Osserva il cadavere dell' uomo, vedi quel colorito violaceo delle falangi? Qualcosa l'ha costretto, alterandone la pressione sanguigna poco prima della morte."
    Congiungo le mani dietro la schiena, e cammino in direzione della mia recluta.
    "Il colpevole avanza lentamente nel corridoio, finché, ad un tratto, il padrone di casa non irrompe da una porta laterale. Questa...", tocco con la punta del dito il battente dietro al quale giacciono gli altri due corpi.
    "L'aggressore è più svelto, e lo lega con un incarceramus.
    È qui per qualcosa di tangibile, certo, ma anche per ottenere delle informazioni. Interroga il padrone di casa per in merito alle stesse e, quando questi gliele nega, tortura le altre vittime davanti ai suoi occhi con la promessa di smetterla una volta ottenuto ciò per cui è venuto."

    Il tutto prende forma, assumendo sempre più un senso compiuto con lo scorrere dei secondi.
    "Mente.
    Ottenute le informazioni, fa evanescere le costrizioni poste sul padrone di casa. Facendogli credere che tutti loro si salveranno forse, per mero divertimento.
    Dopodiché lo uccide, e lascia che le altre vittime muoiano dissanguate.
    Solo ora scende di sotto, rubando ciò per cui è venuto."

    Mi trovo adesso di fronte a lei, e mentre i miei occhi la fissano in realtà la mente sta ancora vagando altrove.
    "La sua però è una razza vigliacca e codarda, così inscena la colluttazione che ha messo a soqquadro l'intera casa, dopodiché, come suggeriscono le impronte, torna qui. Probabilmente, per sincerarsi cue tutti siano realmente morti cosicché che nessuno possa incolparlo."
    Abbasso il capo, seguendo la seconda serie di impronte, decisamente meno visibile della prima, finché esse non svaniscono. Repentinamente.
    "Vieni, osserva qui. Vedi l'inclinazione e i segni di sfregamento? Qui è dove si è girato su se stesso, per smaterializzarsi una volta che gli incantesimi antimaterializzazione sono decaduti dopo la morte dei padroni di casa."
    Ora esco dal mio "palazzo mentale", e torno a posare la mia completa attenzione sul tempo presente. Appoggiando il capo alla parete del corridoio e annuendo alla domanda della bionda.
    "Ottimo Roxanne, è esattamente quello che ho dedotto anche io. Un incrocio simile, sarebbe devastante."
    Le faccio cenno con il capo di seguirmi verso l'uscita, avanzando a mia volta. Ora a passo svelto.
    "Le impronte sul pavimento appartengono ad uno stivale tipo carroarmato numero quarantaquattro o quarantacinque. Ben marcate, la sinistra vagamente strascicata.
    Ergo, è verosimile presumere che il ricercato sia di sesso maschile, dotato di una corporatura robusta e, forse, offeso permanentemente alla gamba sinistra. Non del tutto zoppo, però sicuramente imperfetto nella deambulazione."

    Le comunico, con praticità, una volta giunti nuovamente oltre la porta di ingresso.
    "Invia un patronus al dipartimento con tutte le informazioni del caso. Io e te, ora, andiamo nella parte più sporca della Dublino magica.
    Dobbiamo incontrare qualcuno."

    E quando dico sporca, lo intendo sia letteralmente che figurativamente.
    Servono gli avvoltoi per scovare una carogna, ed io di rapaci simili ne ho parecchi a libro paga. Basterà ungerli a dovere.
     
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    La mano dell’uomo dalle troppe battaglie s’arrestò a mezz’aria in un tacito imperativo di deporre la propria ironia e il proprio sarcasmo in favore d’un atteggiamento più serio e composto...più rispettoso. Non credeva l’ultima superstite dei Wilefyre che Jack avesse interpretato il suo modo di fare a tratti pungente e a tratti provocatorio com’una mancanza di professionalità e d’empatia per quanto era accaduto in quel luogo. Piuttosto, ritenne che il suo silente ordine fosse motivato dalla necessità di non venir istigato in un momento in cui nel suo intimo già covava del cocente rancore, in agguato come sopito fuoco protetto da sfrigolanti braci. Per questo Roxanne avrebbe ubbidito, malgrado fosse solita dilettarsi nel tentare di fargli saltar i nervi un giorno sì ed il successivo pure: giacché aveva il sospetto che ci fosse qualcosa di molto profondo che legava il suo superiore ai crimini commessi in quell’abitazione e...non era nel suo interesse costringerlo ulteriormente sulla difensiva.
    Come aveva previsto, l’irlandese dagli occhi di viva brace si palesò ancor una volta ermetico sui frammenti di uovo di Drago, barricando i suoi pensieri oltre una fortificata muraglia invalicabile. Allorché gli palesò interesse per le condizioni di suo figlio, però, ebbe l’impressione che per qualche battito di ciglia una crepa si fosse aperta nella pietra, tanto che il tono di voce di Jack suonò più garbato e il suo cipiglio si fece meno severo. Forse, l’irlandese a sua volta non era riuscito appieno ad inquadrarla, a distinguere ciò che vi fosse di autentico e ciò che vi fosse di artificioso nelle sue maschere, ma...in quell’istante Roxanne credette che avesse percepito l’onestà del suo interessamento e della sua preoccupazione. Un qualcosa che forse lo aveva colto alla sprovvista, tanto quanto aveva colto alla sprovvista lei, allorché nel vedere Logan esanime, vestito del suo medesimo sangue, era stata nel profondo scossa dalla consapevolezza che quello era ciò che aveva iraconda e vendicativa promesso di fare: colpire gli affetti dell’assassino di suo fratello per costringerlo alla sua medesima sofferenza, sin all’epilogo dei suoi giorni. Una promessa che proprio quella notte s’era accorta vacillasse violentemente sotto il peso della sua coscienza…
    Mentre la voce di Jack le s’insinuava nell’ambiziosa ed arguta mente, innanzi ai suoi occhi d’Anatema che Uccide la tragedia consumatasi al piano superiore fu messa nuovamente in scena, atto dopo atto. Le sue intuizioni vennero corrette, integrate e confermate dall’irlandese, che ricucì i buchi di trama e sistemò ogni elemento al suo esatto posto della scena. - Voleva solo godere della loro sofferenza. - accucciata al cospetto della donna che stringeva a sé sua figlia, l’ultima superstite dei Wilefyre serrò con delicata fermezza le palpebre sui loro sguardi affacciati sull’Oltretomba, per restituire loro quella dignità di cui eran state derubate con crudeltà e disprezzo.
    Mentre seguiva i passi dell’assassino sull’onda della ricostruzione dell’uomo dalle troppe battaglie, però, un’altra ipotesi iniziò a danzarle nella mente, stuzzicandola nel pretendere d’esser vagliata prima d’abbandonare quel drammatico e spietato palcoscenico. - Se è stato costretto ad introdursi di soppiatto dalla finestra, allora le vittime avevano scoperto il suo doppio gioco. - quanto sarebbe occorso a Jack o a Kain per svelar il suo? Per quanto sarebbe riuscita a tener in piedi quella farsa, celandosi oltre quelle maschere che aveva indossato sin dacché era una bambina, per proteggersi e per diletto al contempo?
    - Per cui forse sono riusciti a lasciare un indizio sulla sua identità prima di morire... - sospettavano che l’assassino avrebbe tentato di sottrarre l’uovo – o il cucciolo – di Dorsorugoso Norvegese e al contempo che sarebbe potuto giungere per ottenere risposte. Per cui nel momento in cui avevano compreso si fosse introdotto nella loro abitazione, non era da escludere che avessero tentato di lasciar un indizio per accusarlo...dopotutto, non sarebbe stata la prima volta.
    Secondo Jack, l’uomo era stato il primo ad accorrere per fronteggiare l’aggressore, per cui era improbabile che avesse avuto il tempo di pensare razionalmente a un modo per agevolarne l’identificazione. Inoltre...era altrettanto insensato credere che avesse immediatamente pensato che non sarebbe sopravvissuto abbastanza per accusarlo egli stesso. La donna però...l’assassino aveva scelto di strapparle la vita a poco, a poco, concedendole altresì di vedere la figlia morire per prima, e nei lunghi istanti che avevano preceduto la venuta della Morte, forse era riuscita a lasciarsi dietro una prova. Non qualcosa di troppo evidente...una minuzia che si potesse facilmente nascondere…
    - Jack guarda. - invocò l’attenzione dell’Auror dalla pelle ricamata di cicatrici su un oggetto che la vittima era riuscita a celar allo sguardo impietoso del suo aguzzino: un pezzo degli scacchi imbrattato di sangue, preso da una scacchiera poco distante che non era stato considerata dall’aggressore. Gli altri pezzi erano ancora ordinatamente al loro posto e quello che era stato sottratto dalle sue file non era un pedone, il primo a dover essere mosso all’esordio di ogni partita. Pertanto, quel tassello doveva esser stato volontariamente afferrato da qualcuno. Forse dalla vittima, poco prima d'esser torturata e condannata a morte...oppure dall'aggressore medesimo che bramava depistarli, prendendosi gioco di loro. - Potrebbe essere una pista...come una trappola... - commentò, prima di alzarsi e di affiancarlo. - sembra avesse cercato di scrivere qualcosa con il suo stesso sangue... - soggiunse, indicando una traccia sotto le dita inermi della donna: una traccia che tuttavia era stata compromessa dal suo assassino. - una lettera...o una runa... -.
    Ferma innanzi ai segni della smaterializzazione dell’assassino, la fanciulla dalle plurime maschere invocò il suo Patronus: un argenteo e luminoso delfino che guizzò svelto oltre la finestra, smarrendosi nel cielo irlandese oramai al crepuscolo. - Andiamo. Abbiamo uno zoppo a cui staccare anche l’altra gamba... - accennò un sorrisetto impertinente e machiavellico prima d’afferrare di nuovo il braccio di Jack e abbandonare quel palcoscenico.

    Le tenebre avevano allungato le loro fameliche dita sulle nubi minaccianti pioggia imminente, ma le vie del centro magico della città vichinga erano comunque illuminate da lampioni infuocati e fluttuanti fiammelle. Dublino era una città dai plurimi volti. Più ci si sforzava di conoscerla, più i segreti che celava la rendevano estranea...sfuggente...camaleontica…; e forse proprio per questo Roxanne ne era innegabilmente affascinata: poiché l’inaspettato ed il rischio che cullava in sé la facevano sentire viva.
    - Jack...pensi che il Patronus di una persona possa cambiare solo a seguito di un trauma? - era dacché aveva inaspettatamente visto il delfino che era stato il Patronus di suo fratello apparire per la prima volta dalla propria bacchetta che tale quesito la tormentava, ma le sue ricerche sull’assunto erano state infruttuose. Osservare la creatura marina allontanarsi per recare informazione al Quartier Generale poc’anzi, l’aveva però indotta a considerare l’ipotesi che forse proprio il suo superiore avrebbe saputo offrirle delle delucidazioni in merito, non solo per la sua esperienza, ma altresì per i suoi studi.
    - Il mio è cambiato di recente, ma... - non era riuscita a comprenderne il motivo. Lo considerava un mutamento tardivo rispetto a quanto affermato dai libri che aveva letto, giacché le sue emozioni avevano negli anni smarrito quell’ardente impetuosità che le aveva contraddistinte allorché era una ragazzina e il dolore più feroce che l’aveva quasi annientata...risaliva al momento in cui Robin era scomparso. Oramai diversi anni addietro.
    Abbandonarono la via principale per imboccar un vicolo ombroso, stretto e soffocante com’una galleria che pareva condurre all’Oltretomba medesimo, sin a giunger in una piazzetta avviluppata da una fumosa caligine dalle sfumature violacee e scarlatte. - Vogliamo incontrare la Volpe. - esordì l’ultima superstite dei Wilefyre mentre avanzava di qualche passo all’interno della nebbia che percepì ostile...minacciosa. - Siamo qui per affari. - la bruma si mosse e a poco, a poco si modellò sin ad assumere le sembianze d’una porta, che sinistra si spalancò innanzi al suo ingannevole e menzognero sguardo, rivelando l’interno del locale.
    - Il combattimento è già iniziato, la Volpe vi raggiungerà appena terminato. Gradite qualcosa da bere nell’attesa? - un cameriere si materializzò alle loro spalle, il volto coperto da una candida maschera che riluceva demoniaca nella penombra della sala. - Se volete scommettere, la puntata minima è di 5 galeoni. -.
    Non sapendo se avessi già un'idea sull'identità del colpevole, non ho definito né di che pezzo degli scacchi si tratta ( solo che non è il pedone del bianco che muove primo ), né della lettera/runa che potrebbe aver scritto la donna con il sangue.
    Anche il finale l'ho lasciato aperto, senza specificare di che combattimento si tratti, né se quanto detto da Roxanne fossero semplicemente delle frasi per poter entrare nel locale illegale...tipo parole d'ordini.


    Edited by daughter of venom and vendetta - 7/1/2024, 21:15
     
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    "Thurisaz, disegnata in orizzontale. È strano."
    L'ho confermato poco fa alla recluta, prima di lasciare la casa incriminata. Per discorrere della possibile simbologia, forse addirittura letterale, intrinseca nella scelta di quel preciso pezzo degli scacchi.
    Quella specifica runa, associata nell' antichità al dio Thor, ha molteplici significati. Può significare forza di spirito, così come fungere da monito contro le scelte più sconsiderate e compiute troppo frettolosamente. Posta così però, in orizzontale, potrebbe anche voler significare un mix tra le cose. Per nostra grandissima "sfortuna", al sottoscritto non è mai fregato un cazzo di rune antiche.
    La scelta del pezzo dalla scacchiera, l'alfiere nero, è tuttavia molto interessante. Soprattutto se correlata alla runa di cui sopra.
    Pezzo che assume le sembianze del vescovo, nelle rappresentazioni anglosassoni. L'elefante, in quelle medio-orientali. Per non parlare del suo esser storicamente individuato nel "portabandiera", dalle popolazioni mediterranee.
    Checché se ne voglia dire, sia figurativamente che letteralmente, la figura dell' alfiere è strettamente legata alla forza. Alla stazza. Ad un ruolo di spicco.
    Thurisaz...cosa ci stava dicendo la vittima? Era forse un' ulteriore descrizione psicofisica del sospettato quella che ci stava fornendo? Probabile poiché, mentre riappariamo nei pressi della nostra meta, tutte le linee cominciano a puntare verso una comune convergenza.

    "Quesito complicato, ragazza.", ribatto circa la sua domanda riguardante la natura dei Patronus, " Personalmente, ritengo che non siano necessariamente i traumi a dettare il cambiamento.
    La risposta, a mio avviso, starebbe negli enormi, ed eventuali, sbalzi emotivi del singolo. Siano essi positivi o negativi."

    Ascolto la sua riflessione ad alta voce, corrucciando appena le sopracciglia. Che cosa potrebbe mai esserle successo, di recente, per spingere il suo Patronus a mutare?
    Il semplice cambio di carriera professionale, non è sufficiente. Cosa mi sta nascondendo?
    "Mutato dici eh... interessante. Eri particolarmente affezionata alla sua forma precedente? E dimmi, qualcosa ti infastidisce in quella attuale? I delfini sono universalmente riconosciuti come animali propiziatori, no?"
    Ne osservo i tratti resi sfocati dalla nebbia per qualche istante, voltando poi lo sguardo in direzione del suo interlocutore nel momento stesso in cui lo scenario ci muta attorno.
    "Sta attenta ora.", le sussurro all' orecchio prendendola a braccetto sotto gli occhi di tutti per scortarla più avanti, in mezzo al brusio.
    "Non c'è bisogno di mantenere un atteggiamento formale, o da "copertura". L'effetto sorpresa è svanito esattamente un minuto fa, quando sei entrata qui dentro con me."
    In questi ambienti, io, non necessito di mostrare il distintivo per esser riconosciuto. Difatti, gli sguardi della metà dei presenti, sono già tutti rivolti in nostra direzione.
    "Sai chi sono io, omuncolo? Se ti dico che voglio parlare con la volpe, intendo adesso. Digli di muoversi. Saremo seduti laggiù, portaci due whiskey."
    Indico alla mia recluta un tavolo posto contro la parate, non troppo lontano dal "ring".
    È il massimo che si possa ottenere qui, in fatto di privacy, per poter scambiare due chiacchiere con un informatore.
    "Ti starai chiedendo il perché io ostenti così tanto la mia nomea... Potresti addirittura trovarla una mossa azzardata, tuttavia vedi...", afferro il bicchiere che viene fatto scivolare sul tavolo e ne traggo un sorso ristoratore mantenendo un contegno ineccepibile,"Questo è un banale ricettacolo di pesci piccoli, i reati più gravi commessi qua dentro spaziano dal gioco d'azzardo allo spaccio di Erballegra. E, nel computo totale delle cose, per il dipartimento è molto più conveniente chiudere un occhio e far si che, questa gente, sia bendisposta a collaborare con noi."
    Una breve occhiata sui presenti qui attorno, i quali volgono le loro attenzioni altrove non appena i nostri occhi s'incontrano per qualcosa più di un istante.
    "Tuttavia, è bene ricordar sempre loro che, con un movimento del polso, potrei sbatterli tutti al fresco per una notte o anche più. O che, su questo territorio, la legge c'è e, quando non vede qualcosa, lo fa solo perché sceglie di girarsi altrove.
    A costo di ripetermi, i criminali sono una razza vigliacca e codarda, sai? Dai loro una nomina, un simbolo o un volto da temere, e si cagheranno nei calzoni appena se lo troveranno davanti."

    Un tonfo secco sopraggiunge dal quadrato cordato di fortuna, segnando dunque la fine dell' incontro clandestino.
    Scegliendo di scommettere, avrei vinto di sicuro. Poiché lui, difficilmente perde ad un combattimento di boxe a nocche scoperte.
    Non passano molti secondi, che la sedia posta di rimpetto a noi viene fatta scivolare cosicché possa accogliere comodamente l'occupante appena giunto.
    Un uomo dalla figura muscolosa ma slanciata, con un mantello legato al collo sopra il tronco nudo, e la bacchetta ancora occupata a passarne in rassegna il volto. Presumibilmente, nel tentativo di accelerare la guarigione delle ferite appena procurate.
    - Battlin' Jack, e questa immagino sia la tua ultima scoperta...-
    Allude con tono profondo, accennando alla recluta Auror seduta di fianco a me. - M'hanno detto che è stata lei a cercarmi per prima appena siete entrati, la biondina ha fatto i compiti a casa.-
    Inspiro col naso, lo guardo di sottecchi, poi lo accolgo con un mezzo ghigno.
    "Recluta Wildflower, lui è l'uomo di cui hai chiesto poco fa. Ti spiacerebbe procedere da te ai convenevoli esponendo i fatti, ragazza? Io, nel frattempo, terrò sott'occhio il nostro amico. Più che pronto a mostrargli come, di fatto, dentro questa bettola ci sia qualcuno in grado di picchiare più forte perfino di lui. Questo, ovviamente, solo se le sue risposte dovessero sembrarmi meno sincere del solito. O altrettanto meno utili."
    Lui sa. Lui sa sempre tutto. Se un verme dovesse strisciare sotto terra nel sottobosco criminale da Waterville a Monaghan, il soggetto che ci fronteggia adesso, sarebbe in grado di fornire l'esatta planimetria del cunicolo scavato dal medesimo.


    Edited by Battlin' Jack - 22/2/2024, 18:50
     
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