The world's a beast of a burden

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    L'inchiostro scivola veloce sul pezzo strappato di pergamena, verga un messaggio di poche parole lasciandosi dietro macchie scure nate dalla fretta e foga con cui premo la punta di penna sul foglio: "Vieni dove ci siamo visti l'ultima volta. Oggi".
    Consegno tutto al gufo e praticamente lo lancio fuori dalla finestra, diretto verso qualsiasi luogo si trovi Heather. La rossa mi ha detto di cercarla se avessi avuto bisogno, che ci sarebbe stata per me, ed ora ho deciso di approfittarmi della sua immensa gentilezza. Asciugo l'ultimo rimasuglio di lacrime rimasto sulle gote e poi, con una calma che fino a poco fa non mi apparteneva, inizio a muovermi come un fantasma verso l'uscita del castello.
    Tra qualche giorno dovrò fare le valigie per passare il natale a Lammas, finalmente potrò riabbracciare mamma e le mie sorelle, forse potrò trovare un po' di pace in quel luogo così tranquillo, in cui nelle notti d'inverno l'unico rumore è quello del respiro dei suoi sonnacchiosi abitanti, umani ed animali in egual misura.
    Forse, quando arriverò a casa, non ci saranno più incubi ad aspettarmi.
    Ne ho avuto un altro, mi sono svegliato alle sette del mattino con la solita tremarella e le mani aggrappate alle coperte, i denti stretti sul cuscino per soffocare un grido. Questa volta, insieme ai Matviga, c'era anche Monday. I suoi polsi erano tagliati e disperdevano sangue in quell'oceano che ha ucciso i genitori di Vanilla, ma a differenza loro mia sorella non stava urlando dal dolore. Era stranamente calma, come se quel lento morire fosse il raggiungimento del suo cosiddetto nirvana; lì, in fondo al mare, aveva trovato uno scopo a tutto il suo dolore.
    E' stato quello a farmi male, vedere quanto lei si stesse sentendo libera nonostante la morte le stesse carezzando le guance. Mi sono chiesto, nei momenti dopo la brutale sveglia, se non desiderasse ancora morire pur essendo in terapia e sotto farmaci; se, una volta lasciata finalmente sola, non ne potesse approfittare per finire quello che aveva iniziato prima delle vacanze estive.
    Se è davvero così, io non voglio vederlo. Non voglio vedere mai più niente. Ed è per questo che, questo gelido sabato mattina, ho scritto alla donna col viso ricoperto di stelle, lei saprà come aiutarmi. Lei dovrà farlo, perchè sa cosa vuol dire avere il dono e volerlo perdere.
    Il gufo probabilmente ci metterà qualche ora a trovarla, ma non ho fretta. Arrivo alla panchina e scosto la neve che c'è caduta sopra prima di sedermi e accendere una sigaretta, il cielo è nuvoloso e grigio, fa freddo e mi stringo nel giaccone per scaldarmi.
    Guardo fisso davanti a me mentre sento il cervello lentamente dissociarsi una boccata dopo l'altra; continuo a ripetermi in testa la litania di ciò che ho intenzione di dirle, non penso a nient'altro ed è bellissimo. Fumo ancora e ancora e ancora, ad un certo punto sento la bocca acida ed un retrogusto disgustoso sulla lingua. Non m'importa niente, ho una missione da compiere.
    Passa qualche ora, forse più di due. Ad un certo punto ricomincia a nevicare ma io resto sulla panchina, immobile e coi denti che battono per il freddo, le mani arrossate perchè prive di guanti.
    Quando sento arrivare qualcuno sposto finalmente lo sguardo, nemmeno le sorrido perchè non c'è tempo per queste stronzate. Lei può aiutarmi a mettere un punto a tutto questo, a non farmi vedere più niente.
    Devi darmi le pozioni che prendi, quelle che ti bloccano le visioni.
    Lo sguardo finalmente mi si illumina di decisione, eppure le occhiaie tradiscono la stanchezza ed il poco sonno, e dall'ultima volta che abbiamo parlato credo di aver perso almeno un paio di chili, se non qualcosina in più. Può vedere che non sto bene, se sono fortunato le farò pena e tutto finirà in fretta... Però, giusto per sicurezza, è meglio mettere subito le mani avanti.
    Devi darmele, o giuro che dirò a tutti che mi hai obbligato a fare sesso con te.
    Odio doverlo fare, dover tradire la sua fiducia dopo quello che ci siamo detti e quell'istante in cui l'ho sentita simile ad una sorella maggiore a causa di quello che ha passato, di quello che ci accomuna nonostante età ed esperienze diverse. La sto minacciando di rivelare una bugia e mi faccio schifo, ma in questo merdoso delirio di dolore sento di non avere altra scelta.


    Edited by freaky friday - 17/3/2024, 16:05
     
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    Il gufo mi trova appena sveglia, con una tazza fumante di the tra le dita e dei biscotti al cioccolato pronti ad essere divorati. Leggo le parole velocemente, una, due volte, cercando di mettere i pensieri ancora addormentati in fila.
    Senza pensarci corro in camera a vestirmi, mettendo il primo paio di pantaloni che trovo, una felpa che sa di pozioni e il cappotto, verso il the nella tazza termica e chiudo i biscotti in un sacchettino di carta, di certo avrò tempo di mangiare mentre ascolto il ragazzo.
    Le parole di Friday sembravano scritte con una tale ferocia, con una tale disperazione che sapevo di non aver tempo per finire con calma la mia routine quotidiana. Cosa poteva essere successo al ragazzo? Speravo niente di grave, anche perché non pensavo di essere la persona adatta ad affrontare chissà quale disgrazia comparsa nella sua vita, alla fine io facevo parte di quelle disgrazie quindi sarebbe stato un po’ ironico essere chiamata a gestirne una.
    Eppure sapevo di dover andare, che era importante la mia presenza. Che avesse avuto una visione? Inutile speculare, mi misi il cappotto, il cappello e una sciarpa calda e mi smaterializzai, arrivando in centro città e dirigendomi velocemente verso la panchina in cui l’avevo atteso l’ultima volta.
    Ed eccolo lì, come una statua di marmo, bloccato in chissà quale mondo interiore, gli occhi divorati da una disperazione che spesso avevo visto allo specchio nei miei, nei momenti peggiori. Chissà da quanto tempo era lì, c’era perfino uno strato di neve sui suoi vestiti, ma sembrava essere troppo preso da quello che aveva in testa per muoversi. Sicuramente era ghiacciato.
    “Friday...” non mi fece nemmeno finire il saluto che già si lanciò in una frase che sembrava quasi meccanica, come quando te la ripeti talmente tante volte nel cervello che quando esce non sai nemmeno cosa voglia dire veramente, sai solo che devi dirla. Oh Friday…
    Che cosa gli era successo in quel periodo? Cosa poteva aver portato quel povero ragazzo che sembrava aver trovato finalmente un briciolo di speranza a ripiombare così negli abissi più profondi della disperazione?
    Mi sedetti accanto a lui, con lentezza, quasi avessi paura di spaventarlo e poggiando la tazza e il pacchettino di biscotti accanto a me, decisamente non era quello il momento di offrirglieli, non quando era così congelato e… Sotto shock? I sintomi li aveva tutti, ma cosa poteva essere successo per farlo reagire così?
    “Friday, sei congelato, perché non andiamo a parlarne da qualche parte al caldo?” il mio tono era basso, caloroso, cercavo di nascondere la preoccupazione perché sapevo che non sarebbe servito a niente, così come non sarebbe servito a niente negare la sua richiesta. Dovevo farlo ragionare con calma, dovevo riportarlo a pensare con lucidità, altrimenti non avrebbe mai e poi mai capito perché non potevo proprio dargli le pozioni.
    Allungai una mano per toccargli una guancia, rossa e pallida allo stesso tempo, i primi segni del gelo avevano iniziato a dare le prime avvisaglie e sapevo di dover mitigare la situazione prima che iniziasse a perdere la sensibilità alle estremità, talmente rosse da sembrare violacee.
    Mi tolsi la sciarpa, allungandomi per passargliela attorno al collo e alla testa, coprendo con la sua larghezza tutto il capo e le spalle, usando le estremità che erano ancora tra le mie dita per portarlo verso di me, anche se sentivo la sua resistenza.
    “Ti voglio aiutare Friday, lascia che lo faccia. Sono qui per te, non ti sto abbandonando ok? Lascia solo che ti aiuti...” mi sembrava quasi di cantare una ninna nanna, o di parlare a vanvera con un animale ferito per convincerlo a fidarsi. A volte non erano nemmeno le parole che dicevi, ma il tono con cui le dicevi che dava il risultato.
    Con un’ultima tirata lasciai la sciarpa, lanciando le braccia verso le sue spalle, ormai abbastanza basse per poterle raggiungere, tirandolo con forza verso di me, avvolgendolo in un abbraccio che speravo potesse essere di conforto, invece di una restrizione. Gli posai un bacio sulla tempia, sopra la sciarpa che lo copriva dal mondo, dandogli forse, per qualche istante, l’illusione di essere in un bozzolo protetto dal mondo.
    “Andrà tutto bene, lasciati andare, andrà tutto bene, ti voglio bene, non sei da solo, sono qui per te”
    Forse ero un po’ egoista ed egocentrica, forse mi stavo anche prendendo libertà che non erano mie, ma avevo riconosciuto quegli occhi, quella fame di calore, quel bisogno di qualsiasi ancora che potesse spazzare via il mare di disperazione in cui sentivi di affogare, quella tempesta silenziosa che sembrava ucciderti secondo dopo secondo. Così avevo fatto quello che avrei voluto gli altri avessero fatto con me. A volte le parole non servivano, cercare di ragionare non serviva. Serviva solo amore, calore e qualcuno che ti tendeva una mano per aiutarti a risalire dal fondo, dandoti un porto caldo a cui approdare.
    “Vuoi un po’ di the caldo? Ho anche qualche biscotto al cioccolato. Hai bisogno di scaldarti o finirai per prenderti un accidente” era pronto ad affrontare il mondo? Era pronto dirmi cosa era successo? O era ancora perso nella disperazione che albergava nella sua mente?
     
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    Fatico a comprendere quello che sta succedendo, osservo lo scenario dipanarsi davanti ai miei occhi e mi chiedo perchè non stia andando come avevo immaginato. Heather avrebbe dovuto dire di si, mossa dal terrore di perdere il posto in Accademia non si sarebbe dovuta prendere nemmeno un'istante per pensare, consegnandomi subito le pozioni; oppure mi avrebbe guardato con odio e disgusto, rifiutandosi e scappando via, ed io l'avrei rincorsa urlando altre minacce finchè, esausta, non avrebbe accettato o firmato la sua condanna.
    Cos'è questa terza opzione che non avevo previsto? Perchè mi sta guardando come se fosse preoccupata per me? Forse sul viso ho dipinta una sofferenza che le è familiare, una che non ho avuto desiderio e voglia di nascondere.
    La guardo sbattendo piano le palpebre mentre lei si siede lentamente accanto a me e la neve rende i contorni del villaggio ed i suoi suoni ancora più ovattati, come in un sogno. E se stessi ancora dormendo? Potrei essere ancora nel mio letto, stretto a cuscino e coperte calde per proteggermi da un freddo che esiste solo nella mia testa; magari questa volta lo scenario non si tramuterà in un'incubo ed Heather non inizierà a sanguinare dalle cicatrici... Se così fosse, potrei svegliarmi col sollievo di non averle mai detto quelle cose terribili.
    Eppure la mano che mi tocca la guancia sembra fin troppo reale, sposto gli occhi per osservarla con curiosità ed orrore mentre la mente cerca di stare al passo con tutto quello che sta accadendo, rimettendo insieme i pezzi. L'ho chiamata davvero, lei è qui ed il piano sta andando allo sfascio. Per una volta avrei voluto una fine facile, una in cui il sapore di pozioni a me sconosciute sostituisce quello della nicotina e, finalmente, gli incubi non ci sono più.
    Invece lei è rimasta e vuole parlare, mi sta mettendo addosso una sciarpa calda ed il contatto con quell'inaspettata morbidezza dopo aver sentito solo freddo è piacevole in un modo che fa paura. Le sensazioni belle svaniscono, prima o poi, nulla è per sempre e se possiedi il dono della vista allora sei doppiamente nella merda... Quanti pensieri pessimistici del cazzo, Wyldflower... Chi cazzo sei? Non ti riconoscerebbe nemmeno tua madre.
    Mamma... Mi manca, lei e tutte le altre. Presto sarò a casa e mi abbracceranno come sta facendo Heather, mi diranno che ci tengono a me e tutto andrà bene. Come ci sono finito stretto a lei? Ricordo di aver provato a resistere ma questa sciarpa è così calda e le sue parole così gentili...
    Ha detto che mi vuole bene, che per me ci sarà sempre, come posso ignorarla ed aprire la bocca per sputarle addosso altre richieste velenose? Mi sta facendo sentire a casa sebbene si trovi a chilometri di distanza, parla come la sorella di cui avrei avuto bisogno in un momento di merda come questo, ed è strano visto il modo in cui ci siamo conosciuti ma è come se quell'evento l'avessi vissuto in un'altra vita, con un corpo diverso.
    Alla fine, le difese crollano. Con Annie non era stato così brutto e la rabbia riversata contro Sibylla è sepolta da qualche parte, forse in attesa d'essere buttata addosso a qualche altro povero malcapitato. Mi appoggio alla spalla di Heather e piango, singhiozzi violenti mi scuotono il corpo e faccio fatica a respirare ma in qualche modo riesco a tirar fuori delle parole, per quanto prive di senso.
    M-mi dispiace, H-heather... m-mi dispiace... L-li ho visti m-morire, l-li s-sogno spesso e non ce la f-faccio... Ieri c'era M-monday con le v-vene tagliate...
    Al ricordo di mia sorella in quell'oceano di sangue stringo ancora di più le braccia attorno alla donna, colei che più di altri potrebbe capire la mia tristezza ed il disagio che affligge Monday, quella disperazione nera che t'impedisce di vedere il mondo nella sua vera luce.
    N-non voglio v-vedere più niente, Heather... t-ti prego... t-ti prego, dammi le tue pozioni. M-mi dispiace, n-non dirò niente a n-nessuno... ti prego!
     
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